Argilla bianca di rozza fattura, stelo di una decina di centimetri; diametro interno del barilotto, leggermente inclinato in avanti, non oltre i sei millimetri. Ma di quelle "cose" ce n'erano anche, a forma di mestolo, più piccole ancora... Quando nel Settecento riemergevano da uno scavo o per l'azione d'un aratro, attiravano l'attenzione: minuscole com'erano, si immaginava non fossero appartenute agli umani ma alle fate, agli elfi. Sorridevano gli studiosi di tali fantasie, e con ponderata supponenza attribuivano ad epoche remote quelle pipe che, in realtà, non erano poi così anziane: anno più anno meno, non risalgono a prima del 1570. In quanto alle dimensioni, erano pienamente coerenti con l'altissimo prezzo del tabacco in Inghilterra a fine Cinquecento. Son queste le progenitrici d'una vastissima produzione di oggetti da fumo che, partendo da Londra, si sarebbe poi diffusa... in tutta Europa? Non esattamente: le radici delle tante pipe europee vanno cercate anche altrove.
Ma torniamo a Londra, dove le piccole pipe aumentano gradualmente le dimensioni man mano che decresce il prezzo del tabacco e migliorano le tecniche di produzione, mentre si avverte la concorrenza degli Olandesi, i quali già hanno fornelli più ampi e allungati con steli corti, medi, lunghi: la loro pipa "da ufficio" va dai 30 ai 50 centimetri di stelo; l'amatissima "Gouwenaar" di centimetri ne fa un'ottantina. Per la cronaca, "Gouwenaar" significava semplicemente "di Gouda", la città leader nella produzione delle pipe; un po' per volta anche in Scozia, Irlanda, Baviera e altri Stati tedeschi, Fiandre, Svezia, Austria, Francia apparvero artigiani, manifatture: tutti dediti alla produzione delle pipe monoblocco, stampate in argilla bianca o perlomeno chiara, nate in Inghilterra su modello americano e perfezionate in Olanda. Ma l'Europa è grande: qualcosa di diverso accadeva più a Est, in quella parte di Impero Ottomano che, a inizio Seicento, si estendeva a tutti i Balcani fino all'Ungheria.
In Turchia, in ambiti ristretti, il fumo di pipa era già noto nel 1599 ma la data del suo vero esordio va spostata in avanti di qualche anno, attorno al 1605. Si ritiene che gli arnesi inizialmente utilizzati somigliassero per molti versi a quelli inglesi, e del resto erano stati naviganti inglesi a introdurli: con un'argilla chiara o grigiastra diversa da quelle di Broseley o Gouda si foggiavano fornelli semplici dotati di stelo; le dimensioni erano molto piccole, legate anche qui al prezzo del tabacco. Non ci volle molto, però, perché a quei primissimi esemplari subentrasse qualcosa di sostanzialmente diverso; e qui conviene tornare indietro di qualche decennio per ritrovare un personaggio già incontrato in queste note.
A portare per la prima volta il tabacco in Inghilterra era stato, nel 1564, Sir John Hawkins, cugino di Sir Francis Drake, navigatore, mercante, progettista navale e tanto altro. In quell'epoca Hawkins era impegnato in traversate atlantiche con piccole flotte che, nel viaggio d'andata, trasportavano persone da vendere come schiavi; fonti autorevoli suppongono sia sua la responsabilità d'aver introdotto in Africa (Golfo di Guinea) un genere di pipa utilizzato dagli indigeni della Florida e del delta del Mississippi. Non monoblocco come quelle londinesi ma in due parti componibili: la testa in terra con il fornello e un corto cannello, un pezzo di canna che faceva da stelo e da bocchino. Dal Golfo di Guinea quel tipo di pipa impiegò qualche decennio ad arrivare sulla costa del Mediterraneo e poi a percorrerla verso Est, adattandosi alle esigenze locali e ai materiali reperibili. Fu a Istanbul non troppi anni dopo l'apparire del modello ispirato alle pipe inglesi, e in poco tempo lo sostituì estendendo presto la sua presenza in tutto l'Impero Ottomano.
La genesi del chibouk si può ipoteticamente ricostruire sulla base di scarse documentazioni e recenti ricerche archeologiche. La testa era relativamente grande, e la grandezza aumentò col tempo; ben evidenziata era la separazione fra il fornello, il cannello e la parte cava che li collegava. In una prima fase la materia prima fu quella terra chiara o grigiastra di cui già si è detto; poi gradualmente, prima di fine Seicento, si passò ad argille dalle tonalità arancio, rosse, rossastre. A seconda dei tempi e dei luoghi le forme furono molte e differenziate, più o meno raffinate, evolvendo rapidamente verso un'interessante complessità di decorazioni superficiali. Il fusto di una canna, di per sé cavo, poteva esser la soluzione più immediata per il tubo di raccordo, ma una raffinata clientela esigeva qualcosa di più e di meglio: abili specialisti s'ingegnarono a trovare le essenze più adatte, studiando mille accorgimenti grazie ai quali le pianticelle crescessero diritte e senza difetti; provetti artigiani trovarono il modo di praticare in quei piccoli tronchi un foro diritto e assiale. Altri artigiani decorarono quegli "steli", che funzionavano da tubi di raccordo collegando la testa al bocchino: realizzato impeccabilmente con la preziosa ambra dei mari del Nord, era questo il terzo elemento del cibouk.
Guardando alle differenze fra pipe "inglese" e ottomana va considerato che il fornello dell'una e la testa dell'altra, pur differenti, risultavano da modalità di produzione abbastanza simili e materiali non troppo dissimili; lo stelo-bocchino dell'una e il tubo di raccordo dell'altra, invece, erano profondamente diversi sia per materiale e tecnologia impiegata, sia per il fatto che il primo era rigido e fragile, il secondo elastico e relativamente resistente. In entrambi i casi, a Londra e a Istanbul, erano i più benestanti a ostentare la pipa più lunga: oggetto ingombrante che richiedeva spazio, calma e non troppi assilli da lavoro e in cambio dava il fumo più fresco. Ma in Occidente la lunghezza era limitata dalla fragilità, in Oriente poteva arrivare in casi eccezionali anche a tre metri; in ogni modo, anche senza raggiungere questi eccessi, la superiorità pratica del tubo di legno non era in discussione.
Il chibouk, o qualcosa di simile, era fabbricato in diversi luoghi del Mediterraneo ottomano; passato il Bosforo due importanti centri di produzione si trovavano a Istanbul e Burgaz: è questo il nome antico di una città vicina a Edirne che oggi si chama Lüleburgaz; in lingua turca il prefisso Lüle significa "pipa". In Grecia c'era Giannitsa, in Macedonia; in Bulgaria Sofia e Varna; nell'attuale Romania la valle di Birgau, in Transilvania. I chibouk venivano prodotti pure in altri luoghi grandi e piccoli dei Balcani; ma anche oltre la frontiera con l'altra Europa (frontiera sempre in movimento per via delle guerre), l'influenza di queste pipe si fece sentire.
Lunghi erano i confini dell'Impero Ottomano con i territori costieri balcanici di Venezia; nel Mediterraneo orientale stavano importanti possedimenti di San Marco. Venezia conosceva già bene le pipe ottomane quando, probabilmente negli anni Trenta del Seicento, iniziò nel suo entroterra, a Chioggia, la fabbricazione delle pipe. Strumenti che a quelli "inglesi" somigliavano ben poco: terra rossastra per la testa (che poi, nel corso dei secoli, avrebbe modificato il colore fino a un caratteristico giallo-avorio), tubo di legno il più delle volte in marasca, ciliegio selvatico. Era una versione più rozza delle classiche pipe turche, con lunghezze del tubo ridotte e dunque più portabilità e praticità; di bocchini d'ambra, nessuna traccia. Questi arnesi erano molto apprezzati dalla gente di mare ma anche da quella comune insediata sulla terra, per la quale una pipa robusta e affidabile costituiva un valore. Altri centri di produzione ci furono in Abruzzo, Puglia, Calabria: anche qui la testa in terracotta e il tubo di legno costituirono la norma.
A stretto contatto con gli Ottomani rimase per lungo tempo la città di Debrecen, nella pianura ungherese a Est di Budapest, dove nel 1680 fu costituita una gilda di vasai: è presumibile che già in quell'epoca facessero anche le pipe, la cui presenza è attestata con certezza nel secolo successivo. "Debrecen" è tra l'altro una denominazione molto nota a chi apprezza le pipe di area ungherese, caratterizzata da una particolare forma della testa. Ma di questo genere di steli o tubi in legno applicati a teste d'argilla ne troviamo altri in Europa occidentale: rinomata in questo senso era la cittadina di Höhr, vicino a Colonia. Da tempo specializzata in ceramica, nei primi decenni del Seicento faceva già pipe a buon prezzo che imitavano quelle olandesi. Nel corso del secolo arricchì la sua offerta optando per una tipologia a grandi linee ottomana: testa in terracotta, tubo staccabile in legno di ciliegio.
Sempre sui "tubi" in legno vale la pena di leggere un brano dal libro "Il Tabacco" di Don Benedetto Stella, edito a Roma nel 1669: "Da Inghilterra, e dall'Olanda sono venuti in queste nostre parti altri Tubi, ò Pipe fatte di terra, e queste commodissime, perche sono ancor loro in due pezzi, cioè uno è fatto di terra, e vi si aggiunge l'altro di canna, di metallo, di vetro, di legno. o di qualunque altra materia, che sia, quale si connette eccellentemente nel buco più picciolo, e per esso s'attrahe il fumo, che vien sempre più unito, e suave alla bocca" Poche righe, ma ricche d'informazioni. Queste pipe son giudicate "commodissime" proprio perché a due elementi componibili. Le teste, dichiarate di provenienza inglese e olandese, sono di fattura decisamente più occidentale che non quelle del tipo "chibouk"; una in particolare ricorda da vicino quella di un'attuale pipa in radica. Ma la cosa più interessante è la precisazione che il secondo elemento può esser fatto di legno come di canna, di metallo, di vetro o di qualunque altra materia. In effetti, in quanto a pipe, si sperimentava di tutto già nella seconda metà del Seicento. Chi lavorava al canonico strumento d'argilla bianca, chi produceva le teste in terracotta e i tubi di legno cercava sempre nuove migliorie in ogni aspetto del lavoro: scelta, composizione, preparazione, lavorazione della materia prima, stampaggio dei pezzi o loro lavorazione al tornio, cottura, decorazione, coltivazione e preparazione delle parti in legno, accorgimenti per la connessione e la tenuta fra i diversi elementi... Altri, ben consapevoli dei limiti dell'argilla, bianca o no, mettevano alla prova altri materiali.
La fragilità dei pezzi in materiale argilloso da forno la sperimentavano un po' tutti e se ne facevano una ragione, ma per i soldati era diverso: come preservare le pipe dai contraccolpi delle battaglie, delle estenuanti cavalcate? Già durante la guerra dei Trent'anni (1618-1648) avevano avuto un certo successo fra i combattenti, specie austriaci e tedeschi, strumenti da fumo di ferro piombo o argento. Per i viaggiatori raffinati ce n'erano d'argento scomponibili o addirittura telescopici. Ma non sembrava quella la soluzione: a parte il sapore di metallo, questi oggetti tendevano a riscaldarsi in maniera intollerabile dopo qualche boccata.
Fin dal primo Seicento più d'uno aveva provato a impiegare anche per i fornelli quel materiale elastico e resistente che funzionava benissimo per i tubi di raccordo delle pipe ottomane; con ottimi risultati, salvo un dettaglio: il legno, se lo si scalda troppo, si accende. Come rimediare? Il libro di Stella, descrivendo alcune pipe di legno, ci dà un indizio: "Queste Pipe, acciò il fuoco non l'abbrugi sono nella parte di dentro incrostate con una certa materia che resiste al fuoco". E in effetti si poteva foderare l'interno con gesso, argilla, latta e altro. La produzione di questi strumenti totalmente lignei rimase a lungo un fatto locale e limitato, ma ben radicato nelle zone ricche di boschi specie in ambito tedesco e ungherese. Pur non trascurando la possibilità del rivestimento interno, che dava comunque complicazioni, si cercò innanzitutto il legno più adatto, più refrattario alla combustione: era quello più denso, più duro, dunque più difficile da lavorare. Quercia, faggio, ciliegio, olmo, ontano, noce, bosso... Meglio, quando possibile, legno di radice. Meglio legni preparati, depurati, opportunamente stagionati. Erano tentativi locali ma l'esperienza si affinava, le necessarie tecniche e maestrie si sedimentavano. Il 22 Maggio 1695 un certo Schaemer e un certo Fassbinder, rispettivamente tessitore e bottaio residenti a Geislingen, chiesero al Consiglio della vicina Ulm, città tedesca del Baden-Württemberg, di poter ufficializzare la loro attività di fabbricanti di pipe in legno. La richiesta fu negata ma rimane agli atti come il segno che, in quel centro affacciato sul Reno, qualcosa stava maturando nel campo delle pipe.
Intanto dal febbrile andirivieni dei mercanti, dal segreto lavorio in appartati laboratori, maturava il seme di altri nuovissimi materiali. A un certo punto del Seicento qualcuno aveva provato a far teste di chibouk con uno straordinario e leggerissimo materiale estratto dal sottosuolo della zona di Eskisehir, sull'altopiano anatolico fra Istanbul e Ankara. Il risultato era stato talmente interessante che l'uso delle pipe in Meerschaum si estese abbastanza rapidamente nell'Impero Ottomano. A fine Seicento in tanti Paesi dell'Europa Occidentale, ma solo negli ambiti più esclusivi, la schiuma di mare non era più una sconosciuta. Molto nota in quegli stessi ambienti era anche una fascinosa materia importata dalla Cina sotto forma di statuette, oggetti, preziose stoviglie, della quale era totalmente sconosciuto il metodo di fabbricazione. Per trovarlo tanti produttori di ceramica, tanti quotati alchimisti facevano tentativi in appartati laboratori, spinti e sollecitati dai loro potenti signori e finanziatori. Ma la soluzione del bianco mistero cinese era ancora di là da venire.
A fine Seicento le due pipe, quella occidentale monoblocco in argilla bianca e quella orientale in tre pezzi di diversi materiali, regnavano incontrastate e talvolta provavano a dialogare. Presto avrebbero incontrato agguerrite concorrenti destinate però, per molti versi, a seguire e reinterpretare il cammino che esse avevano tracciato.
Tavola dal libro "Il Tabacco" di Don Benedetto Stella, edito a Roma nel 1669: a destra due teste di pipa in "terra" cui andava abbinato il tubo, realizzabile in diversi materiali, che si vede a sinistra. La pipa al centro con l'animale "arrampicato" sul fornello non si riferisce alla parte di testo qui citata.