Se c’è una cosa di buono dei quotidiani è che il giorno dopo, quando le notizie sono “scadute”, possono sempre servire per farci un cappello. Le mani di Pippo ormai conoscevano a memoria i gesti che trasformavano una pagina di giornale nel suo copricapo da lavoro. Prendeva un foglio, lo metteva sul tavolo piegato a metà e dopo una serie di piccole pieghe fatte nel posto giusto, compiva il miracolo. Un cappello di carta poteva durare anche molti giorni fra la polvere e il sudore. Ovviamente non c’era una relazione fra le notizie che casualmente erano state sorteggiate per diventare cappello e la robustezza dello stesso. Per Mimmo, fin da bambino, vedere in testa al padre quella carta disegnata con parole fitte che si incrociavano geometricamente e che avevano ormai perso il loro significato iniziale per diventare una protezione, era sentirsi a casa. Come quando la mamma Adalgisa lo costringeva durante le vacanze estive in Calabria a dare il suo contributo nel fare la salsa di pomodoro. Quanti pomodori erano passati tra le mani di Mimmo e quanto profumo. Un profumo dolce che sapeva di casa, come il profumo secco e pungente della segheria a Taggia, anche quella era casa. A scuola andava così fiero del lavoro del padre. Quanti potevano dire che il padre lavorava con il legno, come nelle favole? E se c’era da portare del materiale per fare dei lavoretti, quando tutti portavano pongo, plastilina o al massimo della pasta di sale, lui portava un robusto pezzo di radica.
Di solido nella sua vita c’erano anche i valori che si basavano su una serie di certezze, come il cappello di carta, la salsa di pomodoro e il caffè che Adalgisa preparava ogni mattina alle 11. Quando lei chiamava tutto in segheria si fermava per concedersi una meritata pausa. E poi di nuovo a tagliare radica. Un lavoro duro, in mezzo al rumore, ai pericoli, alla polvere. Visto con gli occhi di un bambino poteva sembrare molto poetico, ma Adalgisa, quando intravedeva in Mimmo il desiderio di seguire le orme del padre, sapeva che il suo compito di mamma era quello di dissuaderlo. Avrebbe voluto qualcosa di diverso per lui, così come era già stato per i primi due figli. Poi arrivò la fine della scuola e la maggiore età. Una mattina Mimmo prese un foglio di giornale vecchio, lo mise sul tavolo della cucina, lo piegò come aveva sempre visto fare da papà e ne fece il suo primo cappello da lavoro. Era arrivato il momento di vedere se quella del segantino poteva essere anche la sua strada. Otto mesi di duro lavoro a fianco di Pippo a compiere gesti così familiari che a Mimmo sembrava di aver sempre fatto solo quello nella vita. Pausa caffè alle 11 e poi di nuovo alla sega.
Era il 1988 e venne anche il tempo di partire per il servizio militare. Interrompere così quell’esperienza arrivò come una fortuna, come un modo per fare chiarezza fra ciò che sentiva essere il suo destino e il sospetto che ci fosse dell’altro per lui, come diceva la mamma. Era anche un grande sportivo Mimmo, avrebbe potuto fare il professore di educazione fisica, volendo. Ma in quei 12 mesi lontano da casa e dai riti coi quali era cresciuto, dai profumi e dai gesti, la voglia di proseguire la strada del padre non faceva che aumentare. Complice anche una chiacchierata fatta col suo professore di ginnastica, durante la quale lui lo aveva messo in guardia sulle difficoltà del mondo dell’insegnamento, al ritorno dal militare la decisione era presa. Fra i suoi ricci corvini, nonostante il cappello di carta, si era fermata troppa polvere di radica durante quel periodo seduto a fianco di suo padre per dimenticarsene. E nonostante le prime rigidità della mamma, dopo poco tutti dovettero ammettere che era la strada giusta, non solo per portare avanti la tradizione di famiglia, ma anche per assecondare la visione del futuro di Mimmo. Lui ci era cresciuto in mezzo alla radica, ne portava il profumo in ogni ricordo.
Ora doveva metterci la sua impronta. Quante volte gli era capitato di intravedere già nel taglio del ciocco di radica la potenzialità di una pipa. Lo sentiva come un completamento del percorso fatto sin lì. Le difficoltà non mancarono anche in questo caso. Non era più la mamma a opporsi, stavolta era il papà a buttare cenere su quel fuoco che voleva solo fare nuova luce sulla sua strada. Ragioni dettate da una sorta di buon senso antico quelle di Pippo, che preferiva lasciare le cose come stavano visto che andavano bene. Ma un giorno in segheria comparve Teddy Knudsen. Mimmo e la sua esuberanza non riuscirono a tenere nascosta a quello che in quel momento era solo un cliente e che poi sarebbe diventato un amico, la sua voglia di diventare un pipemaker. Ed ecco che la brace sotto alla cenere, che era ancora viva per fortuna, si riaccese. Teddy gli consigliò una vacanza-studio in Danimarca per imparare la tecnica, la grammatica attraverso la quale avrebbe potuto scrivere le sue pipe. Per la creatività sarebbe bastato fare appello a quanto visto, respirato e vissuto nella sua vita fino ad allora. Inutile dire che con una storia così alle spalle arrivare a fare pipe high grade in poco tempo era quasi naturale. La prima pipa arrivò e Mimmo la vendette con grande orgoglio durante una fiera in America nel 2001. Lo scorso anno, sempre con orgoglio, Mimmo se l’è ricomprata da un collezionista.
Oggi, quando vede il suo logo studiato dal cognato che riprende un bocchino visto dalla parte del fumatore, vede in qualche modo scritta la sua storia, una storia fatta di radica e qualità respirata fin da bambino, poiché è dal bocchino che spesso si vede il pregio del prodotto finito. E anche ora, quando si mette al tavolo a piegare il foglio di giornale per farne un cappello che regolarmente indossa per andare in segheria, prova lo stesso piacere di quando lo vedeva fare a papà da bambino, perché si sente a casa. La figlia Sara, di un anno e mezzo, ha già avuto il suo primo cappello di carta. Se sei della famiglia Romeo, devi proteggere la tua vitalità con un foglio di giornale. E in tutto questo Adalgisa, che dopo tanti anni alle 11 fa sempre il suo caffè e che sembrava la più restia a far fare al figlio il lavoro del padre, conserva fra i suoi oggetti cari ancora quel primo cappello di Mimmo sul quale a penna ha scritto “Mimmo 1988”. Per non dimenticare quando tutto ha avuto inizio, o meglio, un seguito.
Un ringraziamento particolare a Domenico Romeo "Mimmo" per il contributo dato alla realizzazione di questo articolo
Milano, giugno 2013