Si narra che Marco Polo tornasse dalla Cina con un vaso: piccolo, bianco traslucido, d'insolita bellezza. Dopo di lui mercanti e missionari portarono altri oggetti dello stesso materiale: così rari e sorprendenti da finire subito nei tesori delle cattedrali, nei gabinetti delle curiosità di qualche potente. Poi le navi che nel Cinquecento facevano la spola con l'Oriente iniziarono a caricarne nelle stive, il flusso si fece più massiccio nel secolo successivo. Ma quei vasi, quei piatti, quelle scodelle, quei servizi da té, caffè, cioccolata restavano pur sempre merce rara, costosa, desiderata, fascinosa e singolare, soffusa d'un sottile alone di mistero.
La porcellana era un particolare tipo di ceramica: pasta vetrosa, grana finissima e compatta, bianca, traslucida, sonora, impermeabile e inattaccabile da gran parte degli agenti chimici. Un vero prodigio rispetto ai pur evoluti prodotti ceramici ottenuti allora in Europa; ma come fare a produrla? Quel segreto che i Cinesi custodivano ormai da secoli assillava ceramisti e alchimisti, prostrati da infruttuosi tentativi, messi alle strette dai loro potenti signori ansiosi di essere i primi a ottenere in casa propria il prodigioso materiale. Finché, dopo una serie di fallimenti e mezzi successi, non accadde qualcosa d'interessante nella città di Dresda.
Ehrenfried Walther von Tschirnhaus era uomo dai molteplici interessi: matematico, medico, filosofo, fisico, aveva viaggiato a lungo in Europa stabilendo contatti con Spinoza, Huygens, Newton, Leibniz ed entrando nella Académie Royale des Sciences di Parigi. Spirito pratico, inventore e imprenditore, a fine Seicento impiantò in Sassonia una vetreria specializzata in lenti e specchi ustori; nell'ambito di questa attività conduceva esperimenti: fu lì che iniziò, come tanti, a porsi il problema della porcellana. Non aveva bisogno di inventarla, esisteva già; doveva "solo" arrivare a produrre, individuate le giuste materie prime e modalità di preparazione, manufatti simili a quelli importati dalla Cina. Fu, il suo, un lavoro sistematico basato su combinazioni ogni volta differenti di terre e silicati da cuocere in tante diverse modalità; e qualcosa di concreto doveva già aver ottenuto quando, nel 1704, l'Elettore di Sassonia Augusto II il Forte gli chiese di sovraintendere al lavoro di un giovanissimo alchimista da tempo al suo servizio: Johann Friedrich Böttger. Come e con quali risultati i due abbiano collaborato non si sa; certo è che, quando l'undici Ottobre 1708 von Tschirnhaus improvvisamente morì, era pronta la formula per produrre una porcellana a pasta dura molto simile a quella cinese. Da Dresda il laboratorio fu trasferito a Meissen dove, nel castello di Albrechtsburg, si apprestò tutto il necessario per avviare, nel 1710, la produzione. Direttore della fabbrica: Johann Friedrich Böttger.
Per prima cosa la neonata manifattura sfornò una serie di campioni sperimentali che in quello stesso anno furono esposti alla fiera pasquale di Lipsia: il modo migliore per annunciare a tutti che, per prima, la Sassonia aveva svelato il mistero; e per mostrare quanti diversi oggetti erano realizzabili con la "nuova" sostanza. Fra quegli ammiccanti campioni, capaci di suscitare stupore e ammirazione, si ritiene ci sia stata perlomeno una pipa; e non c'è da meravigliarsi. Il fumo aveva un buon successo negli Stati tedeschi. Le pipe d'argilla chiara erano le più diffuse ma già a inizio Settecento ne circolavano in terre colorate, legno, metallo (fra i militari) e, in ambiti ristretti, anche in schiuma. Ora che la traslucida sostanza si produceva sul posto era ovvio e quasi inevitabile metterla alla prova anche nel campo degli arnesi da fumo. Del resto, negli ambienti esclusivi in cui già si conosceva e apprezzava la porcellana d'importazione, non si vedeva l'ora di acquistare qualsiasi cosa provenisse dalla nuova manifattura di Meissen. E fra quei raffinati c'era un discreto numero di estimatori delle pipe.
L'Elettore di Sassonia fece di tutto per mantenere il segreto sulle materie prime e i procedimenti utilizzati, addirittura impedendo a Böttger di uscire dal castello di Albrechtsburg; ma non funzionò a lungo. Dopo dieci anni scarsi apparve la prima manifattura concorrente, poi altre e altre ancora in molte parti d'Europa: Stati tedeschi e Francia soprattutto, ma anche Gran Bretagna, Cecoslovacchia, Danimarca, Olanda, Ungheria, Italia, Russia, Svizzera... Una reazione catena certo innescata da forme di spionaggio industriale; ma non è da escludere che altri, fuori dalla Sassonia, avessero perfezionato in modo autonomo "formule" simili a quella di Meissen. Il "nuovo" materiale traslucido diventò così un po' meno raro, perdendo anche in parte il suo alone di mistero; ma restò per molto tempo un prodigio della tecnologia, qualcosa di sorprendentemente bello, desiderabile, alla moda. Belle, desiderabili, alla moda furono a lungo (specie in terra tedesca) le pipe di porcellana.
Belle sì, ma che dire in fatto di fumabilità? E qui i pareri sono quasi tutti concordi: non erano buone pipe. La fascinosa porcellana era piacevole al tatto e alla vista; resistente alle sollecitazioni e al calore (ma non agli urti) rendeva possibili fornelli dalle pareti sottili, dunque leggeri; ma la sua pasta compatta e non porosa dava luogo a pronunciati fenomeni di condensa. Particolarmente fastidiosi, questi, nei primi anni di produzione quando il modello che si replicava erano le pipe olandesi d'argilla bianca; poi, di fronte all'inconveniente, fu giocoforza cercare soluzioni diverse partendo anche da quanto si sperimentava con fornelli di altri materiali. In effetti la ricerca era trasversale: accorgimenti ideati per le pipe di legno passavano a quelle di terracotta o porcellana e viceversa.
Un cambiamento importante rispetto alla classica monoblocco d'argilla bianca era già stata, nel corso del Seicento, l'apparizione nella città tedesca di Höhr di pipe in due (tre) elementi: la testa e il tubo di raccordo che in essa s'innestava portando all'altra estremità il bocchino. Forse un'invenzione locale, più probabilmente la conseguenza di contatti con la cultura turca del chibouk. In quanto alla condensa, poiché non la si poteva evitare si cercò di prenderla di petto per meglio tenerla sotto controllo. In alcune pipe del Settecento si notano, lungo il tubo di raccordo (il più delle volte in legno) strane protuberanze abbinate a ingrossamenti del tubo: in quei punti il condotto interno si allargava provocando l'espansione del fumo e la conseguente condensa lungo le pareti; le protuberanze altro non sono che "tappi" a pomello sbloccando i quali si poteva drenare la parte umida. Questi pomelli di drenaggio sono solo un esempio delle prime soluzioni immaginate, ma già c'era chi cercava accorgimenti più razionali ponendo un'adeguata camera d'espansione immediatamente "a valle" del fornello; il tubo di raccordo s'innestava in questo elemento; staccandolo si poteva accedere all'interno per la pulizia. In molti casi i due elementi erano abbinati nello stesso blocco di legno, terra o porcellana: esempi di questo tipo si trovano lungo tutto l'arco dell'Ottocento; ma in quello stesso secolo si affermò una soluzione ancor più evoluta: la Gesteckpfeifem ossia "pipa in diversi elementi".
Era composta, si è detto, da diversi elementi il primo dei quali era il fornello. Il secondo era la camera d'espansione, detta anche "salivino", dove condensava la frazione umida. La sua forma era (in prima approssimazione) quella d'un tubo piegato a "Y": una delle estremità rivolte verso l'alto accoglieva la parte inferiore del fornello, nell'altra s'innestava il lungo tubo che terminava col bocchino e costituiva il terzo elemento. Il quarto era il bocchino stesso, ma prima del bocchino poteva esser interposto un raccordo flessibile come quelli dei narghilé. Il senso del tutto era che, lasciato il fornello, il fumo fluiva verso il basso e si espandeva nel salivino dove perdeva umidità; poi si avviava verso l'alto nel lungo tubo di legno raffreddandosi e raggiungendo finalmente la bocca. L'insieme delle varie parti, con il lungo tubo quasi verticale, la sagoma cilindrica del fornello quasi parallela al tubo e il bocchino poco inclinato rispetto all'orizzontale, ricorda oggi la sagoma d'un sassofono. Fu questa la conformazione più comune per le pipe in porcellana dell'Ottocento, specie in area tedesca; ma fu adottata anche per esemplari col fornello e il salivino in legno, ceramica, addirittura schiuma.
Visti oggi, gli strumenti del genere "Gesteckpfeife" ma anche quelli similari più semplici (anch'essi spesso riconducibili alla sagoma d'un sassofono) appaiono ben lontani dal concetto corrente di pipa; all'epoca erano nella norma e presentavano affinità anche con quelli di aree geografiche contigue. Fra terre tedesche e ottomane vi era in quei secoli una continua osmosi commerciale e culturale: ovvio ci fossero assonanze e parentele anche negli arnesi da fumo. Le tecniche di coltivazione e lavorazione dei legni particolari (soprattutto ciliegio) utilizzati per i lunghi tubi di raccordo erano molto simili, e furono presumibilmente i Tedeschi ad apprenderle dai Turchi. La stessa logica del fumo che, nella Gesteckpfeife, si genera nel fornello, scende nel salivino e poi risale verso il bocchino (e più in generale quella di tutte le pipe "a sassofono") ricorda quella dei narghilé nei quali il fornello è in alto, più in basso sta il recipiente dove il fumo gorgoglia nell'acqua, nuovamente in alto è la bocca di chi fuma; c'è chi addirittura ipotizza che i salivini fossero inizialmente riempiti d'acqua o foderati di spugne inumidite, proprio per riprodurre nella pipa occidentale lo stesso effetto di quella orientale ad acqua. E' plausibile insomma l'ipotesi che le pipe del Sultano abbiano in qualche misura influenzato quelle di una vasta area europea "prestando" materiali, soluzioni tecniche, spunti estetici.
Dopo aver seguito la complessa evoluzione di questi strumenti verrebbe da pensare che le sempre più efficaci soluzioni tecniche avessero risolto tutto; che (assieme a quelle in schiuma) le pipe dal fornello e dal salivino in porcellana fossero davvero il meglio; e forse era proprio così allora, o perlomeno i più ne erano convinti. Eppure oggi quasi nessuno le giudica buoni arnesi da fumo: perché questa enorme differenza? Consideriamo che diversi erano i generi di tabacco e le pipe a disposizione, il modo di vivere e valutare l'esperienza e le sensazioni legate al fumo, la sensibilità estetica, la valenza sociale del fumare. La porcellana, che a noi appare qualcosa di assolutamente normale, era vissuta come eccezionalità tecnologica piacevole da guardare e toccare, simbolo di agiatezza e prestigio: specie nel Settecento, ma anche nel secolo successivo quando le manifatture si moltiplicarono e si ampliò la fascia dei consumatori. In particolar modo la Gesteckpfeife in porcellana era vista come l'essenza del progresso. La possibilità di pulire a fondo i pezzi principali la denotava come il modo più sano di vivere il fumo, e non pesava più di tanto la continua necessità di smontaggio e rimontaggio: rientrava piuttosto nella ritualità dell'oggetto. Ma il motivo fondamentale del suo successo fu probabilmente un altro.
Le teste di pipa in porcellana del Settecento sono una festa di colori e di forme: motivi decorativi a tutto tondo, corolle di fiori, corpi di animali, teste umane; appaiono i primi fornelli da Gesteckpfeife. Nell'Ottocento questi prendono il sopravvento imponendo la loro precisa modularità: un cilindro ovoidale dalla liscia superficie che si conclude in basso col tubetto da innestare nel salivino. E la liscia superficie è supporto perfetto per ogni genere d'illustrazioni. A parte i dipinti nelle case altolocate e nei luoghi pubblici, le illustrazioni disponibili nel Settecento si limitavano a silografie e calcografie, cui dai primi decenni dell'Ottocento si aggiunsero le litografie prima in bianco e nero e più tardi a colori; ma la grande marea di stampe che avrebbe dato inizio alla civiltà delle immagini arrivò solo alla fine del secolo. Molto prima i piatti, i vasi, le tazze, le scatole in porcellana si erano riempiti di figure colorate e raffinatissime: piccoli quadri tascabili con i quali adornare la tavola e gli ambienti domestici. Le stesse immagini dipinte finemente a mano sui fornelli delle pipe - pipe grandi, vistose che la gente portava sempre con sé - furono il modo più efficace per adornare le persone, le quali attraverso i loro strumenti da fumo illustrati trovarono il modo e il gusto di lanciare messaggi.
Le illustrazioni sulle loro pipe non indicavano solo preferenze estetiche o tematiche: anche idee politiche, appartenenza a un reggimento dell'esercito, a una professione, a un'associazione, a un'università. Nell'Ottocento, in area tedesca, esistevano negozi fornitissimi nei quali si poteva scegliere fra una miriade di soggetti raffigurati sulle pipe; ma c'era anche la possibilità di ordinare fornelli personalizzati scegliendo immagini, dediche, stemmi, motti. Il fumatore di un certo lignaggio si ritrovava a non avere una sola pipa di porcellana ma un buon numero di esse, frutto di successivi acquisti ma anche di doni che ci si scambiava fra amici. Al di là della funzione pratica, le pipe in porcellana diventarono mezzo di comunicazione; addirittura, andando in una località, si tornava con una pipa souvenir corredata di veduta, a eventi importanti corrispondevano pipe commemorative.
L'estetica di questi strumenti non si limitava alle immagini sul fornello o talvolta sul salivino: anche l'oggetto nel suo insieme appariva ben curato. Aveva una lunghezza variabile dai trenta ai centoventi centimetri, e in questi casi diventava davvero monumentale; il tubo era prodotto in diverse specie di legno variamente finito ma anche in corno, osso o addirittura avorio, con particolari metallici specie (ma non solo) in corrispondenza dei punti di assemblaggio, aggiunte preziose, fiocchetti, catenelle che servivano ad assicurare i pezzi l'uno all'altro o ad appendere la pipa a un bottone della giacca. Spesso il fornello era corredato di coperchietto metallico più o meno rifinito ed elaborato... Per tutto l'Ottocento la moda dilagò. Viaggiatori che capitavano in area tedesca si meravigliavano dell'uso così intenso ed esteso della pipa, della grande varietà di modelli, in particolare delle splendide immagini a colori dipinte sui fornelli in porcellana. Poi tutto questo finì.
Nel 1895, a 24 anni dalla costituzione dell'Impero Tedesco, la nuova entità nazionale poteva annoverare ben 1536 fabbriche di porcellana che esportavano in varie parti d'Europa e del mondo: dal misterioso e fascinoso materiale così amato nel Settecento si era semplicemente passati un buon prodotto industriale. Le stesse pipe di porcellana avevano perso un po' alla volta l'alone di perfezione ed esclusività: da oggetti di gran lusso, frutto di raffinatissime lavorazioni, si erano in gran parte ridotte a prodotti di grande o piccola serie. A fine secolo molte delle illustrazioni non erano più dipinte a mano ma, mediante diverse tecniche di riproduzione, la stessa immagine era meccanicamente moltiplicata su grandi quantità di esemplari. Intanto, attorno al 1850, aveva iniziato a farsi notare un nuovo genere di "legno da pipa" destinato a rivoluzionare non solo l'aspetto dell'arnese da fumo ma la mentalità, i gesti, i parametri di valutazione, le stesse esperienze sensoriali legate al tabacco. La radica comportò un cambio di passo epocale che sconvolse, in positivo, il mondo della pipa; in un tempo relativamente breve tutti o quasi i materiali che l'avevano preceduta divennero obsoleti. Quando oggi ci chiediamo come mai nel Sette e Ottocento si apprezzava così tanto il fumo di strumenti complicati oltre che "illustrati", possiamo sempre considerare che la radica quei fumatori non l'avevano mai conosciuta.
Girando per negozi di souvenir di area tedesca si può trovare ancor oggi qualche pipa in porcellana, ma nessuno immagina di fumarle: trattasi solo di souvenir. In quanto agli esemplari d'epoca, stanno nei musei e nelle collezioni: oggetto di attenzioni e ammirazione da parte di chi sa comprendere la loro un po' datata raffinatezza. Ma di usarle per fumare nemmeno se ne parla.
Le pipe fotografate in questo articolo fanno parte della Collezione Al Pascià
Per approfondimenti, vi suggeriamo la consultazione del libro di Ben Rapaport e Sarunas "Sharkey" Peckus"The European Porcelain Tobacco Pipe. Illustrated History for Collectors (2014)"