Difficile descrivere un'emozione, specie se complessa coinvolgente e allo stesso tempo semplice come quella che ci arriva da un buon bicchiere di vino. Si può viverla in tanti modi; ma solo attraverso le tappe d'un crescendo sensoriale che impegna ed esalta, l'atto altrimenti "normale" del bere si tramuta in qualcosa di unico e speciale.
Il primo momento è quello delle scelte. Il vino in primo luogo, in base ai gusti, alla stagione e, se si è a tavola, alle portate. Ma il vino va versato in un bicchiere, quello adatto. In generale: una coppa abbastanza ampia per i rossi, un calice più sviluppato in altezza per i bianchi; ma per chi non si accontenta c'è una scelta più ampia di opzioni.
La bottiglia è stata aperta nei tempi opportuni, la temperatura è quella giusta, non rimane che versare: è l'attimo vibrante in cui il vino entra in scena. Tutti gli sguardi su di esso mentre si agita e si assesta nel bicchiere: mille riflessi portano alle prime sensazioni e all'attesa di quelle che verranno. Se ne mesce una piccola quantità, senza esagerare.
Reggendo il bicchiere per la base o per lo stelo lo si porta all'altezza degli occhi valutando la trasparenza e, se è il caso, l'effervescenza; poi lo si inclina dando una leggera rotazione alla bevanda, spingendola fin quasi ai bordi mentre la massa del liquido s'assottiglia: è il momento di guardare al colore. Fra le infinite sfumature possibili, il nostro vino ha una sua gamma: la si coglie al meglio usando come sfondo qualcosa di bianco, un tovagliolo o un semplice foglio di carta. Mentre raddrizziamo il bicchiere il vino si ritira, più o meno velocemente, dal bordo lasciandovi una serie di caratteristici "archetti", più o meno spessi, dai quali si staccano "lacrime", più o meno veloci nel discendere: dalla valutazione di tutto ciò si iniziano a indovinare la consistenza e il tenore alcoolico. Ora lasciamo il vino un po' a riposo.
I suoi effluvi sono abbastanza avvertibili fin dal momento in cui lo si versa: già allora, se qualcosa non va, è un odore sgradevole o sospetto a denunciarlo e lì s'interrompe il percorso appena intrapreso. Se invece ci arrivano solo invitanti profumi, questi sono volutamente lasciati sullo sfondo finché l'analisi visiva non è conclusa. A questo punto avviciniamo al naso il bicchiere e iniziamo ad annusare: intensamente, senza fretta, concedendoci attimi di pausa fra un'inspirazione e l'altra. Così, a vino fermo, si percepiscono solo quei "sentori" fondamentali che corrispondono alle molecole aromatiche più volatili; per scatenare gli altri bisogna lavorare di polso, muovere il bicchiere in modo da imprimere al vino un calibrato movimento rotatorio: evapora così una certa quantità d'alcool capace di trascinare e sprigionare nell'aria le molecole aromatiche pesanti. Ora che tutti i profumi di cui il vino è capace sono in circolazione, non rimane che percepirli e individuarli uno a uno. E' il momento di correlare quanto l'occhio e il naso hanno percepito, trovando le giuste rispondenze fra le informazioni dell'uno e dell'altro. Ma manca ancora una tappa importante: la più importante.
Portiamo finalmente il bicchiere alla bocca, assumiamo una piccola quantità della bevanda e mettiamoci "in ascolto". E' il momento della massima concentrazione. Ognuno ha i suoi modi per far sì che l'organo del gusto, la lingua, entri in contatto intimo e completo col vino: lievi movimenti del capo, delle guance, delle mascelle, della lingua stessa. In pochi secondi si accavallano sensazioni di dolce, acido, salato, amaro, caldo, astringente, effervescente... Si inspira anche un po' d'aria ossigenando il vino e così, espirando dalle narici, si attivano anche i sensori del naso. Tante distinte percezioni dalla vista, dall'odorato, dal gusto, dalle sensibilità tattili della lingua: vanno isolate e identificate, ma l'emozione autentica viene dal loro sommarsi e confondersi. La sensazione di completezza che si prova è la consapevolezza che quel vino non ha più segreti per noi. E conoscerlo è la maniera migliore per goderlo.
A questo punto l'assaggiatore professionale espellerebbe il prezioso liquido, pronto ad assaggiarne una nuova diversa varietà; ma noi ce ne guardiamo bene. E' il momento di mandar giù quel buon vino: un sorso, un altro sorso, con misura naturalmente ma col piacere di provare quel senso di caldo benessere che la bevanda ci dà. Se si è fra intenditori, è anche il momento di godere insieme di tutte le sensazioni provate, moltiplicandole in uno scambio di opinioni.
Difficile descrivere un'emozione, specie se complessa coinvolgente e allo stesso tempo semplice come quella che ci arriva da una buona pipata. Si può fumare e basta, senza nemmeno pensarci; ma, come il nettare dell'uva, anche il fumo del tabacco ha la sua nobiltà: attende solo di essere svelata attraverso un percorso di conoscenza per molti versi simile a quello che un buon vino richiede ai suoi estimatori.
Per prima cosa vengono le scelte. Anche quella fra le tante varietà di tabacco è ardua, molto personale e legata alla circostanza; in genere sono le lattine a contenere i tabacchi più pregiati, consentendone la migliore conservazione. C'è poi bisogno d'una pipa, quella adatta naturalmente. E qui l'abbinamento è molto più variabile, meno obbligato rispetto a quello che, in caso di vino e bicchiere, suona: rosso/coppa, bianco/flute. Una certa relazione preferenziale esiste fra certe miscele e certe pipe, per il resto c'è libertà totale: dipende solo dai gusti, dalle esigenze, dalle abitudini fumatorie, addirittura dall'umore del momento. Ma ogni volta lo stesso fatto di scegliere costituisce un piacere particolare: momento personale e creativo è quello in cui "posso decidere" quale tabacco, quale pipa.
La lattina è ancora chiusa davanti a noi. C'è attesa nell'aria. Ci attardiamo ancora un attimo a guardare il colore, le scritte, i motivi decorativi della confezione e poi procediamo all'apertura. E' l'attimo vibrante in cui il tabacco entra in scena. Prima ancora dello sguardo, sono le dita a penetrare nel recipiente e nella massa di miscela al suo interno mentre un caratteristico profumo si spande intorno. Attraverso le dita possiamo subito intuire il grado di umidità ma anche la consistenza, variabile col taglio e le altre peculiarità legate alla preparazione. Sono le prime sensazioni, e già se ne immaginano altre nel momento in cui le dita escono dalla lattina abbracciando una piccola quantità del fragrante prodotto.
La pipa è già pronta, ma non c'è fretta: se si adagia la miscela su una pelle chiara si potrà godere dei diversi colori dei suoi frammenti, indovinando da quali tabacchi di base provengano. Valutando con lo sguardo e con il tatto il taglio, la pezzatura, le particolari caratteristiche di una varietà pressata. Annusando con voluttà la massa screziata, apprezzando le tante sfumature del profumo "a crudo". Ma la pipa aspetta, è il momento. Caricare è un'arte, che si declina in un mondo di diverse varianti: c'è chi procede a piccole prese secondo una precisa metodica sequenza, chi senza problemi affonda la testa della pipa nel prodotto recuperandola già colma e riassestando poi il tutto con pochi colpi di dito o di pigino. Dopo un'ultima annusata, si accende: ed ecco il fumo.
Un fumo "lento": il migliore per apprezzare fino in fondo un tabacco. Aspirazioni leggere, cadenzate, portando la pipa al limite dello spegnimento: il fornello non si scalda troppo, il fumo arriva tiepido, pronto a caricarci di sensazioni. Si può introdurne in bocca una moderata quantità, lasciarla stazionare per qualche secondo, spingendola con la lingua contro il palato, espirandola poi attraverso il naso. Oppure, dopo averlo trattenuto, si espelle il fumo dalla bocca, poi si immette nuova aria e la si espira dal naso. C'è anche chi annusa la nuvoletta di fumo proveniente dal fornello chiedendo anche in questo caso al naso di emettere giudizi olfattivi. Ma il fumo, soprattutto, si gusta. Da circa metà fumata in poi le sensazioni gustative si moltiplicano, ed è qui che come col vino (ma in quel caso prevalgono i profumi) si avvertono aromi di ogni genere: dal cioccolato alla ciliegia al bourbon. Aromi delicati, a volte appena percettibili, suonano ogni volta per noi il loro particolarissimo concerto. Se la pipa è in radica è anche il legno a dare il suo pur minimo contributo, diverso da pipa a pipa, al profumo e al gusto; e anche di questo si deve tener conto nel momento di abbinare pipa e tabacco. Ma è la percezione complessiva che conta: le esperienze sensoriali, quelle vibrazioni inesprimibili che solo il tabacco sa innescare e insieme la gioia di aver "conosciuto" a fondo la nostra miscela in tutte le sue qualità e sfaccettature. Se poi si è fra intenditori, è anche il momento di godere insieme di tutte le sensazioni provate, moltiplicandole in uno scambio di opinioni.
Sempre difficili da descrivere, le emozioni. Ancor più arduo immaginarle se a viverle è stato qualcun altro, altrove, in altro tempo. Stupore, paura, eccitazione, spaesamento? Cosa pensò quell'uomo che, forse ottomila anni fa o forse più, sicuramente per caso, si trovò a sorseggiare per primo il succo d'uva fermentato? Bevanda di cui conosce già molto Siduri, "la donna della vigna, colei che faceva il vino", quando incontra Gilgamesh, re della città sumerica di Uruk alla ricerca del segreto dell'eternità, e lo invita a godere piuttosto le gioie della vita. Lo leggiamo in una storia antica, l'Epopea di Gilgamesh: impressa in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla, risale almeno al XVIII secolo prima di Cristo. E' il primo testo scritto nel quale si parli di vino. Molti altri ne parleranno, con i caratteri e gli idiomi di tante civiltà attorno al Mediterraneo.
Sul tabacco invece, prima che ci sia qualcosa di scritto hanno da passare i secoli e i millenni: c'è da aspettare l'impresa di Colombo e le cronache di chi lo seguì. Che cosa sia accaduto prima si può dedurre solo da ritrovamenti archeologici, da tradizioni orali; ma lo stupore, la paura, l'eccitazione, lo spaesamento dei primi che per caso, ottomila anni fa o forse più, respirarono i fumi emanati da quelle foglie accese non furono certo inferiori a quanto provarono i primi bevitori di vino. Nell'uno e nell'altro caso era evidente, a volte violenta e sconcertante, l'alterazione dello stato mentale provocata da sostanze ben più "forti" e rozze di quelle di oggi. Veniva naturale provare timore reverenziale di fronte a qualcosa che non si riusciva a spiegare né a padroneggiare, e che dunque necessariamente discendeva da una realtà ultraterrena.
La vite piantata da Noè (o addirittura da Adamo) era protetta da Osiride, donata agli uomini da Dioniso, o da Bacco. Di civiltà in civiltà, miti e leggende si legano al vino: sostanza a lungo riservata a sacerdoti e notabili, legata ai riti e alle logiche del sacro, capace di interfacciare il mondo di sotto con quello di sopra. Esattamente come il tabacco: strumento iniziatico dei sacerdoti Maya e Aztechi, canale privilegiato di contatto con il Grande Spirito (che lo aveva donato agli uomini rossi) per le tribù autoctone del Nordamerica. Vino e tabacco divennero veicoli di saggezza, se usati con equilibrio seguendo regole di moderazione: l'uno nelle civilissime conversazioni legate alle pratiche del Simposio presso Greci, Etruschi, Romani, l'altro negli ispirati consessi sotto un teepee in cui si prendevano decisioni, si stringevano alleanze, si affidavano gli accordi di un trattato alle volute del fumo dirette verso il cielo.
Sappiamo solo qualcosa sulle tecniche agricole dei nativi americani che, ai tempi di Colombo, coltivavano la Nicotiana Rustica secondo regole e rituali arcaici e già applicavano primitive modalità di cura. Sappiamo di più, dalla ricca documentazione scritta e iconografica di tante fonti epistolari, contabili, catastali, tecniche, artistiche, letterarie, sui modi di coltivazione della vite, di preparazione smercio e consumo del vino presso tanti popoli antichi e meno antichi. Due percorsi per certi versi simili ma così diversi: l'uno ricco di fatti precisi lungo il cammino, l'altro appena percettibile attraverso indizi suggestioni echi e bagliori. Eppure quando, in quei fatidici giorni del 1492, tre caravelle giunte dall'Europa penetrarono in un mondo misterioso e inaspettato destando curiosità e sconcerto in coloro che lo abitavano, ecco che i due percorsi, le due piante, i due prodotti, le due storie si trovarono di colpo proiettati nella stessa dinamica realtà.
Finiva il Quattrocento, e le prime navi di ritorno dalle "Indie Occidentali" portavano in Europa tante cose mai viste. Sbarcato nei diversi porti, utilizzato da chi già aveva imparato a fumarlo in America, il tabacco trovò un mondo ignaro della sua esistenza e impreparato al suo arrivo, animato da sentimenti contrastanti di fronte a quel fumo che "si beveva" e poi usciva dalla bocca, dalle narici... Il vino, al contrario, non induceva più alcun stupore: noto ormai da millenni, prodotto in tanti territori europei, ben consolidato nelle abitudini, radicato nella cultura, diversificato nelle tipologie e perfezionato nelle lavorazioni, aveva da tempo espanso la sua area d'influenza ben oltre l'ambito religioso ed elitario dei primordi mettendo in moto realtà economiche di tutto rispetto. Divenuto elemento non trascurabile della normalità, faceva per così dire "parte del paesaggio". Ci vollero cent'anni prima che il tabacco si radicasse davvero nel vecchio mondo, abbandonando da subito i legami ancestrali col sacro, passando per una fase intermedia legata a supposte doti farmacologiche, facendosi poi apprezzare per quanto era (ed è) in grado di offrire ai fumatori. Diventando così anch'esso "qualcosa di normale".
L'incontro dell'America col vino avvenne per la maggior parte tramite gli Europei che lì sbarcavano e si radicavano; in primo luogo i religiosi, per i quali il prodotto dell'uva era elemento essenziale della liturgia; e poi gli altri, che desideravano conservare e perpetuare una piacevole abitudine. Fin dall'inizio si tentò di trapiantare nel nuovo mondo le viti europee, incontrando però enormi difficoltà specie al Nord, o di domesticare le più resistenti viti selvatiche autoctone; sforzi che portarono a consistenti risultati solo nell'Ottocento. Il tabacco, da millenni patrimonio dei nativi americani, attirò quasi subito l'attenzione dei nuovi venuti i quali si misero a selezionare le specie più adatte, a perfezionare le tecniche di coltivazione e cura, ponendo le basi di una vera e propria industria. Così quello che era stato il potente tramite fra terra e cielo si trasformò ben presto, anche su terra americana, nella piacevole e normale sostanza che conosciamo.
A partire dal 1600 insomma, decennio più decennio meno, tabacco e vino rientrano entrambi nel novero dei generi di consumo. Da allora hanno viaggiato per terra e per mare allargando ogni volta il loro orizzonte. Hanno seguito percorsi evolutivi complicati fatti di graduali cambiamenti, salti improvvisi, tante difficoltà da superare. E intanto hanno agito nella società convivendo spesso negli stessi ambienti, nelle stesse situazioni pubbliche e private. Due prodotti così diversi, eppure in qualche modo apparentati da una serie di affinità. Certo, c'è una bella differenza fra la liquida sostanza da sorseggiare e il frusciante insieme di frammenti da accendere per ricavarne "soltanto" un po' di fumo. Ma quel fumo, quella bevanda, una volta in bocca stimolano in modi abbastanza simili gli stessi organi sensoriali; e nemmeno così differenti sono le piacevoli sensazioni che procurano quando li si assume con moderazione. Quel fumo, quella bevanda hanno una genesi complessa che comincia da un seme, da una pianta a suo modo straordinaria mitica e magica, da un clima, da un terreno, da una precisa ma diversificata tecnica di coltivazione e di raccolta. Grappoli maturi e foglie odorose passano poi per una serie di processi: diversi, come lo sono lo stato liquido e lo stato solido, eppure simili quando parliamo di fermentazione, affinamento, stagionatura, invecchiamento. Alla fine di tutto questo, dopo aver traversato a volte mezzo mondo, vino e tabacco arrivano ben confezionati e invitanti a casa nostra; sta a noi decidere cosa farne: lasciarli intonsi attendendo l'occasione giusta, gustarli in momenti diversi, oppure addirittura insieme.
Abbinare vino e tabacco non è una novità: lo si è fatto in tanti luoghi e in tante epoche, in modi improvvisati o seguendo precisi criteri e abitudini. Una delle regole più ovvie è quella di cercare un buon feeling fra l'una e l'altra sostanza: tabacco biondo e leggero con un buon bianco, tabacco scuro e robusto con un rosso di carattere, per fare il classico esempio; ma è solo un inizio da cui partire. Accostare un tabacco a un vino è arte sottile alla quale si arriva per gradi, con pazienza e un certo impegno considerando sempre che si tratta di una ricerca personale e soggettiva. Trattandosi di una degustazione complessa che coinvolge due sostanze, riuscirà meglio se si ha già esperienza in degustazioni separate di tabacco e di vino. Poiché l'aroma del tabacco persiste meno di quello del vino, meglio assumere questo per primo e attendere qualche secondo prima di passare alla pipa; a questo punto ci vuole una pausa per assaporare con calma tutte le sensazioni che l'abbinamento ci dà. Si passerà poi a un nuovo sorso e a una nuova boccata, comodamente seduti in cima al mondo, mentre ci stanno intorno principi ittiti intenti a una libagione, sacerdoti Maya che aspirano fumo da un tubo, colti convitati di un Simposio che bevono dalle coppe, i marinai di una nave vinaria piena di anfore, gli avventori chiassosi di una taverna francese, gli azzimati ospiti di un party, gli scatenati adoratori di Dioniso, gli impegnatissimi fumatori alla corte del re di Prussia...
si ringrazia per le immagini @Tenute Pacelli