Si prenda una normale pipa inglese d'argilla di lunghezza media e la si spezzi in due lasciando circa un terzo dello stelo attaccato al fornello. Si prenda ora una "scatola" sferica costituita da due cupole semisferiche che combacino perfettamente; il colmo, forato, di ciascuna cupola ospiti un elemento di raccordo nel quale andrà inserita e fissata una delle parti della pipa: il troncone di stelo con il fornello di qua, l'altro troncone più lungo di là. L'effetto d'insieme è quello di una normale pipa che, con il suo stelo, trapassa una palla; quando le due cupole combacianti vengono staccate per aprire la scatola, a ogni semisfera resta solidale uno dei due pezzi della pipa.
Non è l'incubo notturno d'un fumatore, ma la serissima invenzione di un medico austriaco del Seicento, Johann Jakob Franz Vicarius; il quale, nel suo breve saggio in Latino pubblicato nel 1689 col titolo Novus ac proficuus valde modus fumandi tabacum (nuovo e molto proficuo modo di fumare il tabacco) spiega tutto in modo abbastanza chiaro e dettagliato.
Cuore dello strumento era una spugna intrisa d'aceto da inserire nella sfera. A detta di Vicarius il fumo che viaggiava attraverso di essa, entrando in contatto con l'aceto, vedeva attenuata la sua forza per via di una reazione chimica: l'esperienza fumatoria ne risultava suaviorem ac mitiorem, più soave e mite. Questa la visione d'un medico-scienziato del Seicento coinvolto nella diatriba fra sostenitori e detrattori del tabacco, non contrario all'aromatica pianta purché fosse fumata con quel suo metodo che, ne era convintissimo, avrebbe fatto molta strada. In effetti a Vienna qualcuno lo adottò, poi fu dimenticato. Secondo alcuni esperti di area tedesca Vicarius sarebbe un importante precursore e il suo strumento con palla un punto di snodo fondamentale nella storia della pipa: sembra un'esagerazione. Forse lo scarto di notorietà fra il medico austriaco e altri è che lui lasciò il suo testo scritto e datato, gli altri no; possiamo comunque considerare il saggio come una preziosa seppur parziale finestra sul complesso lavorio di tanti diversi tecnici e artefici intenti già allora a trovare nuove soluzioni per i fumatori.
Tornando alla sfera, le sue dimensioni non erano trascurabili: il diametro è circa un terzo della lunghezza della pipa originaria, fornello compreso. Vicarius suggerisce di realizzarla per tornitura con legno di bosso: molto duro, compatto, dunque facile da pulire oltre che, si immagina, meno soggetto a deformazioni. Ancor meglio -afferma - sarebbe farla in terra da forno smaltata, ma dopo le alterazioni della cottura le due semisfere rimarrebbero perfettamente interfacciabili? Usando invece un metallo, gli ossidi potrebbero interferire negativamente col fumo. E' molto attento ai materiali e ai limiti delle tecnologie a disposizione, lo scienziato-artefice Vicarius.
Alla fine di ogni fumata la spugna andava estratta e accuratamente sciacquata: specie dalla parte del fornello si riempiva di residui. Vicarius spiega il tutto con l'azione dell'aceto, tralasciando il fatto che era l'espandersi del fumo nella sfera a causare un raffreddamento che a sua volta induceva fenomeni di condensazione. In ogni modo non fu il medico austriaco il primo a concepire una camera d'espansione a valle del fornello per catturare e bloccare le componenti liquide e oleose del fumo: come del resto si accenna anche nel saggio, strumenti così concepiti si segnalano già attorno al 1670. La vera novità di Vicarius era la spugna con l'aceto.
A pochi anni dall'inizio del Settecento le forsennate ricerche sulla formula della porcellana ebbero finalmente esito positivo: a lavorare insieme in laboratorio erano stati il medico, matematico, filosofo, fisico, imprenditore Ehrenfried Walther von Tschirnhaus e il giovane e vulcanico alchimista Johann Friedrich Böttger, protetti stimolati e finanziati dall'Elettore di Sassonia Augusto II il Forte. Quando nel 1708 Tschirnhaus improvvisamente morì, si era già a buon punto. Nel 1710 fu aperta a Meissen, nel castello di Albrechtsburg, la prima manifattura europea; la quale, già fra i primi pezzi prodotti, annoverò alcune pipe. Nonostante gli sforzi dell'Elettore per conservare la segretezza, circa dieci anni dopo già sorgeva una manifattura concorrente; poi altre e altre ancora. E le pipe in porcellana erano in campionario.
I primissimi esemplari, eseguiti sul modello delle pipe di tipo inglese, trovarono subito compratori per la novità e la bellezza del materiale, ma dal punto di vista del fumo erano deludenti. Il problema della condensa, che la porosità dell'argilla bianca (e, in parte, della terra in genere) era in grado di attenuare, emergeva in maniera evidente con quella pasta traslucida e vetrificata. Quasi subito si abbandonò il modello inglese monoblocco per quello delle pipe ottomane o ancor più delle loro derivazioni occidentali: alla porcellana l'onore del fornello, al legno e ad altri materiali il tubo di raccordo e il bocchino. In quanto alla condensa, poiché non poteva esser bloccata, fu giocoforza cercar modi per intercettarla e tenerla sotto controllo: modi che, come abbiamo visto, qualcuno da tempo aveva cominciato a sperimentare. E così, nelle vicinanze della testa, lungo il tubo di raccordo in legno iniziarono ad apparire allargamenti del condotto: camere d'espansione del fumo corredate di pomelli sbloccando i quali era possibile lo spurgo. In molti casi queste camere si presentavano come piccole sfere: formalmente imparentate con la "palla" di Vicarius, ma meno evidenti e senza alcuna traccia d'aceto.
In alternativa alla porcellana c'era l'altro nuovo materiale da pipa in arrivo dall'Anatolia: la schiuma di mare. La sua struttura estremamente porosa rendeva molto più gestibile il fenomeno della condensa: grazie alla porosità la pipa "respirava", offrendo un fumo estremamente leggero e vellutato. Quel silicato idrato di magnesio era facilmente lavorabile; di contro, fragile e cedevole com'era, andava trattato con una certa cautela. Come nel caso della porcellana era la testa a essere di schiuma, o meerschaum come la chiamavano i tedeschi; il resto era in legno o in altri materiali. Le prime ad arrivare nelle terre degli Asburgo erano state teste da chibouk foggiate alla turca e sobriamente decorate che gli operatori di Vienna, Budapest e altre zone tedesche facevano semplicemente rifinire sul posto. Ben presto però l'esotismo delle teste turche non bastò più: si passò all'importazione del bianco materiale in noduli grezzi che poi abili artigiani trasformavano in oggetti più raffinati, complessi e rispondenti ai gusti della clientela. Verso metà Settecento era questo il modo prevalente di operare; e intanto da isolati artigiani si passava a piccole manifatture; l'uso della pipa in schiuma restò comunque confinato in cerchie ristrette di agiati amatori che si allargavano, sì, ma con lentezza.
Cresceva intanto l'attività degli specialisti del legno al servizio della pipa. Per le teste in terra, in porcellana e (al momento in minor misura) in meerschaum c'era bisogno di tubi. Ma anche le pipe completamente in legno erano una realtà. Già l'episodio del 1695 testimonia la presenza ad Ulm di due artigiani; nel 1715, quando il Consiglio della città negò loro nuovamente il riconoscimento ufficiale, i richiedenti erano diventati una cinquantina; al 1733 si fa risalire un nuovo interessante modello di pipa ideato, sempre a Ulm, dal tornitore Johann Jakob Glöckle. Ma non c'era solo Ulm. A Ruhla, nella foresta della Turingia, due artefici iniziarono a fare teste di pipa in legno nel 1739. Lavorazioni del genere si segnalano anche a Norimberga e in altri luoghi dell'area tedesca, oltre che in Austria e Ungheria.
Tornando ad Ulm, vi si formò col tempo una affollata comunità di specialisti delle pipe in legno, capaci di foggiarne di vari generi; ma se la città divenne nota quasi in tutta Europa lo si deve a quel particolarissimo modello cui già abbiamo accennato legato all'abilità e alla creatività di Johann Jakob Glöckle. Poco si sa della persona; molto più noto è quel suo strumento, che fu per molto tempo un vero e proprio status symbol amato, desiderato e soggetto a un gran numero di varianti e imitazioni. Maserholzpfeife, pipa di legno screziato, era il nome ufficiale; e in effetti le particolari striature del legno erano una qualità inconfondibile dell'oggetto: legno d'acero, di noce o più spesso di una particolare e giallognola qualità di bosso; ma il vero segno distintivo della Maserholz stava nelle speciali caratteristiche della testa: riconoscibilissima per le sue linee tondeggianti, con una "base" discoidale da cui emergevano i volumi del fornello e del cannello. A guardare l'orientamento dell'uno e dell'altro ci si accorge che sono paralleli o quasi: al momento di fumare (col fornello rivolto verso l'alto) il tubo prendeva per forza un andamento verticale o molto inclinato; nell'ultima parte, poi, il legno curvava dando al bocchino l'inclinazione giusta per inserirsi in bocca. La parte più bassa della testa, quella appiattita e discoidale raccordante fornello e cannello, costituiva la camera di condensazione in cui tutte le parti liquide confluivano. Soluzioni simili più o meno funzionali, con tante varianti, appaiono in un certo numero di teste del Settecento in porcellana, terra, legno, schiuma. Per completare la descrizione della Maserholz va aggiunto che, all'interno, il suo fornello era accuratamente rivestito di latta; in alto lo coronava un elegante coperchietto.
Non tutti i tubi dell'epoca (abbinati a teste in differenti materiali) si sviluppavano secondo lo schema appena descritto: in quei decenni del XVIII secolo ogni artefice sperimentava la sua soluzione, diversi stili si confrontavano e contaminavano; ma già nella pipa di Glöckle è ben delineata la tendenza che caratterizzò poi a lungo tanti esemplari del Centro Europa. Al perfezionamento del modello si arrivò circa a metà secolo con gli esordi della cosiddetta Gesteckpfeife, o "pipa a elementi componibili". Nata per la porcellana, aveva due elementi caratterizzanti e separati: il fornello e il salivino. Il primo, piuttosto snello e sviluppato in altezza, aveva forma cilindrica nella parte superiore, poi le sue pareti convergevano sempre più al centro fino a generare un piccolo tubo inclinato. Il secondo consisteva di norma in un vaso allungato con un'apertura principale superiore e un "ramo" tubolare laterale. Nella cavità del ramo laterale andava innestato il tubetto inclinato del fornello; nell'apertura principale entrava l'estremità inferiore del tubo di raccordo. Questo si sviluppava poi in altezza come nel caso della Maserholzpfeife, restando molto inclinato fino alla curva finale prima del bocchino. La novità della Gesteck rispetto alla Maserholz era la separazione in due elementi distinti del fornello e del salivino, il quale funzionava anche da cannello: molto più facile la pulizia, previo smontaggio. Anche in questo caso, ed era la soluzione migliore, al momento di fumare la camera di condensazione (sezione inferiore del salivino) era posta nella parte più bassa dello strumento.
La componibilità e scomponibilità dei pezzi era il pregio ma anche la croce di queste pipe: il problema della tenuta aveva già assillato Johann Jakob Franz Vicarius il quale insisteva sulla necessità che le due semisfere aderissero perfettamente e che ogni lacuna, ogni slabbratura nei punti di raccordo fosse ben sigillata; lo stesso problema era il cruccio di tanti artefici del Settecento i quali, apprestando anelli, flange, sistemi vari d'incastro e di serraggio, pativano i limiti delle tecnologie e dei materiali. A parte possibili perdite o spifferi, poteva anche capitare che una pipa si "smontasse" da sola all'improvviso proprio durante la fumata; per evitare danni si inventarono catenelle di sicurezza, meglio comunque reggere la pipa in corrispondenza del salivino.
Ma come mai, viene da chiedersi, questi artefici concepirono pipe foggiate a curva e controcurva come un sassofono? Cosa portò a quella quasi-verticalità del tubo principale? Non potendo ricostruire la genesi precisa di uno schema nato dai tentativi di tanti, si possono perlomeno considerare alcuni fatti e indizi. Intanto, al momento di fumare, una certa inclinazione verso il basso si dava spesso anche alle normali pipe d'argilla o di terra; nel caso dei chibouk, specie se lunghi, era praticamente obbligatoria. Ma utilizzare pipe molto lunghe risultava scomodo e stressante, a meno di non disporre di una persona al proprio servizio. In un certo senso, a parità di lunghezza, la soluzione della pipa a sassofono compattava lo strumento, mettendo fornello salivino e bocchino nelle posizioni funzionalmente più corrette. Un altro spunto di riflessione viene da chi immagina che la Gesteckpfeife e i modelli similari siano parenti più o meno prossimi della pipa ad acqua orientale, che anche in Europa centrale aveva i suoi cultori: si narra ad esempio che fosse questo lo strumento preferito, verso il 1720, alla Corte del Palatinato. E in effetti una certa parentela funzionale si può trovare osservando che, nei due casi, il percorso del fumo è lo stesso: prima verso il basso fino al salivino o al recipiente in cui gorgoglia l'acqua, poi verso l'alto fino al bocchino. Una parentela legata alla forma, invece, si riscontra paragonando le pipe europee a sassofono con quelle ad acqua "trasportabili" di produzione cinese. Si aggiunga che l'idea delle spugne inumidite proposta da Vicarius non si era esaurita con la sua pipa a palla: c'è chi ipotizza che queste (con acqua ma senza aceto) fossero effettivamente inserite nei salivini agli inizi del loro impiego; pratica che era ancora consigliata in qualche trattato tedesco dell'Ottocento. Fra le ipotesi c'è anche quella più ardita che inizialmente i salivini contenessero una certa quantità d'acqua, proprio come accadeva nei narghilé.
Nel corso del Secolo dei Lumi, in un ribollire di esperimenti tentativi e invenzioni, s'era presentato ai fumatori europei un buon numero di soluzioni alternative alle pipe in argilla, ma queste continuarono a godere i favori di un pubblico affezionato. I mercati delle diverse zone non erano poi così collegati, e in particolare quel che piaceva in area tedesca aveva scarso successo in area inglese, francese, olandese, anche per una serie di ragioni culturali e di mentalità. Peraltro i produttori delle tradizionali monoblocco non avevano nessuna intenzione di cedere il campo e si impegnarono anch'essi in esperimenti, tentativi, invenzioni per rinnovare l'attrattività del loro prodotto. Imperversava la concorrenza, ma non più solo sui prezzi o sulle caratteristiche tecniche: l'attenzione all'estetica, la corsa al prodotto bello e ancor più bello imperversarono fino alla fine del secolo per poi accentuarsi in quello successivo.