“È un errore per una donna avere il cuore più grande della borsa”. Così viene apostrofata Greta Garbo nella versione hollywoodiana di “la signora delle camelie”. Al di là della relazione reale o fittizia tra il muscolo cardiaco e l’accessorio femminile per eccellenza, è ormai indubbio che esista un legame fra il carattere di una donna e la sua borsa.
Dalle dimensioni si può capire se è riservata o estroversa, se è creativa o pratica. Dal contenuto poi, si evincono i segreti di tutta una vita. A differenza di un vestito che si esibisce portandolo addosso, la borsa è un’appendice che può e deve anche poter “vivere” staccata dal corpo. Ecco perché è così importante scegliere con cura il “testimone di sé” che si vuole lasciare su una sedia, in una macchina, su un divano. Una borsa deve dire di una donna quanto necessario agli altri, anche senza il supporto del suo sguardo.
Basti pensare che lo stile di due donne sensazionali come Grace Kelly e Jacqueline Kennedy Onassis si è incarnato fra le altre cose, anche nella loro borsa. Quando nel 1958 la giovane principessa di Monaco è apparsa sulla rivista Life con al braccio una grande borsa a coprirne la pancia -era già incinta di Carolina- fu per tutti associata ad essa tanto che la casa di moda decise di ribattezzarla col suo nome: “Kelly”. Per la vedova del trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti fu più o meno la stessa cosa. Abituata a portare due borse, una piccola, preziosa e intonata all’abito l’altra più spaziosa e comoda dove far entrare non solo lo charme, ma anche le esigenze di una donna del suo calibro, trasformò una semplice Gucci nella indimenticabile “Jackie O”. Ed è rovistando proprio nella “Jackie O” che ci si imbatte nella storia di una ragazza che è diventata poi la storia dell’America intera e del mondo.
Che le piacesse fare a modo suo, lo avevano capito subito la mamma Janet Northon Lee e il papà John Vernou Bouvier III quel 28 luglio 1929 quando nel paesino di Southampton, a due ore da New York, venne al mondo lei, la primogenita di casa Bouvier. Sarebbe dovuta nascere alla metà di giugno, ma scelse di nascere sei settimane più tardi. Aspettare il crack della Borsa di quello stesso anno sarebbe stato troppo, eppure la vicinanza col denaro e lo strano rapporto che avrà con esso deriveranno anche da quella esperienza, che si ripercosse pesantemente sulla sua famiglia.
Ma i soldi non sono e non saranno mai un problema per lei, lei è bella e piena di stile. A soli diciotto anni viene incoronata debuttante dell’anno e per non perdere tempo decide di andare a Parigi a respirare un po’ dell’eleganza della capitale francese. “Le donne intelligenti non piacciono agli uomini”, questa la discussione che spesso ha con suo padre. Lavorare sul proprio aspetto è quindi un modo per distogliere l’attenzione dal suo cervello. Quando approda alla Washington University si trova davanti un ambiente molto maschilista e lei, donna intelligente e terribilmente attraente, con l’altro sesso si trova a suo agio. Sa sostenere conversazioni di ogni genere, perché sotto alla pettinatura all’ultima moda dove vengono appuntati cappellini intonati alle scarpe, c’è una testa che pensa. Sono queste due anime che cominciano a farle capire che la pochette non basta e deve essere supportata da una borsa decisamente più in linea con il suo carattere, qualcosa che possa contenere i suoi vizi e la sua esuberanza. E tra i suoi vizi c’è la fotografia, tra la sua esuberanza la pipa. Tutti la fumano a scuola. Tutti gli uomini ovviamente. È ancora lontano il tempo in cui a una come lei non sarà permesso di fare come vuole. Intanto si gode la sua passione per il fumo lento.
Si laurea e vince un concorso per lavorare come redattrice a Vogue. È la migliore tra 1.279 partecipanti. Però il mondo della moda le va un po’ stretto. C’è la sua mente brillante da nutrire oltre alla sua sete di glamour. Così trova lavoro come fotografa al Washington Time Herald avvicinandosi sempre più al suo destino.
Nel 1953 infatti riceve dal giornale l’incarico di fotografare gente famosa. Tra questi c’è un giovane senatore del Massatchussets. Si chiama John Fitzgerald Kennedy. Si piacciono e si sposano il 12 settembre di quello stesso anno. È la ragazza che tutte vorrebbero essere, bella, elegante e sposata all’uomo che pare darà una nuova direzione al mondo. Nella campagna elettorale per le presidenziali lei è sempre al suo fianco. Al suo guardaroba pensa Oleg Cassini, ex fidanzato di Grace Kelly. Cominciano a darle indicazione su tutto, su come si deve comportare, su cosa deve dire e fare. A lei che ha sempre fatto di testa sua. Difficile, ma ci proverà. “Per una first lady non è opportuno fumare in pubblico” le ripetono. E così sia. Smetterà di farlo davanti agli occhi indiscreti dei media e della gente. Ma nella sua intimità non può negarsi quel piacere. Così nella sua borsa, quella più grande che accompagna sempre la più piccola, non mancano sigarette da consumare rapidamente nei rari momenti di isolamento, del tabacco e la pipa da estrarre nelle occasioni di vero godimento e relax dalla stressante vita di moglie di JFK. Essere soli è difficili quando si incarna il sogno americano negli anni in cui i sogni hanno un valore enorme. Ma come spesso accade, i sogni, anche quando sembrano realizzarsi, possono rovinosamente infrangersi.
Dallas, 22 novembre 1963. Quella mattina Jackie ha scelto nel suo guardaroba tra i vari tailleur, quello rosa. Prima di uscire si dà un’ultima occhiata allo specchio. Si aggiusta il cappellino sulla testa, si passa il dito agli angoli della bocca per togliere le piccole sbavature di rossetto e si sorride. È tutto a posto. Prende la borsetta piccola. C’è quanto le serve: cipria, specchietto e un fazzoletto. Prende la borsa grande e si premura di controllarne il contenuto. Quello sì che è importante. Ci sono un paio di collant, altri fazzoletti, un deodorante, delle mollette per capelli, delle caramelle alla menta, due pacchetti di sigarette, pipa e tabacco. Si sa mai che ci sia tempo per farsi una fumata come si deve. Ora si può uscire.
La tragica fine di quella sfilata lascerà il tempo solo per le lacrime. Le sue e quelle del mondo intero. Quando il biografo di famiglia William Manchester scriverà, su sua indicazione, la cronaca dei giorni dell’attentato a Kennedy nel libro “morte di un presidente”, le correzioni che Jackie farà prima della sua pubblicazione non saranno molte. Tra queste chiederà di eliminare che nella sua borsa c’erano delle sigarette e la pipa. Troppo intimo.