Zio Bernardo era piccolino, furbo, generoso. Aveva fatto fortuna a Londra. Dopo che era tornato, operava in diversi settori d’impresa: la persona giusta a cui chiedere una mano.
Gli ultimi anni, per Enea Buzzi, erano stati intensi: nel 1943 il diploma di ragioniere, l’anno dopo in montagna coi partigiani e poi l’Università Bocconi, lasciata presto per impiegarsi nell’Azienda Elettrica di Varese, infine un’attività in proprio nel campo delle auto usate… Ma non era soddisfatto. Quel fuoco che gli bruciava dentro era lo stesso di nonno Achille, che fra il 1890 e il 1893 si era costruita nel Comune di Brebbia, vicino a Varese, una piccola centrale elettrica capace di fornire energia alla filatura di famiglia e a diversi paesi lungo il percorso. Lo stesso del padre Carlo Andrea detto Gino, che aveva aperto e gestito una tessitura a Gavirate finché la crisi del Ventinove non l’aveva costretto a chiudere. Una famiglia di imprenditori insomma, imparentati con imprenditori, amici di imprenditori: quasi un obbligo, per Enea, prender la stessa strada.
Fin da metà Ottocento il territorio di Varese aveva ospitato grandi e piccole fabbriche di pipe. La prima l’aveva impiantata, a Molina di Barasso, la famiglia Piotti: teste in legno di bosso, pero, melo, ciliegio lavorate con torni a pedale, bocchini in corno di bue. Nel 1886 il milanese Ferdinando Rossi, grande commerciante di articoli da fumo, aveva scelto la radica aprendo, sempre a Molina di Barasso, una moderna manifattura che in pochi decenni sarebbe diventata una grande realtà industriale. Si aggiunsero altre produzioni più piccole in località vicine, oltre a molti artigiani indipendenti. Una realtà produttiva forte per tutta la prima metà del Novecento; ma alla fine della seconda guerra mondiale, col definitivo affermarsi delle sigarette, quel mondo accusava i primi sintomi di crisi. Un mondo non estraneo a Enea Buzzi, che tramite la sua famiglia conosceva un po’ tutti: in particolare i Rossi e le loro pipe.
Verso la fine della guerra, trovandosi alla stazione di Varese durante un temporale con una Rossi accesa in mano, si mise a riflettere su come si potesse fumar la pipa anche sotto la pioggia… Così almeno si racconta, ma è un fatto che Enea si appassionò al problema: ci volevano un coperchio e alcuni fori di sfiato nella parte superiore del fornello; ulteriore evoluzione, fare fornelli figurati col volto di un personaggio famoso, ricavando gli sfiati in corrispondenza delle narici: in questo modo il fumo sarebbe uscito proprio dal naso! Fu la Rossi a realizzargli quelle pipe, poi molto apprezzate dai soldati americani di stanza nella zona; il passo successivo fu ordinare a un’officina specializzata le macchine per produrre in proprio. Ma quelle macchine non erano mai pronte, e nemmeno aveva i soldi per iniziare: ci voleva proprio una mano dallo zio Bernardo.
Bernardo Papa, così si chiamava lo zio, stimava quel suo nipote. L’idea delle pipe non era male, nel frattempo erano arrivate le macchine, la centrale elettrica di famiglia a Bosco Grosso di Brebbia avrebbe fornito energia gratis, e pure i locali. Bernardo aveva anche un’altra nipote moglie di Achille Savinelli, di qualche anno più vecchio di Enea, il quale lavorava con i genitori nel negozio di Milano aperto nel 1876. Anche i Savinelli aspiravano a produrre pipe. Sotto gli auspici e col sostegno economico dello zio, Enea Buzzi e Achille Savinelli incominciarono insieme nel 1947 con tre operai esperti, tanto entusiasmo e tante buone idee; solo che quelle dell’uno non erano esattamente uguali a quelle dell’altro: sul tipo di prodotto, sulla maniera di commercializzarlo. Se ne resero conto quasi subito e così, mentre Enea andava a Londra a trovare i suoi primi clienti esteri, Achille già predisponeva una sua fabbrica a Molina di Barasso. Dal 1953 Enea iniziò a marchiare MPB (manifattura pipe Brebbia) la produzione destinata ai suoi mercati mentre la restante recava il logo Savinelli. La separazione si perfezionò senza eccessivi problemi nel 1956.
Enea aveva la stoffa dell’imprenditore. Quando, all’inizio del 1954, un incendio distrusse la manifattura (per fortuna la centrale elettrica fu risparmiata) non si perse d’animo e ne approfittò per riprogettare i locali in base alle esigenze di lavorazione. In quello stesso anno acquistò una fonderia per realizzare in alluminio la base di una pipa che, grazie alla forte conducibilità del metallo, desse un fumo particolarmente fresco. Quando non ci fu più bisogno di quelle basi (il pubblico non aveva apprezzato la proposta) riconvertì l’impianto a produzioni d’altro genere. Un’altra società, da lui fondata con alcuni soci nel 1967, operò nella distribuzione automatica di bevande calde. Ma tutto questo non attenuò mai il suo interesse per le pipe.
Dal 1956 in poi la manifattura di Enea Buzzi aveva imboccato la via giusta: voglia di innovare, mettendo in conto anche qualche insuccesso come quello delle basi in alluminio; grande attenzione ai prodotti della concorrenza, dei quali si acquisivano consistenti campionature; sguardo sempre attento alla funzionalità, prima prerogativa di una pipa; diversificazione in base ai mercati, affiancando alla produzione classica quella più improntata alla fantasia: sono di quell’epoca interessanti esemplari curvati e altri modellati a testa di animale.
Nel 1968 il marchio “MPB” fu sostituito da “Brebbia”. In quella stessa epoca una manifestazione al Palazzetto dello Sport di Varese diede avvio alle gare di “lento fumo”: un’idea vincente che presto si diffuse in tante nazioni. A ogni concorrente venivano consegnati tre grammi di tabacco, si caricava, al via tutti accendevano e si mettevano a fumare con calma e concentrazione: vinceva chi restava “acceso” un attimo più degli altri. La grande intuizione di Enea e dei suoi fu quella di creare una squadra di dipendenti Brebbia: provetti fumatori, gareggiarono a lungo girando l’Europa e mietendo successi. Portando dovunque il nome, il marchio, le forme delle loro pipe. Pipe belle, funzionanti, rinomate anche per la “dolcezza” del fumo: un autentico dono, questo, del Bosco Grande di Brebbia nel quale aveva e ha sede la società. La centrale elettrica che la ospita è posta in un’ansa del Bardello, emissario del Lago di Varese che confluisce nel Lago Maggiore: fiume tortuoso, infossato nell’arenaria. Quel terreno così basico, quell’ambiente così poco ventilato, quell’estrema umidità creano il microclima ideale per la stagionatura naturale della radica: il contenuto di tannino, massimo responsabile del cattivo sapore di una pipa specie alle prime fumate, viene quasi totalmente espulso. E il fumatore ringrazia.
Gli anni Settanta non furono facili per il mondo della pipa: quegli scricchiolii che già s’erano avvertiti nel dopoguerra ora sembravano boati. Le gare di lento fumo contribuivano sì a creare un interesse, ma il pubblico a cui rivolgersi era diminuito e si faceva sempre più esigente. Solo assecondandone le richieste, innovando, inventando, perfezionando, non fermandosi mai, si restava a galla. E Brebbia innovava, inventava, perfezionava. Fra il 1976 e il 1977 propose il bocchino “frangifumo” grazie al quale, arrivando in bocca da diversi fori, il fumo si distribuiva in altrettante direzioni attenuando l’impatto sulla lingua. Sempre nel 1977 uno dei figli di Enea, Luciano Buzzi, prese la laurea in Architettura. Già da qualche anno frequentava l’azienda ma solo ora, terminati gli studi, poteva dare un apporto più consistente.
Il suo primo compito fu quello di rilanciare le vendite all’estero. Per qualche anno a partire dal 1978 girò soprattutto in Europa prendendo contatto con i diversi mercati, incontrando personaggi importanti del settore: era necessario entrare meglio in sintonia con quella complessa realtà fatta di tendenze, gusti, richieste. Ma era solo il primo passo: tutti quegli impulsi anche discordanti andavano poi filtrati dalla sensibilità del produttore. Presto Luciano Buzzi si è impadronito del mestiere: prima il lato contabile-fiscale e quello creativo, infine quello legato alla produzione. Fondamentale in questi due ultimi aspetti la sua formazione da architetto, ma soprattutto la sua concezione del design come funzione che diventa forma. In altri termini, la pipa dev’essere in primo luogo una pipa: uno strumento che funziona bene. Ma deve anche dare a chi la possiede la soddisfazione di “indossarla” come accessorio prezioso capace di comunicare qualcosa di sé.
La prima “creatura” di Luciano fu la serie 79, del 1979. Il mercato tedesco, legato alle tradizionali grosse pipe con lunghi steli capaci di trattenere le impurità, esigeva nelle moderne pipe in radica la presenza di un elemento filtrante. Si tendeva ad accontentarli inserendo filtri da 6 millimetri, che però non erano efficienti. La scommessa di Brebbia fu quella di passare a filtri da 9 millimetri riuscendo, con opportuni accorgimenti, a non ingrossare troppo la canna. Quattro anni dopo uscì la serie 83, perfezionata, con lo stesso filtro e la canna ancor più sottile; è ancora in produzione. Oggi tutte le Brebbia sono dotate di filtro 9 millimetri, ma chi non lo ama può farne a meno sostituendolo con un elemento adattatore.
Negli anni Ottanta, in una fase di rilancio della pipa come status symbol, apparvero le freehand Brebbia ricavate da perfette placche fiammate: inizialmente “molto libere” secondo i dettami della scuola danese; dal decennio successivo con linee più classiche ma la stessa qualità di lavorazione e materiali. Fra il 1998 e il 2012 la serie grandi designers della pipa ha proposto esemplari disegnati per Brebbia da importanti pipe-makers. Sempre nel campo delle freehand l’offerta di oggi spazia dalla Linea A (caratteristico l’inserto in radica nel bocchino di plexiglass) alla Collection SS nelle due versioni “naturale” e “noce”, con la sommità del fornello lasciata grezza. La radica di questi e altri modelli è assolutamente priva di imperfezioni, acquisendo così la denominazione “pura”.
Ma la produzione Brebbia non si ferma qui. Un autentico gioiello per la linea e l’aspetto tecnico è la Duo Filter: con la sua dolce sinuosità richiama certe pipe antiche di tradizione tedesca, ma l’ingombro è contenuto. Dei suoi due filtri quello più in basso (a carboni o in legno di balsa) assume la funzione di salivino; l’altro, a carboni, è il filtro vero e proprio. Il fumo asciutto e fresco della Duo Filter procura sensazioni uniche e impagabili. Sfogliando il ricco catalogo ecco tra le altre le calabash, le leggerissime in schiuma, la panciuta Egg così comoda da trasportare, la tradizionale Oom Paul col coperchio trattenuto da una catenella, la Toby ispirata alle pipe in granturco, le Stand-up che se appoggiate sul tavolo restano in piedi, le perfette edizioni (una all’anno) della serie Classic…
Nel 1992 Enea Buzzi ha pensato di dare degna collocazione ai tanti esemplari acquisiti per studiare la concorrenza e alle tante collezioni di modelli d’epoca di tutto il mondo acquistate nel corso degli anni. Così un grande locale al Bosco Grande in precedenza destinato a magazzino è diventato il Museo della Pipa, meta di tanti appassionati; ma il più assiduo frequentatore è proprio Luciano Buzzi. La visione dei tanti pezzi antichi lo ispira: c’è sempre un modo di reinterpretarli in chiave moderna. Ma per un creativo come lui i motivi di ispirazione possono spuntare ovunque: “Finisco - confessa - per vedere tutto a forma di pipa!”.
Un ringraziamento particolare alla famiglia Buzzi per il contributo dato alla realizzazione di questo articolo
Milano, giugno 2017