A vederli di schiena un po’ curvi sulla loro postazione sembra di essere di fronte a una bizzarra e confusa immobilità del tempo. Sembrano la stessa persona che convive nella stessa stanza, in due periodi differenti della propria vita. Un ponte tra passato e futuro che si realizza nel presente. Perché a Peter lavorare con le mani è sempre piaciuto, ora che ci pensa, come a suo figlio Rasmus, il più piccolo dei tre maschietti di casa Heding, che ha chiesto di avere di fianco al tavolo da lavoro di papà, un suo piano, a misura di bimbo. Nell’aria c’è della musica Jazz. Papà sta lavorando un pezzo di radica dal quale farà nascere una delle sue pipe che, a giudicare da come sta venendo, forse sarà una di quelle che si meritano di essere prestigiosamente punte da un diamante, il piccolo a una trottola di legno. Sono i sogni che cambiano con l’età a condurre le mani dei due verso la creazione. Da una parte c’è il lavoro, anche se per Peter è più uno stile di vita, dall’altra c’è il gioco. In mezzo ci sono anni di scelte fatte e anni di scelte ancora da fare. Ma nella passione che si respira al laboratorio quando le due postazioni, quella grande e quella piccola, sono occupate, si sente la stessa intensità. Questo non dice nulla del futuro di Rasmus, deciderà strada facendo cosa vuole fare da grande, ma dice molto del passato di Peter. Solo 10 anni fa non c’erano né figli né pipe nella sua vita e pur andando tutto a gonfie vele, qualcosa non girava per il verso giusto. Una laurea in biologia, una posizione come ricercatore presso lo Steno Diabetes Center, un lavoro ben pagato, sicuro e con grandi prospettive di carriera. Tanto che è stato quasi d’obbligo pensare a un Ph.D.
Poi una sera del 2003, quando era lontana la confusione da neonati in casa e il telecomando della TV era esattamente dove l’aveva lasciato perché nessun piccolo uomo ancora l’aveva sequestrato, Peter incontra il suo destino. È in un programma alla TV e ha la faccia di Anne Julie. Sono bastate poche inquadrature del viso soddisfatto dell’artista danese durante un’intervista, qualche close up sulle sue creazioni così libere e leggere, che nel salotto di Heding si è messo in moto un mondo. Un mondo parallelo a quello vissuto fino a quel momento, ma che era sempre stato lì, dentro di lui. Crescere in Danimarca dove acqua, isole e ponti sono il tuo orizzonte, è naturale sentire il bisogno di creare in qualche modo delle connessioni con la terra. Sapendo comunque che tutto è mutevole, frammentato, sospeso.
La Julie raccontava delle sue scelte e Peter le assorbiva come se fossero stati dei consigli. Qualcuno sembrava aver dato alla pipemaker il compito di risvegliarlo. La ricerca scientifica ha nutrito l’emisfero sinistro con la logica e la teoria, pensava Peter mentre era ipnotizzato da tanta bellezza scolpita nella radica, ora tocca dare un’opportunità all’emisfero destro con la creatività e la concretezza. Da scienziato sa che c’è un ponte che mette in comunicazione i due emisferi per far funzionare la mente ed era arrivato il momento di rendere onore a quel ponte, creando anche un altro ponte, quello fra il vecchio mondo e quello nuovo, non per costruirci sopra una casa, quello mai, come recita un proverbio indù, ma per attraversarlo.
E ora che è dall’altra parte ripensa al primo pezzo di radica lavorato sul piano della cucina nelle ore dopo il lavoro, mentre la sua esistenza stava per svoltare. Ricorda di aver preso il dottorato, ma di aver pensato subito dopo che quelle lettere Ph.D. forse per lui avevano un altro significato e cioè Peter Heding Denmark. Il vero fulcro del suo nuovo mondo non poteva che essere lui stesso e nessuno studio o titolo l’avrebbe reso altrettanto felice e soddisfatto come l’essere sintonizzato sui suoi sogni. Poi arrivò il tentativo di vendere qualche sua pipa ad una fiera e, visti i risultati, arrivò anche la lettera di dimissioni al centro di ricerca.
Quanto tempo recuperato in questo modo, tempo per dedicarsi alla sua parte creativa e tempo per dedicarsi ai figli, che ormai sono tre, visto che la moglie fa il medico e le chiamate d’urgenza nella notte possono capitare. E il bisogno da bravo danese di ancorarsi a terra senza dimenticare l’acqua si è concretizzato una volta di più nella sua abilità di pipemaker, nella duck foot, una delle sue forme più famose. Un’idea che un amico tedesco, fumatore di pipa e contadino, gli ha suggerito. Chi è più piantato a terra di una zampa palmata, ma allo steso tempo è agile nell’acqua? Bellezza e funzionalità insieme, come i ponti della città dov’è nato, come le sue pipe. E dall’alto della sua postazione, mentre la sua creazione sta prendendo corpo - e pensare che nel lavoro di prima ci volevano anni prima di avere un risultato - Peter dà uno sguardo a Rasmus e alla sua trottola. Per un attimo lo invidia, perché sa che quel gioco gli rimarrà accanto una volta finito, mentre la sua pipa verrà venduta. È sempre doloroso separarsi dalle proprie creazioni, anche se necessario. Questo distingue il gioco dal lavoro, la responsabilità di un padre dalla spensieratezza di un bimbo. Poi uno sguardo ingenuo e orgoglioso arriva dal basso, gli sfiora il cuore e un sorriso li unisce, come un ponte fra ciò che è giusto essere e ciò che sarebbe bello diventare.
Un ringraziamento particolare a Peter Heding per il contributo dato alla realizzazione di questo articolo
Milano, aprile 2013