Messieur Regard e Messieur Buat erano venuti a Beaucaire per la fiera. Delegati della Chambre Consultative des Arts et Manufactures, non potevano mancare a quell’evento così importante al quale affluivano, lungo le rive del Rodano, mercanti e mercanzie da tutto il Mediterraneo e da alcuni Paesi del Nord.
Quella sera erano a tavola nella locanda scambiandosi impressioni e pianificando l’indomani quando a un tratto uno dei due s’interruppe, ammutolì e… afferrò il salino. Lo osservava, lo soppesava, l’annusava, lo tormentava con un’unghia. Lo passò all’altro che ricambiò il suo sguardo interrogativo e stupito e si mise a sua volta ad analizzare accanitamente l’oggetto. Esperti in legno quali erano, non riuscivano a capire di quale essenza fosse: si presentava bene sia per colore che per venature, ma soprattutto la superficie era dura, compatta, resistente! Che cosa diavolo era?
Nel V secolo dell’era cristiana era stata fondata un’abbazia ai piedi del massiccio del Giura, nel luogo di confluenza dei fiumi Bienne e Tacon. La Abbaye de Condat divenne quasi subito meta di pellegrinaggi; nel settimo secolo fu intitolata a Saint Oyend e i pellegrini aumentarono. Nel XII secolo il nome cambiò nuovamente e definitivamente: Saint Claude de Besançon, il cui corpo era stato ritrovato incorrotto nel 1160 a 600 anni dalla morte, denominò da allora sia l’abbazia che l’abitato via via cresciuto accanto. Sull’onda dei miracoli di Saint Claude il luogo divenne una delle principali mete di devozione in Europa: gli abitanti si specializzarono nell’accoglienza ai pellegrini e nella produzione di oggetti in osso e corno ma soprattutto in legno: sulle prime a tema religioso (statuette, rosari…) più tardi anche di genere profano come scatole, cucchiai, semplici strumenti musicali, portapenne, pettini, collane, tabacchiere, steli decorati per pipe in porcellana o in legno alla maniera di Ulm e anche qualche pipa intera sempre in legno . L’incendio dell’abbazia nel 1799 e poi le vessazioni napoleoniche contro il clero diedero un duro colpo a un luogo che viveva di pellegrini, ma gli artigiani andarono avanti: incrementarono gli articoli da fumo continuando con gli steli e aumentando la quantità di pipe intere in bosso e ciliegio. A metà Ottocento, quando Regard e Buat “incontrarono” quel salino, Saint-Claude lavorava a pieno ritmo e accanto ai laboratori domestici annoverava centri di produzione più grandi mossi dall’energia idraulica. I due delegati rappresentavano a Beaucaire tutti quegli artigiani: imbarazzante per loro non capire di che fosse fatto quel coso! Ma non ci volle molto a chiedere, a sapere, a procurarsi campioni da portare in patria, a testarli per vedere se si potevano fabbricar pipe con quel tipo di legno, che non era di tronco ma di radice. Anzi: di radica!
Secondo Madame Germaine Pacaud-Faton, esponente di una ben nota famiglia di Saint-Claude che a suo tempo lo riferì, l’episodio del salino risalirebbe all’anno 1854. È questo uno dei racconti più credibili, ma ce ne sono tanti altri: la prima apparizione della radica è narrata in un buon numero di versioni non troppo diverse fra loro ma nessuna uguale a un’altra. In genere la data cade un po’ dopo il 1850 ma non i tutti i casi. Lo “scopritore” è di volta in volta un commerciante di legno del Midi, un certo David su suggerimento di un commerciante di legno, un viaggiatore del Midi… Come i due delegati in trasferta a Beaucaire, tutti finiscono per portare a Saint-Claude la loro scoperta. Ma ci sono altri, contadini o artigiani di Saint-Claude, del Midi, di Ajaccio o altre località della Corsica, che già hanno esperienza della radica, tanto è vero che sono in grado di lavorarla per fornire la pipa sostitutiva a un francese che viene da Ginevra, a un ammiratore di Napoleone in visita alla di lui tomba o al di lui luogo di nascita, i quali (disdetta) hanno appena rotto la loro meerschaum; o invece (variante) a uno sfortunato pipe-maker francese che ha appena perso la sua meerschaum nel Maquis. Come si diceva, molto spesso le date cadono un po’ più in là di metà Ottocento; bisogna poi distinguere fra quelle della “scoperta” della radica e quelle (distanziate di qualche anno) della prima fabbricazione e commercializzazione di pipe a Saint-Claude. Un libretto celebrativo del “centenario” che in copertina reca le date 1856 - 1956 sembrerebbe non lasciar dubbi a proposito, ma fonti altrettanto autorevoli indicano date leggermente diverse. Le vicende ambientate nei luoghi napoleonici si svolgerebbero però a pochi anni dalla morte dell’Imperatore che risale al 1821, e qui iniziano le discrepanze; che aumentano nel caso di alcune antiche manifatture francesi le quali addirittura sostengono di fabbricar pipe in radica fin dal primo Ottocento… Una congerie di narrazioni simili ma diverse, insomma. In un certo senso assimilabile ai modi della classica tradizione orale nella quale ognuno aggiunge toglie o modifica qualcosa a quanto già raccontato da qualcun altro. Ma qual è la verità sulle origini della radica?
Da secoli, in alcune regioni boscose d’Europa, si facevano pipe di legno: molto meno fragile dell’argilla e della schiuma di mare, era l’ideale per gli steli. Ma se ne ricavavano anche pipe intere ovviando al problema della combustibilità con rivestimenti del fornello in latta o altri materiali. Alla ricerca di sempre migliori soluzioni si testavano tutti i possibili tipi di legno sia di tronco che di radice: cercando quelli più compatti, introducendo e perfezionando trattamenti vari di affinazione, essicazione, stagionatura. Era nell’ordine delle cose: sulla qualità del prodotto finito si giocava il successo degli artefici. Strano che nessuno di essi avesse mai provato con la radica di Erica Arborea. Ma i luoghi dove, in varie parti d’Europa, s’era concentrata la produzione di pipe in legno erano più o meno distanti dalle coste del Mediterraneo; e solo là, in collina ma non troppo lontano dal mare, crescevano quei grossi cespugli sempreverdi dai bei fiori bianchi cui nessuno dava troppa importanza. Cespugli, non alberi. I cui rami potevano al massimo servire a fabbricare scope o a far fuoco nel camino. Eppure la soluzione, la pietra filosofale dei pipe-makers, era proprio lì a portata di mano, tutt’uno con quei cespugli ma ben nascosta: sottoterra.
Appena sotto la superficie del terreno ma non sempre (circa una volta su tre) l’Erica Arborea sviluppa un’escrescenza, una sorta di rizoma: una massa ovoidale o sferoidale chiamata “ciocco” dalla quale si diramano le radici. Il fatto che non sia sempre presente suggerisce che si tratti di un’anomalia causata da qualche fattore di disturbo, come accade anche ad altre specie vegetali. Eppure quell’escrescenza, quando c’è, ha la funzione di ancorare fortemente la pianta al terreno e soprattutto di farle da riserva in tempi di siccità; in caso di incendio, dopo che il bosco è bruciato l’arbusto riesce a ricrescere proprio grazie ai nutrienti contenuti nel rizoma.
Chi oggi va alla ricerca di materiale per far pipe deve trovare piante di almeno cinquant’anni, sennò il ciocco (quando c’è) sarebbe troppo piccolo. Eliminata la parte fuori terra, lo si estrae faticosamente dal terreno. Lo si ripulisce dalle radici in maniera grossolana, lo si tiene umido e protetto dal sole (perché essiccando non si fessuri) fino al trasporto in segheria. Qui si fa una pulitura più accurata e lo si taglia in abbozzi e placche da cui si ricaveranno le pipe, eliminando le parti marce inadatte o rovinate. A questo punto abbozzi e placche, raggruppati in base alla qualità, vengono bolliti in grosse caldaie per depurare il legno da resine e tannini e poi avviati a una essiccazione lenta alla quale segue la stagionatura. Solo alla fine del processo entrerà in gioco il pipe-maker. Oggi trovare il ciocco giusto è meno facile che a metà Ottocento, quando lo sfruttamento dell’Erica Arborea stava appena iniziando; tra l’altro le piante vanno cercate in terreni non toccati dal fuoco almeno negli ultimi settant’anni: i ciocchi che dopo un incendio hanno alimentato la ricrescita risultano inservibili; per le pipe di qualità, poi, è necessario che il ciocco sia del tipo sferoidale e questo complica ulteriormente le cose.
Tornando ora a inizio Ottocento, o anche prima, mettiamoci nei panni di un artigiano con nozioni di affinamento stagionatura e lavorazione del legno capitato per caso in una zona di macchia mediterranea: quante le probabilità che individuerebbe fra tutte (senza nemmeno conoscerla) proprio la pianta di Erica Arborea, esclamando: “Ecco, con questa faccio una pipa”? Quasi zero. Ma se per una qualsiasi ragione gli capitasse di vedere un ciocco da vicino, un ciocco di quelli migliori, non potrebbe perlomeno incuriosirsi e arrivare a pensare: “Proviamoci”? Come minimo, qualcosa del genere avvenne verso metà Ottocento. Che sia capitato in epoche precedenti è più difficile da dimostrare ma vanno considerate due cose: tante delle grandi scoperte derivano da una imprevedibile concatenazione di casualità; un’invenzione può delinearsi “troppo presto”, restando a lungo nel limbo dell’incompiutezza prima di apparire realmente sulla scena quando tutte le condizioni necessarie si presentano insieme.
Se il racconto del salino è veritiero, nel 1854, dalle parti di Beaucaire (quasi alla foce del Rodano dunque vicino al Mediterraneo) o comunque nel Sud della Francia (il Midi) già si estraevano i ciocchi e in qualche modo si lavoravano per ricavarne oggetti. Alcuni libri, non si sa con quale fondamento, parlano di pipe in radica molto rozze ricavate col coltello ben prima del 1850 e rimaste in uso perlomeno fino al 1870, o di pipe in radica già fabbricate nel 1851 dai reclusi nel carcere di Nimes… Altri racconti, altre versioni più o meno affidabili parlano di pastori che intagliavano per proprio uso pipe in radica, di qualcuno che aveva acquistato a Beaucaire pezzi di radica già pronti per la lavorazione portandoli poi a Saint-Claude… Non sapremo mai come andarono realmente le cose.
Ma in fondo, che importa? Può anche essere che qualcuno avesse già scoperto le virtù del ciocco e ne ricavasse pipe più o meno perfette prima che il nuovo materiale giungesse a Saint-Claude. Ma se anche fosse così, non se n’era accorto quasi nessuno. Solo quando i primi campioni arrivarono in quel luogo ai piedi del Giura, quando un intero abitato provvisto di tutte le attrezzature e le professionalità necessarie si mise in moto, facendo prove su prove e avviando poi la produzione e la commercializzazione, solo allora iniziò realmente una nuova era, e le pipe in radica apparvero sulla scena in tutto il loro splendore.
Non ci volle molto, agli artigiani di Saint Claude, per prendere dimestichezza con il ciocco e perfezionare le fasi della sua lavorazione. Il fatto che quel legno fosse cosi duro e compatto non li spaventava: anzi era proprio quello il materiale dei loro sogni. Ma la maggior sorpresa arrivò al momento di fumarle, quelle pipe: il loro legno, ben affinato, non aveva sapori intensi che sovrastassero il gusto del tabacco. Grazie alle sostanze minerali contenute, resisteva al calore molto meglio degli altri. E poi la sua struttura molto irregolare dava luogo a tanti minuscoli vuoti capaci di interrompere la continuità del materiale: dunque un ottimo isolamento termico del fornello e la porosità necessaria ad assorbire le sostanze liquide legate alla combustione. La radica non era semplicemente un legno più compatto, ma la soluzione ideale per la pipa.
Ed era la soluzione ideale anche per Saint-Claude. Contando anche i paesi vicini, si passò dai 500 tornitori di legno del 1811 ai 2300 artigiani della pipa, in 66 diverse unità produttive, del 1892. Sarebbero diventati quattromila nel 1912, seimila nel 1925… All’inizio la nuova tipologia di strumenti da fumo non si discostò molto, in quanto a forma, dalle precedenti; ma a far la differenza era il materiale: bastava provare per rendersene conto. E tanti, tantissimi, sempre di più, provarono.
Quella di Saint-Claude, assurta velocemente a capitale della pipa, era diventata un’industria. Con soluzioni anche d’avanguardia: nel 1863 uno scultore e inventore del luogo, Joseph-Honoré Dalloz, mise a punto una macchina basata sul principio del pantografo capace di realizzare insieme, partendo da un modello di dimensioni maggiori, dodici pipe tutte uguali. Le fabbriche diventavano sempre più grandi e attrezzate, i guadagni volavano.
Ma attorno al cambio di secolo, o forse prima, suonò un campanello d’allarme: tanti specialisti della pipa facevano le valigie attratti da vantaggiose offerte provenienti da Londra. Là si facevano pipe in radica già dagli anni Sessanta dell’Ottocento, e il primo era stato proprio un francese: Emil Loewe. Ma non solo a Londra, destinata a tornare capitale della pipa, si radicava la radica: a Norimberga e Dublino, ad esempio, dagli anni Settanta; a Molina di Barasso, Italia, provincia di Varese, dove nel 1897 il milanese Ferdinando Rossi aveva impiantato una grande fabbrica… Quelli di Saint-Claude sarebbero rimasti i primi ancora per un discreto numero di anni, ma già avevano perso l’esclusiva.
E il resto delle pipe? A metà secolo, mentre la radica emetteva i primi vagiti, argilla meerschaum porcellana e le altre andavano avanti, ma il loro destino era quasi segnato: Alla concorrenza dei sigari, già preoccupante, avrebbero dovuto aggiungere quella del nuovo affascinante materiale. Un’accoppiata davvero micidiale, capace di sfiancare perfino i giganti. Di cambiare i connotati all’intero mondo del fumo.