A pagina due del giornale La Prealpina, sezione “cronache varesine”, campeggiava il titolo: “Getta la spugna la Fratelli Rossi. È la più antica fabbrica di pipe”. Occhiello: “L’azienda di Barasso non regge la crisi e chiede un concordato preventivo”. Sommario: “Fondata nel 1886, la sua storia è un misto di leggenda e pionierismo industriale - I titolari di oggi propongono ai creditori la cessione dei beni della società - Ora il tribunale deve decidere - Di oltre un miliardo il passivo provocato anche da uno stop del mercato statunitense e da una conseguente contrazione dei pagamenti”. Si concludeva così, amaramente, nel 1984, una vicenda durata cent’anni. O, forse, qualcuno di più.
Il più antico documento conosciuto, conservato alla Camera di Commercio di Milano, è del 22 Novembre 1898. “La sottoscritta ditta Fratelli Rossi, residente a Milano in Via Mortara 5, esercente fabbrica di pipe, chiede di essere iscritta nel ruolo delle ditte…”. Vergato in calligrafia, è firmato “Fratelli Rossi”. Ma chi fu materialmente a scriverla? Una annotazione, sempre in calligrafia, chiarisce tutto: “Il socio gerente Ferdinando Rossi che firma Fratelli Rossi”.
Documento interessante anche per i timbri apposti sotto alla firma. Il primo, su sei righe: “Fabbrica di pipe/ di radica e legni fini/ dei/ Fratelli Rossi/ Milano/ Via Mortara N.5”. Il secondo, su una sola lunga riga aggiunto immediatamente sotto al primo: “Stabilimenti in Milano e Barasso (Varese)”.
Ancor più interessante l’atto notarile allegato: vergato anch’esso a mano nella calligrafia “cancelleresca” comunemente usata per i documenti ufficiali, è datato 10 Febbraio 1890 ma fa riferimento a un precedente atto (dello stesso Notaio Dr. Leone Donadoni) del 19 Gennaio 1888.
Dalla lettura, si deduce che: 1) nel 1888 si costituisce in Milano tra Giulio Caremi fu Giulio e Carlo Rossi di Giuseppe una Società in accomandita semplice denominata “Giulio Visconti e C.” con sede a Milano Via Mortara N.5 “pella Fabbrica e Vendita Pipe di radica ed altri legni e per la rappresentanza e smercio per conto di terzi degli oggetti inerenti a tale articolo e industria”. 2) L’accomandatario e gerente (ossia il socio operativo) è Giulio Caremi. Carlo Rossi, avvocato, è l’accomandante, ossia colui che versa un determinato capitale (in questo caso la maggior parte) e non partecipa attivamente alla gestione. 3)Ferdinando Rossi, fratello di Carlo, diventa (subito o in un secondo momento) procuratore della ditta. 4) Nel 1890, intendendo Giulio Caremi ritirarsi, è Ferdinando Rossi a subentrare diventando accomandatario e gerente. 5) A Giulio Caremi viene restituita la quota sociale in precedenza versata, ma solo parzialmente in contanti: l’altra parte parte “in mobili ed attrezzi occorrenti per la fabbricazione delle pipe”. 6) La ragione sociale cambia in “Fratelli Rossi”, la sede rimane in Via Mortara 5.
Dunque la Rossi nacque a Milano con un altro nome? Sì. Solo più tardi iniziò a produrre a Barasso? Sì. La vera data di nascita è il 1888? No. Basta infatti sfogliare l’annuario milanese Savallo di quell’anno per trovarvi, alla voce pipe, la ditta “Visconti Giulio e C. Via Mortara 5 - Prima fabbrica di pipe di radica”. Ma un annuario, per forza di cose, pubblica i dati dell’anno precedente. Le norme sulle società erano allora labili, ed è più che possibile che Carlo Rossi e Giulio Caremi (oltre naturalmente a Ferdinando) avessero iniziato l’attività anche due anni prima dell’atto notarile. Ed ecco che, come si afferma sulla Prealpina e in altri documenti, considerando la Visconti come il primo passo della sua storia, la Rossi può considerarsi fondata nel 1886.
I due fratelli Rossi erano nati a Broni, si può immaginare da famiglia facoltosa. Nel 1890 Carlo, il maggiore, ha già la sua professione e risulta residente a Voghera: più che occuparsi di industria a Milano sembrerebbe intenzionato ad appoggiare finanziariamente il fratello. Di Giulio Caremi si sa solo che nell’atto del 1890 viene definito “industriale” e che recupera in attrezzature parte della sua quota: vuol dunque proseguire nel mondo delle pipe, al quale verosimilmente già apparteneva prima di incontrare Carlo Rossi, il quale proprio per questo l’aveva scelto come socio operativo. Ma torniamo a Ferdinando, il vero protagonista.
Si racconta di lui come di persona intraprendente, abituata fin da giovane a fare la spola fra gli artigiani produttori di pipe e l’emporio di famiglia in cui queste venivano vendute. Nella zona di Milano, a fine anni Settanta dell’Ottocento, c’era una buona tradizione di pipe in schiuma, ma la gran parte degli strumenti da fumo era in argilla, in bosso o altri legni; fondata nel 1873, la ditta Maurizio Pisetsky utilizzava la radica seguendo l’esempio dei Francesi. Se non tutti, quasi tutti in quell’epoca usavano la pipa: il più conveniente e popolare strumento da fumo. In questo ambiente è probabile si muovesse Ferdinando, ventenne nel 1876, anche prima della collaborazione con Caremi, appoggiandosi ad alcuni dei negozi allora in attività. In quanto all’emporio di famiglia, si sa solo di una tabaccheria in Via San Vito intestata a un Carlo Rossi che appare sull’annuario Savallo del 1888, dunque esiste perlomeno dal 1887, come la società Visconti. Nell’annuario 1889 (1888) il negozio si trasferisce in Via Pesce, nell’edizione 1890 (1889) non compare più; i Rossi, comunque, gestivano rappresentanze e commerci nella sede di Via Mortara perlomeno dal 1886.
Nel 1886, presunti albori della ditta Visconti, Ferdinando aveva trent’anni, entusiasmo e una discreta abilità che mise a frutto come procuratore. Negli anni fino al 1890 acquisì, anche osservando da vicino l’attività di Caremi, tutta l’esperienza e le competenze che gli servirono poi a prenderne il posto. Già allora emergevano le sue doti ma soprattutto il carattere, che nell’articolo del 1984 sulla Prealpina è ben delineato: “dotato di fiuto commerciale, ma anche di modi di fare molto sbrigativi… [da] industriale prima maniera…”. Non era bravo solo nei rapporti commerciali: imparò presto a conoscere a menadito le procedure e le macchine per la produzione. Quest’uomo di fine Ottocento era permeato del mito del progresso: tutte le novità della tecnologia lo interessavano, soprattutto se poteva impiegarle nella sua azienda.
Girando alla ricerca di fornitori per i suoi commerci si era spinto fino alla mitica Saint-Claude, patria allora indiscussa delle pipe in radica. C’è chi dice 1880, forse fu qualche anno più tardi, quando già esisteva la Giulio Visconti e C. Fu allora che, di fronte alla realtà così evoluta di quell’industria della pipa, intuì che la stessa strada andava seguita anche in Italia.
Barasso era un piccolo paese sul lago, a Ovest di Varese. La sua frazione Molina, posta in alto, era così chiamata per via di alcune ruote idrauliche anticamente installate, mosse da un discreto corso d’acqua (il torrente Tinella) che originava da una fonte. Oltre alla fonte, a Molina non c’era ancora nulla salvo un’antica piccola abbazia abbandonata e la vecchia filanda. Qui, nel 1886 (ma c’è chi dice qualche anno prima) i Rossi acquistarono un terreno comprendente fonte e filanda. Era solo la prima acquisizione: gradualmente si sarebbero espansi fino a occupare una vasta zona pianeggiante. Il 1886 è l’anno ufficiale della fondazione, o meglio il possibile anno di nascita della Visconti, che operava a Milano. Che ci facevano, a quel tempo, i Rossi a Barasso? C’è chi dice fosse questa la loro zona di villeggiatura; qui in ogni modo individuarono il posto adatto fuori dalla grande città, senza problemi di spazio, vicino alla ferrovia, con manodopera a basso prezzo… Ma Giulio Caremi era coinvolto in tutto ciò? Forse i fratelli Rossi agivano già per conto proprio prevedendo futuri cambiamenti nell’accomandita; o forse Caremi era informato di tutto, ma di fronte agli ambiziosi progetti dei due e alla conseguente necessità di investire preferì a un certo punto passare la mano. Tornando a Milano: la sede rimane in Via Mortara fino al 1899 (Annuario Savallo 1900); poi si trasferisce in Piazza Genova (Annuario Savallo 1901). Probabilmente non più la fabbrica ma un negozio o un ufficio di rappresentanza. Se, come si afferma, a Molina si iniziò a lavorare nel 1897 (il timbro aggiunto “Stabilimenti a Milano e Barasso (Varese)” risulta dal 1898) appare probabile che la chiusura della fabbrica milanese sia avvenuta proprio nel 1899 quando a Barasso operava già quella nuova. La società di famiglia in accomandita semplice andò avanti, cambiando soci e quote col succedersi delle generazioni dei Rossi.
In Via Mortara 5, con l’apporto di Caremi, si era messo al lavoro un certo numero di operai-artigiani, forse una dozzina, forse una trentina, con attrezzature non troppo evolute; ma a fabbrica avviata la produzione era già sufficiente a raggiungere i fumatori del Nord Italia. Nel 1892 in Sudamerica, terra di emigrazione italiana, si siglò il primo contratto internazionale. Già allora Ferdinando Rossi si preoccupava di migliorare i macchinari, i quali in parte passarono poi a Caremi e in parte migrarono a Molina. Assieme ad essi arrivarono quegli operai che Ferdinando aveva convinto a seguirlo assicurando loro casa e lavoro presso la nuova sede, oltre che le spese di spostamento. Ma Rossi pensava sempre in grande. Man mano che il nuovo stabilimento sul lago si delineava occupando la ex filanda e qualche nuovo edificio, gli arnesi i macchinari e le lavorazioni “dovevano” diventare ogni giorno più efficienti. Il modello era quello francese di Saint-Claude, ma non era nemmeno pensabile andar là e acquistare tutto quel che serviva: purtroppo i Francesi, giustamente gelosi dei loro segreti e della loro eccellenza, non rivelavano né cedevano proprio nulla. Ferdinando, però, non era uomo da arrendersi di fronte alle difficoltà: alcune di quelle macchine in qualche maniera arrivarono; e con esse, con la famiglia, anche un operaio che aveva lavorato in Francia e le conosceva molto bene. Gli spregiudicati metodi di Ferdinando non si fermarono qui: si narra che desse “contributi” ad operai italiani di stanza a Saint-Claude perché lo tenessero sempre aggiornato sui progressi tecnici di laggiù. Col tempo arrivò al punto di perfezionare le stesse macchine d’oltralpe: al famoso pantografo 1:1 usato a Saint-Claude per le pipe-caricatura, ad esempio, aumentò il rapporto di riproduzione e registrò il brevetto.
Le macchine degli inizi erano azionate a mano, nelle prime fasi di Molina andarono a ruote idrauliche mosse dall’acqua canalizzata che scaturiva dalla fonte. Ma in quell’Italia fra Otto e Novecento prendeva lentamente piede un nuovo tipo di energia: come poteva ignorarlo quell’industriale così innamorato del progresso? Nelle vicinanze della fabbrica c’era la stazione delle Ferrovie Nord Milano sulla linea Como Varese Laveno: arrivarono lì i pezzi che, trasportati su carri, furono poi assemblati in un piazzale; eseguito il complesso montaggio, il tutto fu inglobato in un nuovo edificio. Nasceva così alla Fratelli Rossi una piccola centrale termoelettrica: il vapore prodotto con l’acqua del torrente metteva in moto una turbina Stephenson che a sua volta faceva girare un generatore. La nuova energia rivoluzionò la fabbrica, muovendo le macchine e illuminando i locali. Solo dopo molti anni, in tempi più recenti, la centrale fu dismessa quando si ritenne conveniente allacciare la fabbrica alla rete elettrica.
Grande e determinante fu il l’impegno di Rossi nel far conoscere il suo prodotto. Un mezzo efficace, caratteristico dell’epoca, erano le grandi Esposizioni: da quella del 1900 a Parigi venne una medaglia d’oro. A Milano, nel 1906, la Fratelli Rossi guadagnò un diploma d’onore installando nella gigantesca Galleria del Lavoro un piccolo laboratorio a ciclo completo con macchine e operai: grande l’interesse del pubblico, che poteva osservare come, dall’abbozzo alla lucidatura, nasceva una pipa. Altre esposizioni, altri diplomi e medaglie; ma per trovar compratori bisognava anche viaggiare in lungo e in largo per il mondo. Al primo contratto estero firmato nel 1892 ne seguirono altri e altri ancora in Europa e fuori Europa. La fabbrica si ingrandiva: ai primi del Novecento già centoventi erano i dipendenti, impiegati dieci ore al giorno per sei giorni la settimana. Arma vincente della Rossi era l’offrire a prezzi concorrenziali un discreto prodotto di massa, ottenuto con una avveduta politica dei costi e una puntigliosa e razionale organizzazione del lavoro. Vendendo solo all’ingrosso e curando soprattutto l’esportazione, nella gran parte dei casi si imprimeva sulle pipe, per ogni committente, il marchio o i marchi da lui richiesti.
Leonida figlio di Ferdinando, nato a Milano nel 1886, era cresciuto in mezzo alle pipe. Aveva già una discreta esperienza quando, alla morte del padre nel 1918, gli succedette al comando. Si trovò a trentadue anni a guidare una fabbrica ben avviata: avrebbe potuto accontentarsi; ma lo stesso spirito imprenditoriale che aveva sostenuto il genitore spirava anche dentro di lui. Quel gioiello di fabbrica andava ancor più ampliato, reso ancor più efficiente. Ancora più completo. In direzione della completezza influì, proprio nei primi anni della nuova gestione, anche un increscioso problema sorto con Saint-Claude: laggiù la Rossi acquistava i bocchini di ebanite. Ma i locali fabbricanti vedevano con preoccupazione quella ditta italiana che cresceva, cresceva e invadeva i mercati: il fornitore dei bocchini fu convinto a ridurre sempre più le forniture al concorrente italiano. A Molina corsero ai ripari cercando alternative, ma si capì presto che l’unica vera soluzione era fare da soli. Ci vollero alcuni anni di esperimenti andati male, successi solo parziali, investimenti in tempo denaro documentazione e immaginazione finché nel 1922 anche i bocchini in ebanite uscirono da un nuovo reparto della Fratelli Rossi. Il vapore prodotto dalle caldaie affluiva ora alle autoclavi per la vulcanizzazione.
Furono anni di grande crescita nei quali lo stabilimento si ampliò in maniera visibile. Festeggiando il cinquantenario nel 1936, il direttore fece un discorso, i dipendenti regalarono una medaglia a Leonida e posarono per una bella foto di gruppo sotto alla palazzina degli uffici. Un album fotografico pubblicato per l’occasione mostra più di tante parole l’ampiezza e la razionale organizzazione dello stabilimento: proseguendo sulla strada del padre e completandone il lavoro, Leonida aveva creato una fabbrica a ciclo completo organizzata coi criteri della catena di montaggio. Dallo stoccaggio della radica alla spedizione, (quasi) tutto si faceva all’interno, comprese la minuteria metallica e le casse da imballaggio. Ma Leonida, imprenditore illuminato, aveva edificato a Molina anche un piccolo agglomerato di case per parte dei suoi dipendenti i quali, sul posto di lavoro, disponevano di refettorio e sala medicazione. Destinata ai loro figli (ma anche ai giovani di Barasso e Luvinate) fu la Casa del Sole, inaugurata in alto sulla collina nel 1938: una colonia elioterapica che Rossi aveva voluto in memoria della figlia Marisa, morta di tifo all’età di dieci anni. Si dice poi che, durante la guerra, i dipendenti ebbero anche la possibilità di prelevare in refettorio, gratuitamente o a prezzo ridotto, razioni di cibo per le loro famiglie.
Furono gli anni Trenta quelli del maggior splendore, con grandi volumi di esportazione specie in Europa e America ma anche in altre parti del mondo. Più di 50.000 pipe prodotte in un giorno, una forza lavoro di 800 persone. Nemmeno le “sanzioni” inflitte all’Italia nel 1935 fermarono la Rossi: furono aggirate creando ad Agno, nello svizzero Canton Ticino, una succursale che continuava a vendere ai clienti esteri altrimenti preclusi: era solo un piccolo laboratorio dalla modesta produzione, ma utile a fare da schermo utilizzando i marchi “Foreign made” e “Made in Switzerland”. Durante la Guerra, perduti i clienti angloamericani, si cercò di rimediare coi tedeschi ma i numeri di qualche anno prima erano solo un ricordo.
Nel 1947 il sessantunenne Leonida decise di inserire in ditta il figlio Ferdinando, ventinovenne, anch’egli cresciuto in mezzo alle pipe ma forse meno strettamente legato a quel mondo. La nuova accomandita “Fratelli Rossi di F. Rossi” (dove “F.” stava per Ferdinando) aveva per accomandante Leonida, con quota capitale di Lire trecentomila. I due principali dirigenti dell’azienda, entrambi con quota di cinquantamila, erano anch’essi accomandanti. Ferdinando, con capitale di centomila, era l’accomandatario ossia il socio operativo. Dunque Leonida manteneva il controllo, Ferdinando era affiancato da due persone d’esperienza. Un mese dopo, un nuovo documento notarile nominò procuratore della ditta uno dei due dirigenti, conferendogli tutti i poteri per l’amministrazione ordinaria. Altro cambiamento nel 1956, quando il capitale passò da cinquecentomila Lire a dieci milioni e gli accomandanti minoritari lasciarono: tutto l’esborso era a carico di Ferdinando, che assumeva il controllo. Leonida morì a settantanove anni nel 1965; da allora la società restò, con diverse variazioni nelle quote e nel capitale, in mano a Ferdinando e alla moglie.
Dopo la guerra l’attività era andata avanti con duecento dipendenti, al ritmo di 10.000 pipe al giorno esportate in USA, Sudamerica, Germania; ma col passar del tempo tanti preoccupanti indizi denunciavano un cambiamento: le sigarette, calate di prezzo e più svelte da accendere e fumare, stavano piano piano (ma nemmeno troppo piano) diventando il nuovo veicolo del fumo di massa. In parallelo il mercato delle pipe tendeva a ridursi a una cerchia più ristretta di amatori i cui gusti, le cui esigenze si sarebbero via via evoluti verso una maggiore raffinatezza. Non per costoro era stata sognata, pensata, costruita la magnifica catena di montaggio da cinquantamila pipe al giorno.
Se ne resero conto, alla Rossi, e tentarono di adeguarsi aggiornando mentalità macchinari e metodi, valorizzando quel marchio della Casa che a lungo era stato trascurato. Le difficoltà crescenti portarono ad aumenti di capitale a raffica: dalle cinquecentomila Lire del 1947 ai dieci milioni del 1956, dodici nel 1969, cento nel 1974, duecentocinquanta nel 1980. Intanto si facevano avanti concorrenti più piccoli, aggiornati, agguerriti, dalla spiccata impronta artigianale, i grossi clienti si dileguavano, più d’un dipendente cercò altrove nuove sistemazioni… Erano rimasti in trenta fra operai e impiegati, gli ultimi clienti esteri stavano in Sudamerica come agli inizi quando, amaramente, la Fratelli Rossi di F. Rossi gettò la spugna.
C’è chi indica in Ferdinando il maggior responsabile: preso da altri interessi, avrebbe troppo delegato; e non tutti sarebbero stati corretti con lui e con l’azienda. Ma a ben vedere, l’impresa di far fronte al drammatico cambiamento operando su una realtà così rigida sarebbe stata probabilmente difficile anche per suo padre e per suo nonno. Certamente fu troppo ardua per lui.
Fra il 1984 e il 1985, e anche oltre, la grande fabbrica fu dismessa. I macchinari e i materiali furono via via ceduti a gente del mestiere. La società in accomandita “Fratelli Rossi di F. Rossi” rimase in vita fino al 1991 quando venne definitivamente sciolta davanti a un notaio. Gli edifici a Molina sono ancora in piedi, occupati da diverse aziende. Stessa situazione per le case del piccolo “villaggio operaio”, oggi proprietà di privati. Una parte dell’acqua della fonte viene pompata per irrigare il vicino campo da golf e alimentare l’acquedotto di Varese. La Casa del Sole Marisa Rossi, inglobata nel Parco Campo dei Fiori di Varese, è dal 1986 gestita del Comune di Barasso: adattata alle esigenze odierne nel rispetto della originaria architettura, serve per eventi pubblici e privati. Importanti cimeli della Rossi, fra i quali spicca l’intera Sala Campionaria con tutte le sue pipe, sono esposti al Museo della Pipa di Gavirate.
La Fratelli Rossi ha significato molto per Barasso e dintorni. Dando lavoro a migliaia di persone: ai dipendenti, ai tanti collaboratori esterni che eseguivano particolari lavorazioni, specie di finitura. Diffondendo la cultura della fabbricazione delle pipe attraverso coloro che lungo gli anni si son messi in proprio dopo aver imparato il mestiere in quella fabbrica “madre di tante altre”: ancor oggi, a Barasso e nei centri vicini, sono attive non poche importanti realtà che perpetuano la nobile tradizione degli strumenti da fumo.
Si ringraziano per la collaborazione:
Camera di Commercio di Milano
Camera di Commercio di Varese
Museo della Pipa di Gavirate
Paolo Croci
Luigi (Gigi) Crugnola
Ferdinando Giudici
Augusto Pasqualini