La noia di un pomeriggio d’estate del 2004 stava per fare l’ennesima vittima. Troppa calma e inattività possono uccidere chiunque, a maggior ragione se vivi in una cittadina tranquilla come Solingen, dove il verde brillante dei prati è opera dell’abbondanza di pioggia più che delle doti di giardinaggio dei suoi abitanti, e soprattutto se come Frank la pazienza non è tra le tue doti. Ma è proprio da certe giornate che può arrivare la scossa. Qualche segnale c’era stato già nei giorni precedenti, a dire il vero, una specie di insoddisfazione che Frank aveva cercato di sedare mettendosi a rovistare in rete tra siti specializzati. Qualche movimento tellurico nella sua anima si era avvertito, quasi ad anticipare l’eruzione di genio e creatività che sarebbe seguita di lì a poco.
Quando improvvisamente comparve sullo schermo del suo computer l’immagine che accese la scintilla: una pipa Vulcano di Tokutomi. Eccola la perfezione, pensò Frank. Voglio provarci anch’io a raggiungerla. Per uno come lui abituato a lavorare con la solidità del marmo pensare di avvicinarsi alla vita della radica per dare dimora al fuoco, beh, era quanto di più emozionante ci potesse essere. A quarant’anni si sa che la strada verso la definizione di sé è fatta anche di esplosioni, dove al magma indistinto dei desideri è necessario dare corpo. Quella, infatti, era l’occasione per lasciarsi andare. Quante volte andava a cercare un po’ di autocontrollo nel tiro con l’arco, un hobby che gli faceva fare i conti con la pazienza e le emozioni. Fare centro, infatti, è un insieme armonico di gesti, concentrazione, ritmo e autocontrollo. Ma quel pomeriggio, davanti alla Vulcano non è stato possibile nessun autocontrollo.
La prima urgenza è stata quella di stampare la foto che ritraeva l’opera d’arte del pipemaker giapponese per poterla appendere nel suo laboratorio. Voleva averla sempre sott’occhio. Una specie di icona sacra a vegliare sulla sua nuova avventura: fare pipe. Nel giro di qualche settimana si procurò tutti gli attrezzi per lavorare il legno e non ultima la materia prima sulla quale sperimentare questa furia creativa che si era accesa improvvisamente. Lui la pipa la fumava da più di metà della sua vita. Ogni anno fra l’altro ne acquistava una nuova, cosa che lo aveva trasformato anche in un collezionista in qualche modo. E mai avrebbe pensato di poter essere in grado di costruirne una tutta da solo, e ancor meno che qualcun altro avrebbe fumato pipe fatte da lui. Ma a quella che inizialmente poteva sembrare una follia, si sostituì presto una certezza. C’era del talento in quelle mani, non solo perché il suo lavoro di scultore lo aveva quasi naturalmente condotto fin lì, ma anche perché fare ciò che si ama è un ottimo fertilizzante per la creatività.
Oggi Frank Axmacher è di diritto annoverato tra i grandi pipemaker. Basta guardare le sue pipe e si vede che sotto all’apparente pacatezza si agita quell’irrequietezza che un pomeriggio d’estate lo fece imbattere nella Vulcano. L’ispirazione, come quella prima folgorazione, è nella bellezza incastonata nelle linee delle pipe di altri colleghi, ma anche nelle opere di design e architettura che nulla hanno a che fare con le pipe. Perché è dal bello che nasce il bello. Nel suo laboratorio per esempio, oltre all’arco e alle frecce per poter fare qualche tiro quando c’è bisogno di calmarsi e ritrovare la concentrazione in mezzo al marasma, ci sono anche alcuni vasi di un vetraio danese, Per Lutken. I danesi non sono bravi solo a fare pipe.
Quando pensa al cammino che l’ha condotto fin qui vede grande generosità da parte di chi prima di lui si è affacciato a questo mondo. Internet è stato il suo primo strumento di conoscenza, ma il dialogo e il confronto con i colleghi la sua vera scuola.
E quando ricorda il primo giorno che si è messo al tornio, sorride, ora che sa cosa significhi in termini di tempo e fatica. Com’era possibile che alla sera non si potesse vedere il lavoro finito? Fare una pipa è un percorso lungo. “Ogni pipa è il risultato di molte piccole e grandi decisioni” ripete Frank che vorrebbe poter stare con le sue pipe un po’ più a lungo, una volta finite.
Perché è guardando la meta che può ripercorrere mentalmente le tappe che l’hanno portato a quel risultato e magari capire dove poteva fare meglio o diversamente. Il mercato però non glielo consente, le sue creazioni vengono vendute quasi subito. Poco male, ribadisce ironicamente lui, la riconciliazione con questa mancanza arriva quando arrivano i soldi in banca.
Il prossimo anno per lui sono cinquant’anni e la sua curiosità, frutto forse anche della sua poca pazienza, lo spinge a darsi nuovi obiettivi. Per i successivi cinquanta infatti ha già in mente di imparare a lavorare il vetro e a fare coltelli. Gli piacciono i coltelli. Come potrebbe essere diversamente quando vivi a Solingen, la capitale dei coltelli? In attesa di quel giorno, godiamoci le sue pipe, ricordandoci che se si tende l’orecchio in certe giornate piovose quando soffia vento da nord, si può quasi sentire il vulcano che si agita dentro Frank e che precede ogni suo atto creativo. Poi improvvisamente una corda si tende e vibra, segue un sibilo e un rumore secco. Il suo mondo è di nuovo centrato.
Un ringraziamento particolare a Frank Axmacher per il contributo dato alla realizzazione di questo articolo
Milano, gennaio 2013