Sette, otto mesi a lavorare senza mai perder di vista le piantine e poi le piante, trapiantando, irrigando, estirpando erbacce, eliminando polloni e in molti casi anche i fiori. L'importante è dar forza e sviluppo a quel che più conta: le foglie. Vanno curate una a una, protette da tante insidie e, quando le piante sono adulte, scrutate ogni giorno in attesa dei "segni": nelle varietà verde scuro sono macchie d'un verde più chiaro, in quelle più chiare le macchie saranno gialle; ma anche l'incurvarsi dei bordi e della punta annuncia che finalmente si è arrivati alla maturazione. E' il momento: non resta che scegliere l'ora giusta, quando non fa troppo caldo ma la brina è già sparita. Nell'arco di pochi giorni si colgono le foglie man mano che maturano, oppure in un colpo solo le piante intere. Per chi le ha tirate su con tanta cura è un bel traguardo; ma la "cura", quella vera, inizia proprio in quel momento: quando non c'è più nulla da coltivare e le piante o le foglie raccolte stanno lì, sul terreno che per tanti mesi ha dato loro il nutrimento. Se a questo punto il coltivatore le abbandonasse accadrebbe più o meno quel che succede in Autunno alle foglie degli alberi: prima avvizzirebbero, diventando gialle o rossastre, poi un po' alla volta e in balia degli eventi subirebbero quei processi di dissoluzione che in natura portano all'humus come risultato finale. Ma il coltivatore non abbandona proprio nulla: poco dopo la raccolta avvia un processo di trasformazione complesso, non troppo dissimile da quello naturale ma posto sotto un rigido e finalizzato controllo del quale la "cura" è solo la prima fase.
I nativi americani facevano di tutto col tabacco: lo masticavano, ne bevevano il succo, lo impiegavano per uso medico, lo fiutavano, ne buttavano le foglie nel fuoco per aspirare i fumi, poi presero a inserirle nei tubi e nelle prime pipe. Per gli scopi cerimoniali di allora, almeno all'inizio, anche foglie ancora verdi furono impiegate, ma non era un bel fumare: oltre ad avere una pessima combustione rilasciavano fumi sgradevoli e nocivi. Quando arrivò Colombo già si usava un tabacco almeno parzialmente essicato, ma c'era chi faceva di più: dopo la disidratazione lo seppelliva per qualche tempo per poi recuperarlo quando riteneva fosse "pronto". Possono far sorridere quelle tecniche rudimentali, ma è proprio da esse che si è partiti per poi arrivare passo dopo passo alle odierne procedure. Più nessuno, oggi, fumerebbe tabacco fresco e nemmeno quello semplicemente seccato: sa di erba. Il fumatore vuole aromi raffinati e complessi che solo una sequenza collaudata e diversificata di procedimenti può assicurare: un processo che inizia (si diceva) con la "cura". Ma, proprio come "curare un malato", anche "curare un tabacco" è locuzione generica. Se nel primo caso tutto dipende dal malato e dalla malattia, la cura che ci interessa varia con le caratteristiche del tabacco appena colto e il genere di prodotto che si vuol ottenere.
Per capire almeno a spanne a cosa servono e in cosa consistono la cura e le operazioni successive è meglio non dimenticare che le foglie di tabacco sono innanzitutto foglie: organi che nella la vita di qualsiasi pianta hanno la loro importanza. Devono eliminare sotto forma di vapore l'acqua che con la linfa arriva dalle radici: s'innesca così quell'effetto-pompa che provoca l'afflusso regolare di nuova linfa. In parallelo le foglie hanno una conformazione tale da far circolare al loro interno una discreta quantità d'aria. Linfa e aria s'incontrano così in tanti piccoli laboratori chimici ai quali è affidato il compito più importante: sintetizzare gli elementi nutritivi per l'intera pianta. Sfruttando l'energia solare si combinano le molecole minerali prese dalla linfa con gli atomi di carbonio dell'anidride carbonica: operazione complessa cui sovraintende la verde clorofilla. Tutto ruota in effetti attorno a questa sostanza, la quale però sotto l'azione del sole e dell'ossigeno tende a scomporsi: per questo la foglia deve sempre sintetizzarne di nuova; ma nelle sue cellule non c'è solo clorofilla. Altre sostanze concorrono ai tanti processi necessari al suo funzionamento, fanno da struttura di sostegno, sono riserve nutritive o semplici scarti di lavorazione da smaltire: senza pretese di completezza parliamo di carotenoidi, amidi, tannini, sostanze aromatiche, proteine, sostanze grasse, carboidrati, zuccheri... Quando la foglia di tabacco è raccolta o l'intera pianta è staccata dal suolo queste sostanze sono tutte lì, assieme a un 85-90% d'acqua, in un organismo ancora vivente che solo allora inizia a spegnersi, destinato man mano a trasformarsi in un insieme sempre più secco e denso di materia inanimata. Sostanze delle quali alcune sono buone per il fumo, altre decisamente no. Le procedure di trasformazione che iniziano con la cura servono a eliminare quelle sgradevoli o dannose preservando, anzi incrementando, quelle che invece saranno la gioia del fumatore. La differenza con il naturale decadimento di un letto di foglie autunnali è che un lavoro intenso e impegnativo basato su esperienze ormai millenarie consente di guidare, correggere, regolare il processo naturale portandolo per quanto possibile a quel prodotto di buona qualità che darà soddisfazioni a chi lo vende e a chi lo consuma.
Si diceva che la clorofilla è verde: è questo il colore della foglia di tabacco, finché è viva. Ma cosa significano allora quelle macchie verde chiaro o addirittura gialle che appaiono quando è diventata matura? Semplicemente, che ha raggiunto lo stadio di massima crescita: a quel punto la linfa comincia ad arrivare in minor quantità e la clorofilla, man mano che decade, non viene più completamente rimpiazzata. Il verde si fa più chiaro o addirittura vira in arancio o giallo perché, in mancanza di clorofilla, prevale il colore dei carotenoidi presenti nella foglia. Anche l'arricciarsi dei lembi e della punta dice la stessa cosa: la quantità di liquido in arrivo è diminuita. Inutile dunque lasciare sul campo piante giunte all'apice della crescita: il senso della "maturazione" è questo.
Quando poi le foglie o le piante iniziano la cura, la clorofilla decadrà abbastanza rapidamente così come la percentuale d'acqua: questa prima fase, condotta all'ombra in ambienti abbastanza caldi e umidi per via dell'evaporazione, è detta di avvizzimento e ingiallimento. E' qui che le cellule vegetali, ancora vive, sopravvivono consumando le sostanze nutritive accumulate o quelle che nella nuova situazione non sono più essenziali: processi di idrolisi e ossidazione iniziano a demolire le molecole più complesse scindendole in altre più semplici. Questa, che potremmo considerare una prima fase di decantazione e riposo, è (pur con tante varianti) comune a tutti i tipi di tabacco e a tutte le tradizioni di cura. Le differenze si manifestano dopo pochi giorni, con l'avvio di una nuova fase in cui l'intervento umano è più intenso e attento: l'ammaronamento. Il processo di demolizione delle sostanze complesse prosegue, la disidratazione va avanti mentre la residua vitalità delle cellule giunge al termine; i processi chimici, fisici e fisico-chimici sono sempre più controllati e pilotati, temperatura e umidità acquistano un'importanza basilare perlomeno nei metodi di cura più evoluti: per tenerle sotto controllo si adottano soluzioni diverse sia nell'erogare calore che nel ricambio d'aria. L'ultima fase, mentre più lentamente proseguono le trasformazioni chimico-fisiche, è quella dell'essicazione vera e propria: prima delle parti più sottili delle foglie, poi delle nervature. A questo punto il tabacco è pronto per la pipa? Purtroppo ancora no: gli specialisti lo chiamano "tabacco grezzo", pronto per i successivi necessari trattamenti. Ma prima di parlarne vale la pena di soffermarsi a scoprire le differenti caratteristiche e modalità dei quattro principali metodi di cura.