Tutto iniziò in quel “preciso” momento in cui la foglia secca di una certa pianta prese fuoco e qualcuno ne aspirò il fumo. Fatto fortuito, catena di casualità, serie di concomitanze che si possono solo immaginare, rinunciando dunque alla precisione! La pipa venne poi, dando inizio a una lunga e avventurosa marcia attraverso materiali, tecnologie, forme. Materiali naturali, naturali più o meno modificati, talmente modificati da essere artificiali, artificiali e basta. Tecnologie per trasformare i materiali, tecnologie per controllare e addomesticare il fumo. Forme indotte dalla fantasia, forme legate a pratiche necessità.
“Invenzione”, dal latino inventio, è l’atto del trovare; dello scoprire, donde “scoperta”. Fu invenzione il fatto di constatare l’esistenza dell’argilla, di imparare a modellarla, a cuocerla in un forno. Invenzione fu l’accorgersi che quell’arbusto di erica arborea nascondeva sottoterra una escrescenza fatta di un legno davvero sorprendente. Invenzione fu imporre al fumo percorsi che lo rendessero più secco e fresco, o approntare tecniche di coltivazione che trasformassero una zucca in una pipa... Quella della pipa non è stata una semplice invenzione ma una funambolica girandola di scoperte che ci ha portato fin qui. Oggi molti di quei materiali sono consegnati alla Storia o a ristretti ambiti di appassionati. Al servizio dei più ne rimangono pochi, ma tutti interessanti: vogliamo parlarne?
Materiali per fornello e cannello
Radica
Questo incredibile legno è oggi il materiale più usato per le pipe. La sua comparsa sul mercato risale a circa metà Ottocento ma le sue proprietà, si dice, erano già note da tempo a pochi fortunati nelle zone di diffusione dell’erica arborea.
La radica è un prodotto del tutto naturale, ricavato dal ciocco e sottoposto ai delicatissimi passaggi richiesti dalla cura. Naturale e unico: non c’è abbozzo o placca che non siano in qualche modo diversi da tutti gli altri. Naturale e prezioso: dei tanti possibili abbozzi, tanti non superano la prima cernita; altrettanti non escono indenni dalla lavorazione, quando un difetto nascosto può palesarsi in qualsiasi momento.
La radica da pipa è un legno compatto, non facile da lavorare, che offre però una veste di grande effetto e vanta importanti pregi funzionali. La sua porosità non è eccessiva, ma adatta a deumidificare il fumo; le sue caratteristiche fisico chimiche le consentono di sopportare le alte temperature della combustione.
Secondo uno studio condotto nel 1988 all’Università di Salonicco questa necessaria resistenza sarebbe dovuta alla scarsità di Calcio e Potassio e alla presenza di “estrattivi” (tannini, terpeni e altro) i quali alle alte temperature schiumerebbero con effetto di isolamento termico. Ma eliminare tali elementi (impedendo così che il loro sapore disturbi quello del tabacco) non è uno degli scopi della bollitura degli abbozzi? Gli studiosi di Salonicco fanno notare che con la bollitura l’eliminazione degli estrattivi non è totale, e ipotizzano che quanto ne rimane sia sufficiente a proteggere la radica dal calore. Altri non sono d’accordo e respingono questa teoria. Gli uni e gli altri concordano su un altro importante effetto della bollitura: conferire al ciocco quella stabilità dimensionale che, durante il processo essiccativo, limiterà al massimo la fessurazione.
Si narra che il ciocco dell’erica arborea, prima di rivelarsi ideale per le pipe, era già cercato ed utilizzato nei boschi: a farlo erano i “bracini”, quelli che mediante combustione parziale controllata preparavano il carbone di legna. Dal ciocco, così duro e compatto, se ne otteneva una varietà molto energetica ricercata dai fabbri per le loro fucine. Se è così, piace immaginare che la scoperta della radica per pipa sia stata fatta da qualcuno che, trovandosi spesso per le mani quel particolare legno da carbone, a un certo punto provò a impiegarlo diversamente. Le prime pipe in radica potrebbero essere nate in questo modo, più o meno rozzamente realizzate da alcuni lavoratori dei boschi. Quando poi l’industria delle pipe individuò nel ciocco d’erica il “suo” materiale, sembra logico che i precedenti impieghi siano passati velocemente in secondo piano.
Un certo tipo di radica, è vero, si utilizza anche per mobili, cruscotti di auto di lusso, oggetti artistici; ma non è quello delle pipe. Da altre specie vegetali si possono ricavare masse di tessuto legnoso a struttura irregolare, con fibre contorte e aggrovigliate, ricche di venature esteticamente piacevoli; se resistono meno al calore, non ha importanza. Masse che non sempre appartengono alla radice: spesso possono formarsi, come escrescenze, in varie parti del fusto. Le specie più utilizzate sono il noce, l'olmo, l'acero, il frassino, la betulla, il pioppo nero e molte varietà tropicali.
Altri legni
Nei secoli scorsi, quando le pipe erano più diffuse, spesso si badava meno alla qualità, la radica non era ancora sulla scena, molti furono i tipi di legno impiegati per gli arnesi da fumo: si sceglievano le essenze ritenute più adatte fra quelle presenti sul luogo, le si sottoponeva a processi di cura di vario genere, le si lavorava in grandi o piccole quantità. Durante la seconda guerra mondiale, scarseggiando le forniture di radica, anche noti produttori fecero ricorso a legni d’emergenza con discreti risultati. Oggi fabbricare e acquistare una pipa di “altri legni” non è una necessità ma una scelta, limitata a un ristretto ambito di opzioni.
Corbezzolo
Questo arbusto, considerato il “cugino” dell’erica arborea, ha con essa parecchio in comune. Appartengono entrambi alla famiglia delle ericacee, crescono negli stessi luoghi e sugli stessi tipi di terreno; hanno entrambi un ciocco interposto fra il fusto e le radici; ma le somiglianze finiscono qui. Il ciocco del corbezzolo, a parità di anni, è più grande; ha le venature più aperte con fibre più distanziate; è più leggero ed ha molte meno inclusioni: quei dannatissimi difetti che, così numerosi nel ciocco di erica arborea, rendono la vita difficile ai segantini e ai pipe-maker. La radica di corbezzolo, insomma, è molto più regolare, più lavorabile; ma c’è un problema: regge meno il fuoco!
Ulivo
Allo stato selvatico la pianta si sviluppa quasi come un arbusto; le potature lo rendono un vero albero, affascinante per il tronco contorto e le venature del legno. L’ulivo non ha il ciocco ma può avere (intesa in senso più generale) la sua radica: un’escrescenza del tronco situata vicino al terreno. Per fare pipe si utilizzano sia la radica che il tronco: il legno è duro e compatto, a fibre irregolari, di difficile essiccazione: tende a fessurarsi. Regge abbastanza il fuoco, ma certamente meno della radica d’erica.
Limone
In questo caso non si tratta di radica ma solo di tronco. Il legno, di colore bianco - giallognolo, è duro e pesante; si presta bene alla lavorazione. Oltre che pipe se ne fanno corpi di penne e piccoli oggetti. La sua resistenza al calore non è proverbiale.
In generale, le pipe ricavate da questi legni alternativi sono consigliabili a fumatori esperti capaci di tenere la combustione sotto stretto controllo. A questa precisa condizione, possono procurare buone sensazioni scegliendo bene il tabacco.
Morta
Non è esattamente legno, ma qualcosa che fu legno e che oggi in qualche modo ne mantiene le sembianze. Il termine morta è diffuso a livello internazionale nel mondo delle pipe; ma si parla anche di abonos, letteralmente “fertilizzante” in lingua spagnola, o di bog oak, letteralmente “quercia di palude” o “di torbiera” in lingua inglese.
La morta non si crea in cinque minuti, ma (si è creata) in secoli o addirittura millenni. Deriva da alberi (non solo querce ma anche altre piante che crescono vicino all’acqua: pini, tassi, cipressi di palude, gli esotici kauri) che molto tempo fa sono caduti in un fiume, un lago, un acquitrino… Andati a fondo, coperti da fanghi e sedimenti, immersi in un ambiente pressoché privo di ossigeno, hanno subito una parziale fossilizzazione. Le fibre hanno via via perduto la loro natura lignea man mano che le cellule organiche venivano sostituite da componenti minerali. Non più legno dunque ma qualcosa che, quando le condizioni fisico chimiche lo hanno consentito, restituisce alla vista le stesse fibre, le stesse venature. Il colore varia dal bruno (residui di tannino) per i tronchi relativamente “giovani” fino al nero per quelli nei quali la fossilizzazione è andata più avanti.
Materiale affascinante e ricercato, non solo per le pipe ma per oggetti vari, perfino mobili e pavimentazioni. Difficile da reperire e recuperare, sepolto com’è in paludi, torbiere, letti di fiume. Difficile da essiccare senza che si fessuri. Difficile da lavorare: gli abbozzi adatti ai pipe-maker sono perlopiù piccoli; la loro struttura e durezza molto variabile rende quasi impossibile una trapanazione precisa; piuttosto fragili, minacciano di spezzarsi in qualsiasi fase della lavorazione…
Alto è di conseguenza il prezzo di queste pipe. In compenso, trattandole con circospezione, le si può apprezzare per il loro inusuale aspetto, l’estrema leggerezza, la resistenza al fuoco, l’essere materia neutra capace di lasciare invariato il sapore del tabacco.
Schiuma (di mare)
…o sea-foam, écume de mer, meerschaum, è un materiale che del legno non ha nemmeno l’apparenza ma sembra fatto apposta per la pipa: bello a vedersi, con un colore che evolve di fumata in fumata, facile da lavorare, leggero, con la porosità ideale per assorbire l’umidità e una natura minerale che lo rende neutro, come la morta. La sua stessa porosità, però, lo porta a trattenere il gusto del tabacco, cosicché è consigliabile usarne sempre la stessa varietà.
Al di là delle leggende sulle sue origini, la schiuma di mare è fatta di sepiolite, silicato idrato di magnesio formatosi attraverso antiche e complesse reazioni fisico chimiche, ed è affine alla rossastra pipestone usata per le pipe dai nativi americani. La varietà più adatta per il fumo proviene dai giacimenti anatolici prossimi alla città turca di Eskişehir dove la estraevano fin dai tempi dei Romani facendone monili e piccoli oggetti. Dal Seicento approdò lentamente al mondo della pipa, iniziando solo due secoli più avanti una robusta produzione con grande successo e crescenti richieste. Dopo la prima guerra mondiale ebbe, per una serie di ragioni, un amaro e veloce ridimensionamento.
Oggi solo pochi produttori offrono pipe meerschaum; ma se il mercato si è ristretto, non è affatto diminuito il fascino di questi strumenti per fumatori raffinati.
Materiali per bocchini
Piacevole e necessario tramite fra il fornello e il fumatore, i bocchini hanno conosciuto tanti tipi di legno e altri materiali naturali come l’osso, l’avorio, l’ambra. Oggi, salvo eccezioni, si producono (quasi) solo in due sostanze artificiali, entrambe apprezzate per i loro indubbi pregi: ebanite e metacrilato.
Ebanite
Si parte da un prodotto naturale ottenuto facendo coagulare il lattice che cola dal tronco inciso dell’albero della gomma. Ma il caucciù, giunto in Europa già nel Settecento, non era praticamente utilizzabile: diventava appiccicoso col caldo, rigido e friabile col freddo. Solo nel 1839 si scoprì quasi casualmente, dopo una serie di tentativi falliti, che mescolandolo a zolfo e riscaldando (processo di vulcanizzazione) ne usciva qualcosa di più stabile, elastico e utile per tanti usi. Qualche anno più tardi si arrivò, attraverso una vulcanizzazione prolungata, a un materiale ancora diverso: non più elastico ma rigido, nero come l’ebano. Lo chiamarono ebanite.
Fu impiegato in diversi modi nel campo dei congegni elettrici, ci fecero i dischi 78 giri, gli alimentatori delle stilografiche, parti di strumenti musicali, palle da bowling… Attorno al 1870, agli albori della radica, l’ebanite iniziò a frequentare i fumatori sotto forma di bocchino.
Per fabbricarla oggi, si mescolano accuratamente gomma, zolfo, altre sostanze organiche e minerali fino a ottenere un impasto omogeneo che viene sottoposto a estrusione. Se ne ottengono segmenti tubolari che subiscono una particolare forma di stampaggio; solo a questo punto si procede a quella vulcanizzazione prolungata, con riscaldamento indiretto a vapore, che trasformerà l’impasto originario in un materiale stabile e consistente: l’ebanite. Al raffreddamento segue la rifinitura dei singoli pezzi, eseguita in gran parte a freddo; ma in certe fasi un misurato riscaldamento consente di recuperare plasticità. Oppure è il pipe-maker a partire dal semplice pezzo estruso e vulcanizzato, o da un semilavorato, che lavora fino a ottenere il pezzo finito. L’esame finale del prodotto ebanite è la lucidatura: solo se questo è omogeneo e compatto, quella riuscirà alla perfezione.
I fumatori apprezzano il bocchino di ebanite perché, benché solido, è anche relativamente morbido e per questo si fa afferrare bene con i denti. Non avendo alcun sapore proprio, non interferisce con quello del tabacco; una volta lucidato ha un gradevole aspetto. Purtroppo, col tempo può perdere lucentezza, scolorarsi o assumere strane colorazioni dovute all’affiorare dello zolfo… I fumatori si scambiano consigli sui prodotti e le tecniche da usare per riportarlo all’aspetto originario; spesso ci riescono, ma impiegando tempo e fatica. Inoltre possono risultare sgradevoli i segni dei denti che col tempo si imprimono nel materiale. Nonostante ciò sono in molti a non rinunciare a questo genere di bocchini. Anche perché non tutte le ebaniti sono uguali: in quelle di maggior qualità gli inconvenienti si riducono in maniera considerevole.
Metacrilato
Fra tutte le sostanze qui descritte è quella più artificiale. Il nome esatto è “polimetilmetacrilato”: una “materia plastica formata da polimeri del metacrilato di metile, estere metilico dell’acido metacrilico”; e questo dovrebbe bastare...
Sviluppato nel 1928 in diversi laboratori europei, commercializzato nel 1933 da un’industria tedesca, è un prodotto estremamente versatile, più leggero e trasparente del vetro. Plexiglas, Perspex, Lucite sono solo alcuni dei suoi nomi commerciali; fra le applicazioni citiamo le lenti a contatto, i cupolini degli aerei da combattimento, le fibre ottiche e innumerevoli oggetti attorno a noi. Il suo primo utilizzo per i bocchini risale a circa il 1965, e da allora si è molto diffuso fra i fumatori.
I bocchini in metacrilato si possono ottenere per stampaggio o con una lavorazione meccanica a freddo; solo quest’ultima porta a prodotti di qualità. Chi li produce lascia ai pipe-maker la scelta fra il bocchino finito (in tante varianti) e diverse opzioni di semilavorato, offrendo in tal modo differenti possibilità di personalizzazione.
Il materiale può ottenersi in una fantasmagorica varietà di colorazioni e fantasie; la tendenza attuale è quella di un metacrilato totalmente opaco, privo di trasparenze.
La prova della lucidatura è egregiamente superata da questi bocchini, il cui aspetto splendente permane nel tempo. Rispetto all’ebanite sono molto più facili da pulire; in compenso sono più pesanti e, per via della loro durezza, meno gradevoli da tenere fra i denti.
Cumberland
L’ebanite è per sua natura nera, ma permette una gamma ristretta di colorazioni. Neri con screziature rosso-brune erano i corpi di alcune penne stilografiche di fine Ottocento, ottenuti con estrusioni multiple: Dapprima si ricavavano stringhe, barrette, fogli neri e colorati che, in qualche modo assemblati, venivano poi sottoposti a successive estrusioni. Penne di questo genere (anche in differenti tonalità) furono molto di moda fino a circa il 1930. Bocchini Dunhill ottenuti con un procedimento simile si segnalano nel periodo appena successivo; la loro denominazione era “bowling ball”. Circa nel 1979, Dunhill ideò un particolare bocchino in ebanite screziata rosso bruna ispirandosi ad alcune vecchie pipe Root Briar ritrovate nel magazzino londinese di Cumberland Road. Lo chiamò Cumberland.
Più tardi questa denominazione si è estesa a prodotti similari (o nemmeno tanto similari) realizzati, sempre in ebanite screziata, da altre marche. In quanto al metacrilato, le virtù del materiale hanno permesso la creazione di bocchini fantasia tigrati, marmorizzati, in tante altre variazioni. Anch’essi, o forse solo parte di essi, vengono considerati Cumberland: non è la prima volta, nella storia dell’industria, che una denominazione specifica finisce per diventare il nome generico.
I bocchini Cumberland in ebanite sono molto discreti sia nelle colorazioni che nelle screziature, per questo sono apprezzati. I loro concorrenti in metacrilato sono più decisi nelle fantasie e presentano una gamma invidiabile di tonalità; per questo sono apprezzati.
Al giorno d’oggi la parola Cumberland non indica dunque una precisa sostanza ma l’aspetto accattivante e variegato che particolari lavorazioni sono capaci di dare al materiale di un bocchino.
Ebacrilato?
Bocchini in ebanite o in metacrilato? Un vero dilemma. Perché allora non cercare un compromesso che conservi il più possibile i pregi, attenuando il più possibile i difetti dell’una e dell’altro? Basterebbe, in teoria, mescolare i due prodotti nelle giuste proporzioni per ottenere il prodotto ideale, una sorta di “ebacrilato”; ma dal punto di vista fisico-chimico l’ipotesi desta perplessità; e se qualcuno è riuscito nell’impresa si guarda bene dal rivelare il suo segreto. Hanno invece ottenuto un discreto successo i tentativi fatti per “avvicinare” fra loro i due prodotti.
Il metacrilato, ad esempio, è nato trasparente; ma oggi lo si può ottenere in quelle versioni opache che riprendono visivamente l’aspetto dell’ebanite.
L’ebanite è per sua natura un insieme di sostanze che, fatta salva la prevalenza di gomma e zolfo, può in una certa misura variare negli ingredienti, nelle proporzioni, nelle modalità di trattamento: tante diverse formule sono state sperimentate per migliorarne le caratteristiche. La soluzione oggi più efficace è quella di abbinare alla gomma naturale una gomma sintetica che con quella abbia il maggior grado possibile di compatibilità.
Ma la tecnologia, le ricerche, gli esperimenti vanno avanti: chissà dove porteranno.
Si ringraziano:
Mimmo Romeo - Romeo Briar
Sofia Macchi - Macchi Serafino S.r.l.
Alessandra Giudici - Carlo Giudici S.N.C. Di Alessandra E Carla Maria Giudici