Henry Ford e Frederick Winslow Taylor non erano ancora nati, eppure già si divideva il lavoro in fasi successive affidate ad altrettanti specialisti: c'erano avvisaglie di rivoluzione industriale nei laboratori inglesi e olandesi in cui, nel Settecento, si fabbricavano pipe d'argilla. La materia prima in arrivo dalle cave, accuratamente purgata da sabbia e altre impurità, era intimamente mescolata agli scarti crudi delle precedenti lavorazioni e poi rozzamente tagliata in blocchi dai quali di volta in volta si prelevava la quantità necessaria. L'argilla si lavorava a mano su un piano per ottenere l'abbozzo: un cilindro lungo e stretto terminante a una estremità in una massa più consistente. Nel cilindro andava "inserito" uno strumento lungo e sottile per ricavare al suo interno la via di passaggio del fumo. L'abbozzo così infilzato si posizionava su una delle metà di uno stampo bivalve, con la massa più consistente sulla parte più larga dello stampo deputata a foggiare la testa. Poi le due valve erano chiuse l'una sull'altra e serrate in una morsa: rimaneva un'apertura nello stampo in corrispondenza della testa, e lì si inseriva un altro strumento per ottenere la cavità del fornello. Aperto lo stampo, se ne estraeva la pipa già formata ma cruda, si toglieva delicatamente lo strumento lungo e sottile da quello che era ormai lo stelo, si procedeva a una serie di rifiniture per rendere perfetto l'oggetto cancellando ogni traccia di lavorazione, aggiungendo elementi decorativi e marchio. La pipa, insieme a tante altre, era poi disposta in un contenitore da inserire nel forno, per la cottura.
Detto così sembra semplice, ma le complicazioni erano ad ogni passo: tante ad esempio le fasi d'attesa e progressiva asciugatura, passando dal materiale malleabile per formare l'abbozzo a quello abbastanza rigido della pipa rifinita da avviare alla cottura; legata questa a conformazioni particolari del forno, diverse fasi codificate, accessori, materiali, combustibili e tanti segreti. Lo strumento lungo e sottile da "inserire" nel futuro stelo non andava in realtà spinto: era piuttosto l'elemento cilindrico d'argilla a dover essere lentamente "tirato" attorno allo strumento (preventivamente lubrificato) badando bene che la punta restasse in asse e non uscisse di lato. L'avanzamento della punta non procedeva fino in fondo: solo a stampo chiuso e dopo che il fornello era stato scavato, lo strumento (il cui manico emergeva dallo stampo) veniva spinto fino a che la sua punta non sfondava l'ultimo diaframma emergendo nella cavità.
Per ricavare il fornello, Inglesi e Olandesi seguivano diverse procedure. I primi erano più spicci, in un certo senso più "industriali". Affondando a mano una barretta d'acciaio (asimmetrica e a forma di dito) nell'apertura dello stampo, in un colpo solo (l'argilla in eccesso fuoriusciva ai lati) ottenevano la cavità. Nel primo Settecento, sempre in Inghilterra, iniziò ad affermarsi un meccanismo ancor più spiccio chiamato gin press: una grande leva con un'estremità incernierata al tavolo da lavoro. La barretta d'acciaio era disposta a un certo punto del braccio in modo da penetrare nell'apertura dello stampo (dunque nell'argilla) con assoluta precisione e grande forza quando l'altra estremità della leva era tirata giù. Gli Olandesi facevano tutto con più calma e delicatezza. La barretta d'acciaio, simmetrica e a forma di ghianda, era inserita a mano in più fasi e con movimenti di torsione, rimuovendo di volta in volta l'argilla in eccesso, fino a ottenere la giusta cavità. E' questo solo un esempio delle differenze fra Inglesi e Olandesi. In generale emerge in questi ultimi una maggior ricerca di perfezione nelle procedure, nei gesti, nei tempi, negli arnesi, nelle modalità di caricamento del forno e nelle fasi della cottura.
Gli Inglesi erano più pratici, gli Olandesi avevano una grandissima attenzione (quasi maniacale) alla qualità: mai soddisfatti, cercavano sempre qualche nuova idea per migliorare il prodotto; la loro grande fortuna commerciale fra metà Seicento e metà Settecento discende innanzitutto da questo, ma non solo. L'amministrazione della città di Gouda, nella quale si concentrava gran parte della produzione, e la gilda locale dei pipe-makers erano di grande stimolo e supporto agli artigiani: accentravano l'approvvigionamento dell'argilla, controllavano la qualità e l'apposizione del marchio, governavano la vendita del prodotto finito vigilando sui prezzi e sul rapporto con i commercianti. Al contrario, i pipe-makers inglesi erano sparsi in tante città: facevano meno lavoro di squadra. La grande rete commerciale su tante rotte del mondo portò la produzione britannica di pipe in tanti luoghi; ma di più facevano gli Olandesi, spesso preferiti specie in Europa per l'inconfondibile fascino dei loro strumenti.
Pipe da 6 centimetri (per le case di bambola) fino a circa un metro di lunghezza. Pipe semplici con ben poche aggiunte estetiche, pipe sontuosamente decorate. Se n'erano già viste nel Seicento, ma fu da circa il 1710 che gli Olandesi diedero il meglio. Riuscivano a ottenere steli molto snelli, fornelli dalle pareti ultrasottili, disegni a rilievo con un dettaglio impressionante: certamente l'estrema cura nelle modalità di lavorazione stava dietro a questi risultati. Ma perché decorare una pipa? Semplicemente si seguiva una tendenza riscontrabile in tanti altri oggetti d'uso, un'idea montante di arte applicata; l'uso degli stampi permetteva già allora di moltiplicare gli esemplari "belli" rendendoli accessibili a un pubblico relativamente vasto. I pipe-makers non si accontentavano di motivi già visti, ne volevano altri ancor più nuovi e originali. Volevano soggetti tratti dall'attualità come dalla classicità, simboli graditi al committente, motivi adatti a tanti diversi gusti. A realizzare gli stampi erano chiamati abili artigiani, forse artisti, spesso argentieri. Gli stessi incidevano le matrici per stampare sugli incarti il marchio e il nome del produttore.
Imbattibili, questi Olandesi. Tanto bravi che in altri Paesi vicini e lontani fioccarono le imitazioni. Oltre alle imitazioni, qualcosa di più pericoloso: pipe diverse, sorprendenti, alternative. Sempre d'argilla ma non più bianca: di diversi colori, dal rossiccio al nero, monoblocco o con lo stelo in diverso materiale. E poi di legno, schiuma, porcellana in un crescendo che verso fine Settecento si fece tumultuoso. La concorrenza si giocava sui materiali, sulle soluzioni tecniche, sull'aspetto. Specie negli Stati tedeschi e aree limitrofe il fumatore iniziò ad avere una ricca scelta al momento dell'acquisto. Alle pipe "per fumare" si aggiunsero modelli puramente decorativi, come quelli in ceramica a colori vivaci prodotti nello Staffordshire, Inghilterra: con steli lunghi anche diversi metri, accuratamente avvolti in serpentine, aggrovigliati, contorti ma a loro modo originali e non privi di valore estetico. Con tutti questi concorrenti, lo spazio per le Olandesi monoblocco si restringeva: la loro fortuna iniziò ad affievolirsi già nella seconda metà del Settecento, quando già s'indovinava la grande stagione del secolo successivo.
Bella conquista per gli alchimisti e i ceramisti occidentali, la porcellana. Trovato il modo di produrla, questa aveva assunto presto la forma di pipe, o meglio di teste da pipa. Il materiale si prestava a esser modellato, la sua bianca superficie quasi pretendeva decorazioni multicolori: fantasiose, colorate, lavorate a tutto tondo come statuette, furono all'inizio le teste di pipa. Ma già da metà Settecento iniziarono ad apparire i caratteristici fornelli (da abbinare a un salivino) delle gestekpfeifen, dalla forma obbligata a cilindro convergente in basso in un tubicino: un freno alla fantasia dei modellatori, ma anche la possibilità d'un supporto modulare offerta a qualsiasi genere d'illustrazione. Fu questa tipologia a prevalere fra le teste di pipa in porcellana dell'Ottocento, dando luogo a un autentico fenomeno di costume. Su quelle superfici pseudo cilindriche apparve letteralmente di tutto. Armati di pennello, gli artigiani (spesso veri artisti) potevano replicare la stessa immagine su tanti esemplari; oppure eseguire un pezzo unico su ordinazione. I soggetti erano infiniti, ma spesso si caratterizzarono per categorie: studenti, militari, varie professioni. Era importante, per tanti fumatori d'area tedesca, qualificarsi in pubblico attraverso le illustrazioni di queste pipe, esibite con orgoglio, col preciso scopo di comunicare un'appartenenza, un'idea, una sensibilità, una propensione, un gusto. L'aspetto di tali oggetti non si limitava all'illustrazione: erano spesso grandi, vistosi, curati nei tanti particolari degli elementi in legno, metallo, corno e altri materiali.
Nei primi decenni dell'Ottocento le pipe in schiuma uscirono, prima gradualmente poi velocemente, dagli ambiti ristretti di amatori che fino ad allora avevano costituito il loro mercato. La schiuma, o meerschaum, non era solo un materiale ideale per le pipe grazie alla porosità: le sue intrinseche caratteristiche la rendevano agevolmente lavorabile a intaglio. Se la bellezza d'una pipa d'argilla dipendeva dalla creatività di chi aveva inciso lo stampo, se l'attrattiva d'un fornello in porcellana era, oltre che il colore, la maestria d'un artista del pennello, nel caso della meerschaum ci si affidava ad artigiani-artisti intagliatori, spesso autentici scultori. La stagione d'oro di questi strumenti fu fra il 1820 e il 1850. Il luogo d'elezione, Vienna. Teste di pipa talmente belle (ma relativamente fragili) che spesso ci si limitava a guardarle: opere di virtuosi nelle quali la funzione del fumo passava in secondo piano, con gruppi di soggetti a tutto tondo a rappresentare una scena, intricatissimi particolari decorativi, animatissimi bassorilievi... Non mancavano le pipe più "pipe", naturalmente: realizzate con maggior semplicità ma senza rinunciare all'eleganza. Adeguati alla classe di questi oggetti erano i particolari in argento, gli inimitabili bocchini in ambra. Alle originali meerschaum si affiancarono poi quelle fasulle meno costose, per le quali il materiale di base era ottenuto da impasti di vario genere più o meno nobilitati da trucioli macinati di autentica schiuma. Molti di questi oggetti si fabbricavano a Ruhla, in Turingia; per conferir loro un minimo di credibilità, venivano chiamati "viennesi". Quel centro montano dalle tradizioni minerarie non si limitava però alle imitazioni: diventato un'autentica cittadella della pipa, quasi una Gouda in salsa tedesca, sfornava anche meerschaum originali, gestekpfeifen con testa in porcellana, esemplari in terracotta e anche in legno.
Teste di pipa in legno variamente figurate a intaglio, spesso con scritte e date indicate dai committenti, erano la specialità di tanti territori boschivi specie nella Germania centrale bagnata dal Reno o in diverse località delle Alpi. Anche in questo caso una pipa figurata e personalizzata diventava oggetto da esibire come emanazione della propria personalità; ma non sempre, per poter "parlare" con la pipa, c'era bisogno di illustrazioni. Bastava una bella pipa, dopotutto. Superba e molto desiderata, perlomeno fino a metà Ottocento, fu quella particolarissima di Ulm, o Maserholz: molto imitata anche in altre località, realizzata in tipi diversi di legno e anche in altri materiali. Teste di legno interessanti erano prodotte nell'area ungherese in tre principali tipologie: la Kalmasch, col fornello a campana rovesciata simile a quello d'un classico chibouk di terracotta; la Debrecen, come l'omonima città, dal fornello cilindrico piuttosto alto; la Ragoczy, probabilmente dal nome d'un principe di Transilvania, il cui fornello cilindrico o faccettato era leggermente svasato nella sua parte superiore.
Nel campo dell'argilla o più in generale della terracotta l'Ottocento non ebbe rivali in fatto di varietà delle forme e delle mescole. La pipa bianca di Inglesi e Olandesi restava, ma in tanti mercati era solo una delle opzioni: sia nel materiale di base che nelle squillanti smaltature si proponeva l'alternativa a colori. Pipe in terracotta rossa erano caratteristiche di Debrecen come pure di Marsiglia; ma di esemplari colorati, più o meno figurati, se ne fecero un po' dappertutto. Note di colore apparvero perfino sulle tradizionali Olandesi. Coloratissime erano le pipe caratteristiche di Banská Štiavnica, città slovacca il cui nome tedesco suona Schemnitz, ed è questa la denominazione più conosciuta. Le teste, ricavate da un impasto d'argilla bianca e rossa (l'una dava robustezza, l'altra lucentezza) avevano un fornello piuttosto alto di sezione ottagonale (ma ci sono altre varianti); finite a smalto, presentavano una caratteristica superficie traslucida. Le pipe di Schemnitz, molto ammirate e imitate, finirono per diventare (come quelle di Ulm) un genere ben distinto prodotto in diversi luoghi. Uno di questi era la veneta di Bassano del Grappa.
I Francesi avevano sempre avuto la passione per il tabacco da fiuto. Chi, specie fra la gente comune, prediligeva il fumo, aveva a disposizione pipe fatte in Olanda o prodotte localmente in piccole manifatture. Solo in età napoleonica la nuova enfasi data all'industria portò anche nel campo delle pipe all'avvio d'una massiccia produzione nazionale. Il materiale bianco-avorio a disposizione era ottimo per il fumo grazie alla sua porosità; ma in quanto a resistenza dava problemi: gli steli si rompevano facilmente. Abbandonata presto l'idea delle monoblocco, si prese così la strada ormai ben nota della testa in argilla con stelo in legno. E poiché la pipa figurata e colorata ormai imperversava, gli artefici francesi, da ultimi arrivati, abbracciarono convintamente la moda percorrendo strade vagamente parallele (con tante diversità) a quelle dei colleghi della porcellana e della schiuma. Piccole sculture erano queste teste di pipa. I soggetti? Infiniti. Si partì da modelli della classicità per arrivare all'attualità politica, ai ritratti o alle caricature di persone note o ignote, alle figure popolari di genere. I cataloghi delle maggiori fabbriche mettevano in rassegna centinaia di diverse proposte, quasi fosse una raccolta di figurine. Altre proposte ugualmente figurate ma con diverse caratteristiche giunsero dalla belga regione della Mosa, dalla tedesca Westerwald.
L'Ottocento della pipa offriva davvero tanto, quasi tutto: una produzione multiforme forse impossibile da descrivere compiutamente, un tripudio di soluzioni tecniche e insieme di creatività. Eppure questo mondo così complesso, così diversificato per aree geografiche che però si contaminavano, era insidiato da due potenti fattori. Il primo, sotto gli occhi di tutti, dava serie preoccupazioni a chi operava nel settore pipa e nuovi stimoli a chi si limitava a fumare: la moda del sigaro era in piena ascesa. Il secondo covava chissà da quando ma iniziò a manifestarsi solo nella seconda metà del secolo, ponendo una seria ipoteca su tutto quel mondo della pipa che così sorprendentemente s'era sviluppato. Più che sotto gli occhi di tutti, stava sottoterra: era la strana radice tondeggiante d'un arbusto mediterraneo.