Due rette parallele non si incontrano mai; ma due vite parallele possono avere, in un modo o nell’altro, qualche punto di contatto. Jean Nicot e André Thevet si conobbero mai di persona? Non lo si lo può escludere visto che, in diversi periodi, furono entrambi attivi alla Corte di Francia. Ma se incontro ci fu, questo fu probabilmente casuale e senza particolare interesse reciproco: troppe differenze e diffidenze li separavano. Di sicuro invece ci fu lo scontro: una inaspettata congiuntura li costrinse in qualche modo a relazionarsi, anzi a contrapporsi, su un tema non centrale nelle loro vite; al quale però, ingiustamente, è legato in gran parte ciò che rimane della loro memoria. L’oggetto della contesa era ed è: chi dei due doveva e deve esser considerato il padre del tabacco in Francia?
Per tentare di rispondere va riavvolto il nastro, partendo da quel primo viaggio di Cristoforo Colombo dal quale tutto scaturì.
Le prime testimonianze scritte sull’aromatica pianta e i suoi diversi usi vengono infatti dai giornali di bordo del grande navigatore, andati perduti ma almeno in parte trascritti dal figlio Fernando e dal cardinale Bartolomé de Las Casas. Diari, rapporti, lettere, vennero da altri esploratori, avventurieri, naviganti, militari, religiosi. Notizie che almeno in parte circolarono in Europa, anche riprodotte a stampa, per soddisfare la montante curiosità su quanto si andava scoprendo nel nuovo mondo.
Il tabacco non occupava molto spazio in quei fogli, e nemmeno nei libri che seguirono: pochi scarni paragrafi inseriti in un mare di altre notizie; i quali però, spesso attribuendo proprietà terapeutiche a quell’erba, suscitavano attese e speranze nei medici, da sempre alla ricerca di una nuova panacea.
Già Colombo aveva portato in Spagna, fra i tanti reperti, le foglie e probabilmente anche i semi del tabacco. Altri, specie spagnoli e portoghesi, fecero altrettanto man mano che le rotte sull’Atlantico si affollavano. Ma troppe cose nuove sbarcavano da quelle navi, e nessuno dava eccessiva importanza a una pianta in particolare. Con un’eccezione: quelli che facevano la spola fra le due sponde. Chi aveva provato a fumare in America, imitando i nativi, tornava nei porti europei con una scorta di tabacco. Vale la pena di leggere, a questo proposito, una testimonianza attribuita a Pierre Crignon, poeta e navigatore di Dieppe, Normandia, datata 1525 e ambientata in una taverna della sua città:
Ieri ho incontrato un vecchio marinaio di mia conoscenza. Siamo andati a berci una brocca di vino di Bretagna, a un certo punto lui tira fuori qualcosa dalla borsa. Un oggetto in terra bianca: a prima vista uno di quei servizi da scrittura che usano gli scolari, insomma un calamaio con un lungo calamo e un piccolo astuccio. Poi ha riempito l'estremità più grossa dell’oggetto con delle foglie brune sbriciolate nel cavo della mano, le ha infiammate con un acciarino, un istante dopo inseriva la canna fra le labbra e soffiava fumo dalla bocca, con mia grande meraviglia! La strana operazione fatta con le foglie e quell’oggetto mi spiegò che l'aveva appresa da Portoghesi che l’avevano a loro volta imparata da indiani Mexicos. La chiamava "pétuner"; a suo dire permetteva di schiarire le idee e di avere pensieri lieti.
Non per nulla Dieppe era uno dei porti utilizzati dai mercanti francesi di legno del Brasile i quali, da circa il 1508, sembra avessero adottato l’uso “fumatorio” del petun.
Aumentavano Intanto le pubblicazioni in Europa di libri nei quali si parlava (fra tante altre cose) del tabacco. Uno in particolare merita attenzione perché è scritto da un francese ed è pubblicato a Parigi nel 1545. Opera dell’esploratore bretone Jacques Cartier, è il resoconto dei suoi viaggi dal 1534 al 1536, alla infruttuosa ricerca del Passaggio a Nord-Ovest, nell’estremo Nord del continente americano. Il titolo è piuttosto lungo: BRIEF RECIT, & succincte narration, de la navigation faicte es yiles de Canada, Hochelage & Saguenay & autres, avec particulieres meurs, langaige, & cerimonies des habitans d'icelles: fort delectable à veoir. In un punto del racconto, parlando del secondo viaggio, Cartier descrive così i particolari costumi osservati sulle rive del fiume San Lorenzo:
Essi hanno un'erba di cui fanno grandi ammassi durante l'estate per l'inverno; la seccano al sole e la portano al collo, in una piccola pelle di animale, come una borsa, insieme a un cornetto di pietra o di legno; poi in qualsiasi momento polverizzano la detta erba e la mettono a un'estremità del detto corno; poi ci mettono sopra un carbone [ardente] e soffiano [aspirano] attraverso l'altra estremità, tanto che riempiono il corpo di fumo e quello esce dal naso, come da un camino. Dicono che ciò li mantenga sani e caldi; non vanno mai senza le dette cose [con loro]. Noi abbiamo provato questo fumo, dopo averlo messo nella bocca sembra di averci messo polvere di peperoncino tanto questo è caldo.
C’è chi suppone che Jacques Cartier avesse portato in patria anche semi e foglie di quell’erba, ma non si va oltre il “forse”. Sempre più numerose circolavano intanto le informazioni sugli usi medicinali in America dell’aromatica pianta. Nel 1553 un erbario pubblicato ad Anversa dal medico-botanico Rembert Dodoens aveva due tavole dedicate a una nuova specie vegetale. La didascalia recitava Hyoscyamus luteus, ma altro non era che tabacco.
Nel 1558 uscì Les Singularitez de France Antarctique del Frate André Thevet. Opera composita, multiforme, colma di citazioni antiche e di strabilianti notizie su fauna, flora, costumi dei territori americani. In essa si annidavano solo due brevi brani dedicati al tabacco. Il più significativo è nel trentaduesimo capitolo, e si riferisce all’esperienza personale dell’autore in Brasile.
Un'altra particolarità è di un'erba, che nella loro lingua chiamano Petun, che di solito portano con sé, perché la considerano meravigliosamente benefica in molte cose. Somiglia alla nostra buglossa. Ora, raccolgono con cura quest'erba e la fanno seccare all'ombra, nelle loro piccole capanne. Il modo di usarla è questo: avvolgono, essendo essiccata, una certa quantità di questa erba in una foglia di palma, che è molto grande, e la fanno rotolare come della lunghezza di una candela, poi ne infiammano un'estremità e ne ricevono il fumo attraverso il naso e attraverso la bocca. È molto salutare, dicono, per far distillare e consumare gli umori superflui del cervello. In più, presa in questo modo, fa passare per un po' la fame e la sete. Perciò la usano sempre, anche quando hanno qualcosa da dire tra loro, tirano questo fumo, e poi parlano: cosa che abitualmente e successivamente fanno uno dopo l'altro in guerra, dove l’erba si trova molto conveniente. Le donne non la usano affatto. È vero che se prendi troppo di questo fumo o profumo l’erba infastidisce e puzza, come l'aroma del vino forte. I cristiani che oggi stanno laggiù sono diventati felicemente affezionati a quest'erba e [al suo] profumo: benché all'inizio l'uso non sia senza pericolo fintanto che non ci si è abituati, perché questo fumo provoca sudorazione e debolezze, tanto da cadere in qualche sincope: quella che ho vissuto io stesso. E non è così strano come sembra, perché ci sono molti altri frutti che [se presi in eccesso] offendono il cervello, benché siano delicati e buoni da mangiare.
Il secondo brano, riferito ai nativi del San Lorenzo e inserito nel settantasettesimo capitolo, è semplicemente una trasposizione leggermente modificata, e senza indicazione della fonte, di quanto scritto da Jacques Cartier.
Rispetto a quella dell’esploratore bretone, la versione di Thevet è più dettagliata. L’impressione è che il francescano fosse diventato tanto felicemente affezionato al tabacco quanto i cristiani rimasti laggiù. Forse anche per questo, per non rimanerne senza, era tornato con i semi e li aveva subito fatti germinare in un suo terreno ad Angoulême ottenendo un discreto raccolto. Come nome della “sua” erba scelse (ma non si sa quando) herbe Angoumoisine in onore della sua città. Sicuramente, come gli era congeniale, ne aveva parlato in giro, ma si suppone in un ambito abbastanza ristretto. Con le sue Singularitez ebbe l’occasione di annunciarla al mondo, e il successo dell’opera aiutava. Un discreto numero di lettori venne così sapere del tabacco, anzi del petun; ma le tante altre singularitez disseminate in quel libro erano ugualmente capaci di captare l’attenzione, distogliendola dalla aromatica erba. In ogni modo, nel libro, Thevet non usa mai il termine “herbe Angoumoisine”.
C’è da chiedersi se Thevet ci tenesse fin dall’inizio a esser considerato il padre del tabacco in Francia o si rese conto solo più tardi di quanto la pianta stava diventando importante. Un’ importanza legata non tanto al fumo (o al fiuto) quanto alle supposte virtù terapeutiche di quelle foglie. Da lì a poco quell’erba sarebbe diventata l’ingrediente fondamentale in un gran numero di medicinali.
Durante il suo soggiorno a Lisbona Jean Nicot cedeva ogni tanto alle sue passioni di umanista. Per una persona così innamorata delle carte antiche era più che naturale visitare gli Archivi Nazionali del regno, ancor più se il responsabile dell’istituzione si chiamava Damião de Góis. Storico e diplomatico portoghese, questi aveva vissuto a lungo in vari Pesi europei facendo la conoscenza di personaggi quali Martin Lutero, Erasmo da Rotterdam, Philipp Melanchthon, Albrecht Dürer. Persona squisita, felice di incontrare intellettuali e ambasciatori di altre nazioni, fu ben lieto di accogliere quel giovane così preparato sui testi classici. Probabilmente gli incontri furono più d’uno; certamente diedero frutti. Uno dei compiti di Nicot a Lisbona era individuare e comunicare le novità trovate in Portogallo: una di esse poteva essere quella pianta che de Góis coltivava nel suo orto. Il portoghese la teneva in grande considerazione; visto il suo interesse gliene donò qualche talea, un po’ di semi, forse qualche pianta, e Nicot ne fece coltivare un certo numero nel giardino dell’ambasciata. Ma non si accontentò di questo: un po’ per caso un po’ per curiosità iniziò a interessarsi agli usi terapeutici del tabacco, dei quali forse aveva sentito parlare da de Góis. Non era medico ma, con la sua mentalità da attento studioso, si mise a effettuare approssimative sperimentazioni, o piuttosto osservazioni, su un ristretto numero di malati; in quell’epoca la vera sperimentazione era ancora tutta da inventare. Solo quando gli sembrò che la cura col tabacco mediante impacchi e altre pratiche portasse miglioramenti in varie patologie, si decise a darne notizia alla sua Corte. Il fatto è parzialmente documentato da una lettera inviata al Cardinale Charles de Lorraine, arcivescovo di Reims, fratello del potentissimo Claude de Lorraine duca di Guisa, nipote di quel Jean de Lorraine che aveva finanziato il viaggio al Levante di Thevet. Una semplice comunicazione di servizio insomma, come le tante che Nicot inviava periodicamente al re, a Caterina de’ Medici e ad altre importanti personalità. Stava, in altri termini, espletando le sue funzioni di ambasciatore. Datata 26 Aprile 1560 la lettera tratta in sequenza un certo numero di questioni; eccone uno stralcio:
… ma con le prime navi saranno inviate allo stesso André Ruyz; ho trovato un'erba indiana, di proprietà meravigliose e sperimentate contro i Noli me tangere [un tipo di ulcere], e le fistole deplorate come irrimediabili dai dottori, e di tempestivi e singolari rimedi ai crepacuori. Se presto quella avrà dato il suo seme lo manderò al tuo giardiniere a Marmoutier, e anche qualche pianta con semi in un barile con l'istruzione di come ripiantarla e mantenerla, tutto come ho fatto per le piante di arancio. Il re del Portogallo ha preso il morbillo…
Di per sé il documento dimostra unicamente una cosa: Nicot aveva intenzione di inviare il tabacco al Cardinale. Un’altra fonte afferma che gli invii avvennero realmente: al Cardinale ma anche al re, alla regina madre Caterina de’ Medici e ad altri notabili del regno. Fonte che, come si vedrà, riporta la versione dei fatti secondo Jean Nicot.
Poco più tardi, in agosto, giungeva a Lisbona con le sue galere per una dimostrazione navale François de Lorraine detto le Grand Prieur, fratello minore del cardinale Jean. L’ambasciatore Nicot gli fece dono della “sua” erba, e de Lorraine ne divenne grande estimatore tanto che per un certo periodo il tabacco prese anche il nome di herbe du Grand Prieur.
Se tutti questi fatti corrispondono a verità, ne consegue che al ritorno in patria Jean Nicot fu considerato, perlomeno nell’ambito di Corte, il primo inventore e importatore del tabacco in Francia. Non è chiaro se fu prima o dopo il ritorno di Nicot a Parigi che la Regina madre provò ad aspirare dal naso la polvere di tabacco da lui inviata, o portata; ma sembra che quando si decise a farlo le sue fastidiose emicranie ne risultarono parecchio attenuate. Caterina era entusiasta e persisteva nell’uso, la cosa non sfuggì ai cortigiani i quali iniziarono a imitarla dando inizio, in Francia, alla moda del tabacco da fiuto. Qualcuno si mise a parlare di herbe à la Reine. Ma Claude de Lorraine duca di Guisa era di diverso avviso, e propose di attribuire alla nuova erba il nome di colui che l’aveva portata a Corte: dunque, Nicotiana! E qui iniziarono i dolori per André Thevet.
Di fronte alla marea che montava, al nome di Nicot abbinato alla “sua” herbe Angoumoisine, protestò. Lo fece senza risparmio in tutti i modi che poteva, si può immaginare anche a Corte, alla quale aveva accesso in quanto geografo e curatore del Cabinet de curiosités royal. Il re in persona, si suppone, dovette ascoltare le sue lamentele. Eppure nulla cambiò.
Col passare del tempo quel nome, quell’attribuzione iniziarono ad assumere il tono dell’ufficialità: Conrad Gesner, botanico medico e scienziato di Zurigo, attorno al 1565 si riferì alla pianta come Nicotiane in francese e Nicotiana in latino in uno studio sulle sue particolarità. Negli stessi anni lo stesso Gesner già usava la stessa denominazione nel manoscritto della sua futura opera Historia Plantarum.
Nel 1567 usciva la terza edizione di un libro stampato la prima volta nel 1564: libro fortunato interessante e importante che negli anni, anzi nei secoli successivi avrebbe avuto più di ottanta nuove versioni ogni volta aggiornate. Scritta dal dottore in medicina Charles Estienne, con la collaborazione del medico e agronomo Jean Liébault, L’Agriculture et maison rustique era un corposo manuale pratico di vita in campagna con indicazioni su come costruire e condurre una casa e su tutte le attività connesse all’agricoltura. Nella parte dedicata alle piante dell’orto conteneva un capitolo, scritto da Liébault, che fu un colpo al cuore per André Thevet: era dedicato alla Nicotiana.
NICOTIANA – Cap 76
La Nicotiana, nota solo di recente in Francia, detiene tuttavia il primo posto tra le erbe medicinali, per queste virtù singolari e quasi divine, come più oltre si potrà leggere: della quale, perché nessuno di coloro, antichi o moderni, che hanno scritto della natura delle piante ne ha parlato, sono stato abbastanza bravo da conoscere l'intera storia che ho sentito da un mio Signore, primo autore inventore e portatore di questa erba in Francia, e da parlarne, per alleviare la pena di coloro che ne hanno sentito parlare, ma non conoscono l'erba né i suoi effetti.
Quest'erba è chiamata Nicotiana dal nome di colui che ne ha dato la prima conoscenza in questo regno: così come parecchie piante portano ancora il nome di alcuni Greci e Romani i quali, stando in paesi stranieri al servizio delle loro repubbliche, hanno introdotto nei loro Paesi diverse piante delle quali non si aveva alcuna cognizione.
Alcuni la chiamano herbe de la Royne Mere, perché fu inviata per la prima volta alla regina madre (come tu udirai presto) dal Signore che fu il primo inventore, e dopo da lei fu data a molti per coltivarla e farla venire in questo Paese. Diversi gli hanno dato il nome di Petum, pensando che fosse il nome proprio dell'erba, usato da quelli del Paese da cui proveniva, ma si sbagliano perché in Portogallo da cui è stata portata in Francia, lei non è chiamata altrimenti che l’erba dell’ambasciatore, come tu capirai presto. È meglio dunque chiamarla Nicotiana dal nome del Signore che ha fatto il bene di portarla in Francia: affinché possiamo dargli quell'onore che ha meritato da noi, per aver arricchito la nostra Francia di un'erba così singolare: questo è tutto in quanto al nome, ora ascolta la storia.
IL Maestro Jean Nicot, Consigliere del Re, mentre era Ambasciatore di Sua Maestà nel Regno del Portogallo negli anni 1559-60-61, andò un giorno a vedere le carte del re del Portogallo: un gentiluomo che era il conservatore di queste carte gli donò questa erba, una pianta straniera portata dalle Indie: questo Signor NICOT dopo averla fatta fiorire nel suo giardino dove si moltiplicò grandemente, venne a sapere un giorno da uno dei suoi paggi che un giovane parente di quel paggio aveva provato ad applicare quest'erba schiacciata, fibra e succo insieme, a un'ulcera che aveva sulla guancia vicino al naso, fatta di “un noli me tangere”, che si era attaccata fino alla cartilagine, e si era trovato meravigliosamente bene. Per questo il signor NICOT fece venire presso di sé questo ragazzo malato, e gli fece continuare l'applicazione di quest'erba per otto o dieci giorni, dopodiché il Noli me tangere rimase completamente estinto. Ora lo aveva mandato spesso, intanto, da un medico del re del Portogallo fra i più rinomati, perché [questi] constatasse l'andamento dell'effetto della Nicotiana, ed avendolo mandato al termine di detti dieci giorni, il dottore guardò il volto del fanciullo e assicurò che il Noli me tangere era estinto; in effetti, da allora il ragazzo non l'ha mai più avuto.
Qualche tempo dopo, uno dei cuochi del detto Signor Ambasciatore si era tagliato quasi tutto il pollice con un grosso coltello da cucina, il capocameriere del detto Signore ricorse alla Nicotiana, gli fece fare cinque o sei applicazioni, dopo di che era guarito. Da allora questa erba cominciò a essere rinomata a Lisbona, dov’era la corte del re del Portogallo, e le sue virtù furono divulgate, e cominciò il popolo a chiamarla erba dell'ambasciatore.
Perché venne qualche giorno dopo un gentiluomo dei campi, padre di uno dei paggi del suddetto Signor Ambasciatore, che era afflitto da un'ulcera alla gamba, che lo tormentava da due anni, e chiese al Signor Ambasciatore la sua erba, e nel modo precedentemente descritto, alla fine di dieci o dodici giorni fu guarito. Da quel momento l'erba crebbe ancora di reputazione, tanto che da lì in avanti tante persone vennero da tutte le parti per domandare [quest'erba] al suddetto Signor Ambasciatore.
E tra le altre [venne] una donna che aveva tutto il viso coperto da una grande crosta radicata come una maschera, alla quale il detto Signor Ambasciatore fece dare [l’erba], e dire come applicarla, e dopo otto o dieci giorni questa donna, completamente guarita, venne a presentarsi al detto Signor Ambasciatore, mostrandogli la sua guarigione.
Venne poi un capitano a presentare suo figlio [malato] al detto Signor Ambasciatore, per mandarlo in Francia, al quale egli fece una prova con quest'erba, grazie alla quale in pochi giorni iniziò a dare grandi segni di guarigione, ma il detto Signor Ambasciatore non ha voluto dire di che cosa si trattasse.
Il Signor Ambasciatore, vedendo così grandi effetti da quest'erba, e avendo sentito dire che la defunta Madame de Montigny era morta a Saint Germain en Laye di un'ulcera al capezzolo, che era degenerata in un Noli me tangere, a cui non si trova mai rimedio; e in maniera simile la contessa di Ruffé aveva cercato tutti i famosi dottori di questo regno per curarle una piaga che le trasudava sul viso, medici che non le avevano dato molto rimedio, si arrischiò a comunicare alla Francia [la sua scoperta] e inviò [l’erba] al re Francesco II, alla Regina Madre e a diversi signori della corte, con le istruzioni di come prepararla e applicarla a dette malattie, come aveva scoperto per esperienza, [inviò] anche a Monsieur de Jarnac, governatore della Rochelle, col quale il detto Signor Ambasciatore aveva corrispondenza per il servizio del Re, il quale Sieur de Jarnac gli disse [poi] un giorno alla tavola della Regina che aveva fatto distillare la detta Nicotiana, e aveva fatto bere a un asmatico il distillato mescolato con acqua di eufrasia, e l’asmatico era guarito.
Quest'erba ha uno stelo robusto, barbuto e viscoso, una foglia larga e lunga, barbuta e viscosa: si ramifica di mezzo piede in mezzo piede, e si popola densamente di foglie, e si eleva da quattro a cinque piedi di altezza. Nei paesi caldi…
Seguono le istruzioni per la coltivazione, le proprietà curative della pianta, le maniere di utilizzarla, un breve passaggio sulle pratiche dei nativi americani… e poi la conclusione:
…Ecco la vera storia della Nicotiana, che è piaciuto al Signor Nicot di comunicarmi e perfino darmi per iscritto per condividerla con te (amico lettore) al quale [Nicot] ti prego di rendere grazie anche per il suo buon cuore che in ogni momento mi vedrà attento e obbligato alla Sua Signoria, per questo bene che ho ricevuto da lui.
Probabilmente la versione originale di Nicot era stata “migliorata” in senso agiografico da Liébault. Il tono naive nel racconto delle guarigioni può rispecchiare la mentalità del tempo, quando le medicina era approssimativa e l’idea del tabacco come panacea appariva plausibile. Di fatto, quasi tutte le notizie disponibili sulla “scoperta” di Nicot stanno in queste righe quasi dettate da Nicot a Liébault, e nelle loro successive versioni; va comunque considerato che l’autorevolezza del personaggio dovrebbe conferire una certa credibilità a quanto egli indirettamente egli afferma. A quel punto, comunque, l’ex ambasciatore si era così affezionato al ruolo di “inventore” dell’aromatica pianta che non intendeva cederlo a nessuno.
Nel 1570 -71 fu pubblicato a Londra l’erbario Stirpium adversaria nova di Mathias de l’Obel e Pierre Pena. Alla bella illustrazione della pianta del tabacco corrispondeva il nome Nicotiana. Nel 1572 usciva una nuova edizione de L’Agriculture et maison rustique col capitolo sulla Nicotiana solo leggermente risistemato. Nel Dizionario Francese-Latino da lui compilato in collaborazione con molti altri studiosi e uscito nel 1573, Nicot non dimenticò di inserire il termine Nicotiana con la seguente definizione:
questa è un’erba di meravigliose virtù contro tutte le ferite, ulcere, Noli me tangere, herpes e altre cose simili, che il Maestro Jean Nicot, essendo ambasciatore presso il re del Portogallo, ha inviato in Francia, e dal quale ha preso il nome.
Nel 1575 arrivò la risposta di Thevet. La sua nuova opera, intitolata La Cosmographie Universelle, era cospicua e impegnativa: una specie di summa lungamente elaborata nella quale confluivano tra l’altro le sue opere precedenti. Stavolta si parlava, in due grandi volumi, di tutte le terre allora conosciute: Africa e Asia (primo volume); Europa e “quarta parte del mondo” (secondo volume). Il grido di dolore contro le ingiustizie, la requisitoria contro l’usurpatore sta nella parte quarta, libro XXI, capitolo 8. Circa una pagina di testo in un’opera che ne annovera più di duemiladuecento. Il brano più esplicito è quello centrale:
Posso vantarmi di essere stato il primo ad aver portato in Francia il seme di tale pianta, di averla seminata, e di averle dato il nome, Erba di Angoulême. Dopodiché un quidam, un “qualcuno”, che non fece mai il viaggio, una decina d’anni da che io ero tornato, le ha dato il suo nome.
Lo precede un paragrafo molto simile a quello qui già citato presente ne Les Singularitez de France Antarctique; lo segue una violenta requisitoria contro altri, compreso Jean Liébault, che avevano scritto di tabacco senza nominare Thevet; il quale non li nomina ma li accusa di fesserie falsità e inesattezze per la semplice ragione che nessuno di essi aveva viaggiato: solo lui, che l’aveva fatto, poteva riferire la verità constatata sul posto. Una delegittimazione per legittimarsi, insomma, che restò pateticamente nascosta nell’immensità del librone e non ebbe alcun effetto.
Thevet dedicò il resto della vita a un’impresa concepita e desiderata da tempo: una sorta di catalogo illustrato degli uomini illustri, con ritratti e brevi biografie, che comportò un gigantesco lavoro editoriale: Les vrais pourtraits et vies des hommes illustres grecz, latins et payens, recueilliz de leurs tableaux, livres, médalles antiques et modernes, pubblicato in nove volumi nel 1584. Ma la faccenda del tabacco non gli andava giù, e cessò di protestare solo nel 1586, quando morì. In quello stesso anno, nella sua Historia generalis plantarum, il grande botanico Jacques Dalechamps dava una ulteriore legittimazione al nome Nicotiana.
Anche Nicot aveva da portare avanti un suo grande progetto che però, morendo nel 1604, lasciò allo stato di manoscritto. Nel 1596 aveva avuto la soddisfazione di veder figurare la Nicotiana nell’opera Phytopinax seu enumeratio plantarum del grande botanico svizzero Caspar Bauhin. Solo nel 1606 fu dato alle stampe il suo Thresor de la langue françoyse, tant ancienne que moderne. Per realizzarlo, Nicot era partito, come sempre aveva fatto Thevet, da lavori preesistenti, ma aggiungendo molto di suo e soprattutto lavorando in profondità su tutto il materiale fino a ricavarne un’opera originale e organica: il primo vero dizionario della lingua francese; il quale, per esigenze di completezza, non trascurò la voce “Nicotiana”.
Denominazione, questa, che rimase in auge anche dopo la morte dei due protagonisti, finché non ci pensò Carl Nilsson Linnaeus, più noto come Linneo, a porre l’ultimo definitivo sigillo. Nel suo Species plantarum del 1753 Nicotiana è un genere dell’ordine Monogynia e della classe Pentandria; tale genere comprende quattro diverse specie: Tabacum, Rustica, Paniculata, Glutinosa. Un piccolo omaggio arrivò anche a Thevet con la denominazione Thevetia data a una delle tre specie del genere Cerbera, ordine Monogynia, classe Pentandria. Omaggio, però, che bloccava definitivamente sulla suddetta Thevetia il nome di Thevet, lasciando in esclusiva a Nicot l’altra pianta, quella che i due si erano contesi.
Dunque Nicot aveva vinto, ma solo in minima parte. Da tempo l’evolversi del linguaggio aveva a suo modo fatto giustizia: nel lessico comune il tabacco aveva preso il nome di “tabacco”. “Nicotiana” restava, ma solo nella terminologia specialistica di botanici e agronomi.
Dunque, tornando dal Brasile Thevet aveva portato con sé, e per sé, la pianta del tabacco. Nel libro del 1558 ne aveva descritto l’uso, allora sorprendente, legato al fumo: una stranezza d’America come tante. Che altro aveva fatto per diffonderne l’impiego e la conoscenza? Solo quando questa fu collegata a Nicot si mise a rivendicarne la paternità. Ma era davvero il primo importatore di quella pianta in Francia o invece lo erano stati i marinai e i commercianti bretoni? Per la prima volta, su un libro francese, ne aveva scritto un altro, Jacques Cartier, ponendo anch’egli l’attenzione sulla “curiosità” del fumo. Nicot, se le cose andarono come lui stesso racconta, seppe cogliere l’occasione. Aveva messo alla prova il tabacco mosso da curiosità e serietà professionale; i primi invii a Corte rientravano nella sua missione di ambasciatore ma con essi ottenne molto più di Thevet nel diffondere l’uso e la conoscenza di quell’erba. Solo al suo ritorno in patria si rese conto dell’importanza della “scoperta” e ne difese la paternità. Ed ebbe buon gioco perché fin dall’inizio aveva trattato il tabacco come una “cosa seria”, un medicamento: non come quel fumo (o quel fiuto) che al momento non erano ancora di moda. Quando si trovarono a confronto, il diverso “peso” dei due personaggi fu determinante. Thevet era conosciuto come l’infaticabile viaggiatore, il febbrile organizzatore e compilatore; i libri che pubblicava, specie i primi, erano considerati poco più che avventure curiose dello spirito. Nicot era il giurista, l’umanista, il lessicografo, l’ambasciatore, il consigliere del re. Ovvio che a Corte, e fra gli intellettuali, i due non godessero della stessa considerazione né degli stessi appoggi.
Chi si ricorda oggi di Thevet, di Nicot, delle loro imprese culturali e editoriali? Solo alcuni specialisti: ai bibliofili interessano entrambi, gli antropologi hanno rivalutato alcune parti delle opere di Thevet, i lessicologi non hanno mai dimenticato Nicot. A quest’ultimo è riservato un posto nella storia del fumo in Francia; all’altro, solo un accenno. Specie in Francia, la disputa fra i sostenitori di Nicot e quelli Thevet non si è ancora del tutto conclusa; ma alla fine tutti dovrebbero ammettere che, se esiste un vincitore, non è né l’uno né l’altro: è il tabacco.