È febbraio e verso sera tira sempre una certa arietta dalle parti di Giles Street a Oxford. È martedì e come accade da anni ormai, da prima che la seconda guerra mondiale macchiasse con i suoi orrori il mondo, John è appena uscito dal pub The Eagle and Child, che affettuosamente lui e gli amici hanno ribattezzato The Bird and the Baby e nella mente gli risuonano ancora tutti i discorsi fatti e le risate. Si stringe nel collo di pelliccia del suo cappotto e si dirige verso casa. Ha voglia di scrivere una lettera al figlio, il più grande, che come lui si chiama John, per raccontargli un po’ di quello che ancora fanno gli Inklings. Non c’è solo la letteratura, ci sono anche pinte di birra, degustazioni, pranzi e cene, convivialità allo stato puro. E mentre l’inchiostro scorre sul foglio scrivendo “abbiamo avuto una splendida festa al prosciutto”, ripensa al nome Inklings. “Hwaet! We inklinga” è la sua parodia dei versi di apertura del Beowulf, guarda caso un’opera mitologica anglosassone a lui che di mitologia va pazzo, e che può essere liberamente tradotta con “Ordunque! Noi inchiostriamo”. E certamente gli Inklings hanno molto inchiostrato da che si riuniscono, pur non essendo solo un gruppo di discussione letteraria nato all’interno dell’Università di Oxford. Basti pensare all’opera più importante dello stesso John, finita di scrivere nel 1949, solo tre anni prima di quella sera e non ancora pubblicata: “Il signore degli anelli”. Ma non è l’unica. Fra gli amici del club c’è anche Clive, anche lui col vizio della scrittura fantastica e della mitologia e la sua fatica si chiama “Le cronache di Narnia”.
È in vena di ricordi John e anche se si è fatto tardi, si mette davanti al caminetto di casa che ancora non è spento del tutto, per godere dell’ultimo calore di un ceppo. Si accende la sua pipa e si lascia andare con un po’ di nostalgia al passato. Rivede sua madre che, appassionata di lingue antiche e leggende, cerca a modo suo di colmare il vuoto lasciato dal padre mancato anni prima raccontando di mondi fantastici a lui e al fratello. Rivede padre Francis Xavier Morgan, sacerdote degli Oratoriani che gli fece da precettore quando purtroppo anche la madre morì. È stato lui ad iniziarlo all’arte della pipa fra l’altro, e è stato lui a spronarlo a continuare gli studi delle lingue, vista la sua facilità nell’apprendere il latino, il greco, il gotico e persino il finnico e è stato proprio allora che John ha avuto l’idea di mettere a punto un linguaggio di sua invenzione. Una boccata alla pipa e si rivede davanti alla lapide che gli ha cambiato in un certo senso la vita, la lapide dove ha visto le parole “Adeiladwyd 1887” (“Costruito nel 1887”), la perfezione sottoforma di letteredi cui si è innamorato immediatamente. E così anche il gallese da alloraè diventata una fonte inesauribile di bei suoni e perfette costruzioni grammaticali, un linguaggio melodioso a cui poter attingere per le sue future invenzioni linguistiche assieme al finnico, al greco e all’italiano. Il Signore degli Anelli che ancora giace senza pubblicazione in un cassetto della sua scrivania, è in fondo un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal suo personale senso estetico possa sembrare reale.
Ora che ci pensa le sue storie della Terra di Mezzo sono servite unicamente a dare una collocazione alle parole dei suoi linguaggi. E non il contrario come molti potrebbero pensare. E mentre la stanchezza si sta facendo sentire e gli occhi sono diventati più pesanti, cerca di recuperare gli ultimi scampoli di ricordi e pensa al suo primo libro Lo Hobbit, pubblicato da Allen&Unwin dopo che il figlio di Stanley Unwin, Rayner di soli 10 anni, ne aveva fatto una recensione. Eh sì, nessun critico migliore di un bambino per un libro per bambini. L’inizio gli è venuto una calda giornata d’estate, mentre correggeva dei compiti di letteratura inglese. Uno degli esaminandi aveva lasciato una pagina bianca e a John viene di getto l’incipit dell’avventura di Bilbo: “in un buco del terreno viveva un Hobbit”. Con il Signore degli anelli, che quell’avventura prosegue, ne è sicuro, la realtà parallela che è riuscito a creare, lui uomo innamorato di miti nordici, di filologia e storia delle religioni, ma soprattutto innamorato della pace e della libertà, non può che attirare lettori di qualunque età, idea e cultura. Mentre esausto dalla serata e dai ricordi dà l’ultima boccata alla sua pipa, ripensa all’origine dell’arte di fumare l’erba-pipa, inventata dagli Hobbit. È Tobaldo Soffiatromba che gliela sta rammentando, visto che fu proprio lui il primo a coltivarla nel suo giardino. A Pianilungone, dove Tobaldo viveva vennero in seguito prodotte le varietà più note e pregiate di qualità di foglia-pipa: la Stella del Sud, il Vecchio Tobia e la Foglia di Pianilungone. Anche Tobaldo non sa quale sia il luogo d’origine della pianta che fu portata attraverso il mare dagli uomini dell'Ovesturia e che cresce spontanea anche a Gondor, i cui abitanti, però, non la fumano, ma ne apprezzano solo i fiori aromatici. Comunque sia tra gli Hobbit, gli abitanti di Bree affermano di essere stati i primi a mettere le foglie di questa pianta in una pipa. Da loro l’arte si è presto diffusa anche alle altre razze, come Raminghi, Nani e Stregoni.
Poi John sente un tonfo, è quello della sua pipa che è cascata sul tappeto. Si era assopito un attimo. Il fuoco è ormai spento e è tempo di andare a dormire. Arrivato in camera da letto prima di infilarsi sotto alle lenzuola, dà uno sguardo amorevole alla moglie Edith, compagna di sempre. Poi, come Sam arrivato a casa dopo che ha salutato Merry e Pipino alla fine de Il signore degli Anelli, anche John“Trasse un profondo respiro e disse “Sono tornato”.