Il labbro inferiore si è appena piegato di lato per far uscire dalla bocca un piccolo soffio. Era direzionato sulla fronte, lato destro. Quel ciuffo di capelli non ne vuole sapere di starsene al suo posto, cade sempre lì, davanti agli occhi. Forse per via della posizione del capo di Davide, reclinata sul tornio, forse è il bisogno del corpo di un’iniezione di leggerezza in mezzo a tanta materia, o forse è solo un ricordo che vuole farsi notare. Era il nonno, infatti, che da bambino gli arruffava sempre i capelli, con tenerezza, quando lui gli si sedeva accanto. Quel caschetto castano ha negli anni incorniciato via via un viso più adulto, senza cambiare di molto, e quando le manone del nonno glielo spettinavano, quel ciuffo cadeva sempre lì, davanti agli occhi.
La pipa nelle sue mani è quasi finita. Sono ore che cerca di far coincidere la linea che si è materializzata nella radica, con quanto si era immaginato di fare prima di mettercisi al lavoro. Ci sono voluti alcuni anni per realizzare tutte le forme tracciate nei suoi taccuini. La capacità manuale e visiva, quella che gli permette di vedere eventuali difetti e di capire come correggerli, non gli fa di certo difetto. Produrre armonia implica doti tecniche operative, lui lo sa, ma anche intuito per capire proporzioni ed equilibrio. Tutte cose che, se anche si posseggono innate, vanno necessariamente allenate e sviluppate nel tempo, come ha fatto lui.
Davide ama perdersi in un dettaglio, si fa ipnotizzare dai gesti metodici delle sue mani e dal rumore degli attrezzi, a tal punto che cade in una specie di trance quando crea. Il laboratorio è per lui una porta d’accesso a uno stato superiore della sua coscienza. Per lui la dimensione artigianale artistica è una specie di meditazione. E quel ciuffo che ha bussato alla porta della sua immaginazione, frapponendosi fra la sua pipa e il suo sguardo, alla fine ce l’ha fatta. Lo ha richiamato alla realtà. Anche solo per far riposare la mente. Così, una volta alzati gli occhiali trasparenti di protezione e imprigionati all’indietro i capelli sotto quell’arco di plastica, Davide si è fermato. Si è pulito le mani sulla polo blu, lasciando traccia sul cotone di quella polvere chiara che gli è rimasta tra le dita, traccia del suo passaggio da un mondo quasi impalpabile a uno più concreto come quello del suo studio in una notte come tante. Se avesse deciso di fare un altro lavoro, probabilmente non avrebbe potuto fare certi orari, orari questi che sono molto più vicini al suo carattere riflessivo. Sono passati dieci anni da quando ha capito che poteva fare il pipemaker. Dopo l’incontro con Teddy, in Danimarca, dopo aver respirato nel suo laboratorio il profumo dell'artigianato misto a quello dell'arte. Che buffo, la Danimarca per lui giovane studente di storia moderna amante del teatro e della letteratura, era sempre stata associata all’Amleto. Quante volte aveva avvicinato alla parola Danimarca l’espressione “c’è del marcio”, anche solo per riderci su. E infine la Danimarca, una volta cresciuto, aveva segnato indelebilmente la sua strada, tra l’essere e il non essere un pipemaker.
Adesso che si è preso una pausa, gli sembra quasi di sentire la voce del nonno, quella di tanti anni prima, quando gli spiegava come aggiustare un frullatore, una radio, un lavandino, quando ancora le riparazioni si facevano in casa. O quando quella volta che lo ha preso sulle sue ginocchia gli ha fatto vedere la cartina del mondo appesa nel suo studio. Una mappa costellata di capocchie di spillo, una per ogni posto che il nonno aveva visitato. “Ricordati Davide, non è quanto hai viaggiato a fare di te l’uomo che sarai, ma quanto hai messo di te in ogni tuo viaggio”. Sì, viaggiare è un modo per conoscere, ma soprattutto per conoscersi. Come dice la canzone che gli piace tanto “I've travelled each and every highway, but more, much more than this I did it my way”. Ci devi mettere del tuo, sempre, se vuoi che ti ritorni qualcosa. Quegli spilli, il loro metallo, anche se minuscolo, che bucava il mondo disegnato sulla carta a indicare “io ci sono, a modo mio”, aveva riflessi di futuro per Davide. Il metallo gli piace. Lo pensa mentre lo sguardo gli si fissa sul contorno di sé che si deforma sulla superficie curva di alluminio della sua lampada.
Si toglie così dalla testa gli occhiali di protezione. Li inforca per bene perché è tempo di finire la sua creazione. Guarda nelle sue mani la pipa. È certamente uno dei suoi pezzi speciali. Merita un inserto degno di tanta armonia. E nella sua mente si fondono due immagini: gli spilli del nonno che la sua anima ha archiviato come spunti di vita e l’argento, materiale nobile che a volte utilizza per impreziosire le sue creazioni più riuscite.
Le sue pipe, vendute in tutto il mondo, sono la sua traccia sulla sua personale mappa, il suo esserci nel mondo, sempre e solo a modo suo. E mentre infila il bocchino nell’argento pensa “Grazie nonno”.
Un ringraziamento particolare a Davide Iafisco per il contributo dato alla realizzazione di questo articolo
Milano, novembre 2016