Dunque: Virginia, Burley, Cavendish, Perique, Dark Fired Kentucky, Maryland, Carolina, Orientali, Latakia, Tropicali... e qualche altra varietà meno titolata di tabacchi-base: basta prenderne un certo numero, dosarli, mescolarli e il blend è fatto? Non esattamente: c’è ancora un altro pezzo di strada da fare. Un cammino necessario per più d’una ragione: non ultima, quella voglia di perfezione che accomuna i blenders ai fumatori.
Sotto certi aspetti il tabacco è come il vino. Di Chianti, per fare un nome, ce ne sono tanti e diversi: dipende dalle peculiarità delle piante, dal terreno, dal clima, dalle modalità di cura… Ma anche dall’annata. Pure di Virginia, per fare un nome, ce ne sono tanti e diversi: dipende dalle peculiarità delle piante, dal terreno, dal clima, dalle modalità di cura… Ma anche dall’annata! Per l’uno e per l’altro prodotto non è che il risultato di un anno è proprio uguale a quello del precedente o del successivo. Nel caso del vino la diversità fa parte del gioco: alcuni si disputeranno le annate buone, altri si accontenteranno e cercheranno i pregi nascosti in quelle “cattive”. Per il tabacco non va così.
Il consumatore affezionato a una precisa etichetta si aspetta, aprendo quella busta o quella lattina, di ritrovare ogni volta (più o meno!) lo stesso identico blend. Per accontentarlo i blenders si attrezzano contro le imprevedibili (e prevedibili) oscillazioni della natura gestendo magazzini capienti che alimentano di stagione in stagione. Il loro contenuto fa da volano, coprendo il fabbisogno di un paio d’anni. Ma soprattutto, grazie alla compresenza di tanti tabacchi-base in tante varianti diversificate, permette ogni volta di trovare la combinazione giusta per dare al fumatore proprio il gusto, l’aroma, le sensazioni che lui si aspetta da “quella” miscela.
Quanti sono i blend? Ogni Casa ne offre parecchi, ben caratterizzati, a coprire le tante e diverse sensibilità ed esigenze dei fumatori: mettendoli tutti insieme il numero sarebbe alto! Però, a grandi linee, possiamo “stringere” raggruppandoli in pochissime famiglie. Quella che proponiamo non è la classificazione ideale e definitiva: è contestata da alcuni esperti per la eccessiva genericità e per alcune incongruenze insite nelle stesse denominazioni; ma tutto sommato è quella che, più di altre, rende l’idea. Vediamola:
English Blend: Il tipo più antico. Non necessariamente inglese ma chiamato così perché fino al 1986 in Gran Bretagna la vecchia normativa “Tobacco Purity Laws” limitava fortemente l’uso di agenti aromatizzanti esterni nella manifattura del tabacco. Dall’aroma particolarmente corposo, queste miscele hanno una base di Virginia cui vengono aggiunti classici “condimenti” quali Latakia, Orientali, Perique. Esiste una variante scozzese, lo Scottish blend, nella quale ha meno peso il Latakia e il sapore viene corroborato da Virginia stagionati.
American o Aromatic Blend: il contraltare americano, nel quale le aromatizzazioni (vaniglia, rhum, ciliegie…) sono molto più presenti. Prevale il Burley spesso nella raffinata versione Cavendish, è presente anche il Virginia ma in misura inferiore rispetto alla composizione degli English. I tabacchi di queste miscele dolci e fragranti sono, più di altri, soggetti al procedimento del “casing” di cui parleremo fra poco.
Oriental o Balkan Blend: Miscele dall’aroma forte. Prevalgono i tabacchi orientali o turchi, con presenza minore di Virginia e altri tabacchi-base.
La differenza fra English e American si è attenuata negli ultimi tempi, dopo il cambio di normative in Gran Bretagna. Si è attenuata, è vero, ma una salda tradizione è difficile da sradicare, e le diversità sono in gran parte rimaste. Se poi vogliamo aggiungere alcune tipologie locali, ecco:
Continental Blend (tabacchi di gusto europeo): miscele di taglio fine, aromatizzate, di tabacchi prodotti nell’Europa continentale (escludendo dunque la Gran Bretagna).
Dutch Mixture: Gli Olandesi furono fra i primi a cimentarsi nei blend, operando con tabacchi tutti importati. La loro miscela caratteristica, fortemente aromatizzata alla cumarina, comprende tabacchi tropicali e Latakia.
French Mixture: una miscela forte, di tabacchi scuri nazionali leggermente aromatizzati e sottoposti a una caratteristica tostatura.
Italian Mixture: miscela di tabacchi di norma scuri di produzione locale.
Un accenno alle famiglie dei blend era necessario ma, visto che parliamo di tabacco e che il tabacco è sostanzialmente fatto di foglie, torniamo ora alle foglie.
Così come i buyers le hanno acquistate, così come le si è stivate nei magazzini non sono ancora pronte per la busta o la lattina: prima di tramutarsi in una fragrante miscela alcuni trattamenti le aspettano. Un insieme di lavorazioni semplici e complesse, variabili col tipo di prodotto, che si sottrae a un’analisi sistematica. Ma non è male parlarne per sommi capi, in prima approssimazione, con curiosità.
Il tasso di umidità di una foglia è importante, e dev’essere regolato a seconda delle situazioni: per aumentarlo si fa ricorso al vapore, per diminuirlo si alza la temperatura e poi la si lascia gradualmente calare. Uno dei casi in cui bisogna umidificare è quando si procede alla trinciatura o ancor più quando, con lo stripping, si asportano le parti più dure. Queste operazioni riescono bene con la foglia umida, dunque morbida e resistente: in caso di eccessiva secchezza tutto andrebbe in polvere. In altri casi è necessario tornare a un grado più ridotto di umidità: un tabacco in lavorazione può esser soggetto a più passaggi fra umido e meno umido. Solo alla fine raggiungerà quell’equilibrio che meglio permette la conservazione e la soddisfazione del fumatore.
Si diceva dello stripping, ovvero decostolatura o trebbiatura: specie la nervatura centrale della foglia, gambo compreso, dev’essere asportata per eliminare qualcosa che c’entra poco col fumo. Spesso si procede così anche per le nervature laterali. Insieme a questi elementi della foglia vengono asportati tutti gli eventuali corpi estranei, e quel che rimane è solo puro tabacco.
In quanto al cutting, taglio o trinciatura, è un processo delicato che richiede attrezzature diverse per foglie sciolte e blocchi pressati. La sua posizione nella sequenza di lavorazione può variare, ma è (quasi) sempre necessario oltre che caratterizzante per il prodotto finito.
Il casing, che potremmo definire “marinatura”, è un trattamento che interessa molti tabacchi-base: più di quanti si possa immaginare, e non solo quelli “aromatic”. Lo si effettua nelle fasi iniziali di questa “frazione” delle lavorazioni: la terza, se vogliamo riprendere l’immagine della staffetta del tabacco. Le origini sono antiche: i marinai, cercando il modo di mantenere fresco e umido il tabacco durante le lunghe navigazioni, avevano già sperimentato differenti misture zuccherine. La pratica passò poi ai blenders, che la perfezionarono.
Il casing, che si avvale di una specie di sciroppo a base d’acqua, non serve ad aggiungere aromi ma a enfatizzare quelli del tabacco, a volte a correggere o attenuare possibili aspetti problematici di una miscela. Serve inoltre a mantenere la giusta umidità del prodotto.
Lo sciroppo si prepara aggiungendo a una determinata quantità d’acqua gli ingredienti di volta in volta prescelti: cacao, liquirizia, cioccolato, zucchero di canna, miele, estratti di frutta e altro. Il composto viene fatto bollire per circa quattro ore e poi lasciato raffreddare. A questo punto entrano in gioco le foglie decostolate, inserite in un cilindro che ruotando provoca un continuo rimescolamento. Lì dentro è iniettato lo sciroppo, nuovamente riscaldato. L’assorbimento da parte del tabacco viene favorito da vaporizzazioni, procedure sottovuoto, movimenti del cilindro. Per almeno un giorno si opera in questa maniera, dopo si riscalda il tutto e lo si lascia raffreddare eliminando poi la parte di sciroppo, polverizzata, che non è stata assorbita.
Non c’è una ricetta buona per tutte le occasioni: ogni tabacco, ogni mistura diversa richiede il giusto casing. Ogni blender ha le sue ricette gelosamente custodite. La marinatura è applicata alla maggior parte delle miscele che contengono Virginia e/o Burley, comprese tante di quelle che recano la scritta “unflavoured”: in questi casi si usa uno sciroppo costituito da semplice soluzione di acqua e zucchero. L’aggiunta di zucchero serve anche a diminuire la basicità di certi tabacchi, riducendo l’effetto-pizzicore.
Arrivati a questo punto alcuni tabacchi sono praticamente pronti, salvo le ultime operazioni prima del confezionamento: interessante la macchina che provvede a mescolare intimamente e definitivamente i diversi frammenti. Per altri è previsto anche il topping, per altri ancora le fasi più impegnative devono ancora arrivare.
A differenza del casing, il topping o flavouring è una vera e propria profumazione. La si effettua alla fine del processo, appena prima del confezionamento. Non più una procedura a caldo come il casing, ma l’aspersione o atomizzazione a freddo di una soluzione alcoolica contenente l’agente aromatizzante. Dopo un giorno o due di riposo, l’alcool è tutto evaporato e rimane solo il profumo.
Neanche questa è una pratica recente: risale a qualche secolo fa quando alcuni marinai, per trasportare il tabacco da un continente all’altro, provarono a usare come recipienti i barili vuoti di rhum: quanto ancora restava del rhum impregnò il tabacco. Da allora, visto il successo di quel carico, la tecnica della profumazione si estese e differenziò.
Se il topping serve a esaltare le qualità del tabacco senza stravolgerle, la profumazione “aggiunge” qualcosa. L’importante è che l’aggiunta non tradisca l’armonia dei vari elementi della miscela, anzi la esalti. Che non sovrasti il tutto soffocando la precisa personalità del blend. Per ottenere l’effetto giusto si deve spesso utilizzare un mix di diverse essenze facendo un lavoro simile a quello di chi, combinando tanti diversi agenti olfattivi, arriva a creare un nuovo profumo.
Restano da considerare quelle altre lavorazioni più impegnative di cui si è detto: in esse la pressatura (con la fermentazione collegata) è fondamentale. Le tecniche, sotto molti aspetti, sono simili a quelle già viste per Cavendish e Perique. Ma stavolta si applicano su più larga scala e appartengono alla cultura e alla tradizione dei blenders.