Il cardellino saltellava felice da un trespolo all’altro della sua lussuosissima gabbia bianca posizionata davanti alla finestra centrale del soggiorno. Anna Magdalena lo aveva appena riempito di complimenti e di semi di girasole. Che meraviglia svegliarsi con il suo canto che invadeva le stanze. Di musica non ce n’è mai abbastanza, pensava tra sé la ragazza e cercando di guardarlo negli occhi per un’intesa, del resto anche lei sapeva cantare, lo stuzzicava con l’indice attraverso le sbarre. A volte addirittura pareva si parlassero, quando lei, soprano, con la sua bella voce faceva eco ai suoi cinguettii. Gli uccelli canori erano la sua passione e proprio per questo il marito gliene aveva regalato uno qualche mese prima. Per renderla felice e farle dimenticare, in qualche modo, la perdita del loro terzo figlio.
La morte e la vita sono intrecciate, ripeteva Johann Sebastian, che di perdite importanti ne sapeva qualcosa, orfano a soli dieci anni di entrambi i genitori. Ma quando c’è la religione a darti supporto, tutto acquista una luce diversa. Anzi, un suono diverso. E un cardellino può risollevare gli animi. Quella testina rossa impertinente era anche un attestato di fede, per questo l’aveva scelto come dono per la moglie. Una leggenda cristiana, infatti, narra che fu un cardellino a togliere le spine che trafiggevano la testa del Cristo crocefisso e che così facendo, si trafisse a sua volta, macchiandosi di sangue le piume del capo. E poi come dimenticare il concerto per flauto di Antonio Vivaldi dedicato proprio al Cardellino? Il compositore italiano era entrato nella vita di Johann Sebastian mentre prestava servizio come Konzertmeister a Weimar, grazie al principe Johann Ernst che da Amsterdam aveva portato “l’estro armonico”, una raccolta di concerti che lui si era dilettato a riscrivere per strumento a tastiera, la sua passione. Mentre osservava Anna Magdalena canticchiare serena, ripensava a quel periodo. La conclusione spiacevole del suo soggiorno a Weimar che comprese anche l’esperienza del carcere e poi il nuovo incarico come Kapellmeister a Koethen presso il principe Leopold. Lui sì che era un regnante illuminato, spendeva un quarto del bilancio di corte per la musica e Johann Sebastian, che all’epoca era già un compositore brillante rendendo così onore al nome di famiglia, Bach, che da sette generazioni regalava musicisti, era il suo fiore all’occhiello. Che periodo splendido!
E poi fu proprio grazie al principe Leopold che incontrò Anna Magdalena. Era la seconda estate che lo seguiva a Karlsbad e tra giornate alle terme e serate di musica comparve anche lei ad accompagnare le sue composizioni con la sua voce e la sua grazia. Il destino ci mise poi il suo tocco con un tragico evento: la moglie morì improvvisamente proprio quell’estate, lasciandolo vedovo e libero di risposarsi. L’ennesima morte nella vita di Johann Sebastian, superata anche stavolta dalla grande fede con l’aggiunta di un nuovo amore.
Ora i due sposi vivevano felici a Lipsia dove si erano trasferiti quando il principe Leopold, costretto a fornire le truppe alla Prussia, aveva dovuto sospendere i fondi per la musica. Poco male, una nuova esperienza non poteva che arricchire la sua anima. Qui c’era il coro della chiesa di San Tommaso a tenerlo occupato. Molto occupato. Ogni settimana componeva una cantata. Trovava il testo adatto e lo faceva approvare dalle autorità ecclesiastiche. Prima si provava col coro. Poi si facevano gli archi e i fiati. Per ultimo i basso continuo. C’era solo una prova prima del concerto domenicale, se c’era il tempo per farla. Erano settimane di lavoro spaventose, eppure la vita familiare non veniva trascurata. Anzi, spesso Bach componeva brani anche per Anna Magdalena, in privato. Era un’abitudine che coltivava da quando l’aveva conosciuta, scrivere per lei in un piccolo quaderno delle arie per clavicembalo e voce soprano. Quella mattina, davanti allo spettacolo del Cardellino che duettava con la moglie, successe un imprevisto. Stava ticchettando con le dita sulla sua bianca pipa di ceramica come se stesse suonando i tasti di un organo, quando inavvertitamente gli cadde a terra e si ruppe. Al dispiacere di aver interrotto bruscamente uno dei suoi passatempi preferiti subentrò un lampo di genio. Così, per non perdere l’attimo, prese dal cassetto dello scrittoio dove Anna Magdalena teneva le sue carte, il quaderno verde profilato d’oro dove annotava la musica che le dedicava e si mise a scrivere una cantata in onore della sua amata pipa: “pensieri edificanti di un fumatore di tabacco”. In fondo ogni boccata per lui era un po’ come estrarre lo spirito dalla materia per librarlo nell’aria attraverso anelli di fumo. Come non dare spazio quindi a certe riflessioni. Riflessioni sulla fragilità della vita suggerite dalla fragilità della sua pipa che non fecero altro che legarlo, se possibile, ancora di più a quella “creatura impastata di terra fangosa e altra acqua a null’altro destinata che a spezzarsi a terra prima o poi e a terra ritornare.” Difficile immaginare accanto alla sua musica, l’unica mai stata scritta in grado di avvicinare l’uomo a Dio, delle parole così terrene. Eppure.
Se vi capitasse di assistere ad una funzione religiosa e di riconoscere questa cantata tra il Magnificat e la Messa in si minore non stupitevi, non è solo la svista di un parroco che non conosce il tedesco, ma è la riprova che tutto ciò che si collega a Bach è sacro e tutto ciò che è sacro per Bach lo è solo se permeato da profana vitalità. Come la sua pipa.
So oft ich meine Tobacks-Pfeife,
mit gutem Knaster angefüllt,
zur Lust und Zeitvertreib ergreife,
so gibt sie mir ein Trauerbild –
und füget diese Lehre bei,
daß ich derselben ähnlich sei.
Die Pfeife stammt von Ton und Erde,
auch ich bin gleichfalls draus gemacht.
Auch ich muß einst zur Erde werden –
sie fällt und bricht, eh ihr's gedacht,
mir oftmals in der Hand entzwei,
mein Schicksal ist auch einerlei.
Die Pfeife pflegt man nicht zu färben,
sie bleibet weiß. Also der Schluß,
daß ich auch dermaleins im Sterben
dem Leibe nach erblassen muß.
Im Grabe wird der Körper auch
so schwarz, wie sie nach langem Brauch.
Wenn nun die Pfeife angezündet,
so sieht man, wie im Augenblick
der Rauch in freier Luft verschwindet,
nichts als die Asche bleibt zurück.
So wird des Menschen Ruhm verzehrt
und dessen Leib in Staub verkehrt.
Wie oft geschieht's nicht bei dem Rauchen,
daß, wenn der Stopfer nicht zur Hand,
man pflegt die Finger zu gebrauchen.
Dann denk ich, wenn ich mich verbrannt:
O, macht die Kohle solche Pein,
wie heiß mag erst die Hölle sein?
Ich kann bei so gestalten Sachen
mir bei dem Toback jederzeit
erbauliche Gedanken machen.
Drum schmauch ich voll Zufriedenheit
zu Land, zu Wasser und zu Haus
mein Pfeifchen stets in Andacht aus.