Andando a caccia, il Principe di Galles aveva smarrito alcune pipe e cercava chi le avesse ritrovate. Come riconoscerle? Da un pallino: bianco, sul fondo scuro del bocchino. Apparso nel 1921 sui giornali londinesi, l'annuncio a pagamento non specificava il nome del produttore; ma quelle pipe già le conoscevano in molti a Londra, e avevano ora un nuovo autorevole testimonial.
L'idea di apporre un piccolo tondo chiaro sui bocchini era venuta ad Alfred Dunhill nel 1912 per rispondere a una pratica necessità. Questi elementi, ricavati a mano da barre d'ebanite, erano lavorati così perfettamente che spesso il cliente, nell'atto d'inserirli nell'incavo del cannello, non riusciva a capire come "girarli" per mettere sopra il "sopra" e sotto il "sotto". Per questo Dunhill decise di piazzarvi un pallino di riferimento nella parte superiore, vicino al punto d'innesto. Benché fosse un genio del marketing, inizialmente non pensò nemmeno lui che il white dot sarebbe poi assurto al ruolo di marchio; ma nel 1923 si ritrovò in tribunale a difendere l'originalità della sua creazione. Nelle Dunhill d'epoca si applicava a intarsio un sottilissimo tondo d'avorio, in quelle di oggi il dischetto è in materiale acrilico.
Oltre al pallino bianco, Alfred Dunhill aveva il pallino delle invenzioni. Per trasformarsi in pochi anni da semplice venditore in pipe-maker non s'accontentò di carpire segreti di bottega a chi era del mestiere: si mise anche a sperimentare. Non sappiamo quante prove fece, né quante di esse diedero cattivi risultati; certo è che da quelle andate a buon fine è nato il mito dei suoi strumenti da fumo.
All'inizio del ventesimo secolo molte pipe venivano accantonate dopo un certo numero di anni perché il condotto d'aspirazione s'era intasato; Alfred Dunhill, nel 1911, trovò una ragionevole soluzione al problema inserendo nel cannello un tubetto d'alluminio da sostituire non appena si avvertivano segni d'intasamento: in questo modo una pipa poteva durare una vita. L'inner tube restò in servizio fino agli anni Trenta, poi arrivarono gli scovolini.
Nei primi anni della manifattura Alfred produceva a Londra solo i bocchini in ebanite. Dai fabbricanti di Saint-Claude acquistava semilavorati con le forature per cannello e fornello già eseguite, poi provvedeva a rifinirli. Prima però andava "rifinita" la radica.
Quando il pezzo arrivava dalla Francia conteneva ancora al suo interno un certo quantitativo di linfa che avrebbe dato alla fumata (almeno all'inizio) un sapore non gradito di tannino e avrebbe reso difficile la fase del rodaggio. Un prolungato bagno in olio poteva risolvere il problema: l'olio scacciava la linfa, però poi restava nei pori e alla prima fumata sarebbe trasudato, dando luogo a una serie di sgradevoli effetti. Come rimediare? Probabilmente l'inventore Dunhill si mise in azione fin dal 1910 se è vero che nel 1913 aveva già brevettato, col numero 2157 di quell'anno, una procedura per stagionare e rifinire pipe trattate ad olio. Il suo apparecchio (semplificando) riproduceva in qualche modo le condizioni della "prima fumata" dando però la possibilità d'asportare l'olio via via che questo trasudava. Sull'oil curing s'è detto molto. In primo luogo i particolari della procedura brevettata (e del preliminare bagno in olio) sono sempre stati gelosamente custoditi; inoltre si sono evoluti nel tempo. In secondo luogo, mentre a detta di Dunhill il trattamento presentava solo vantaggi, non tutti in realtà lo apprezzavano (né lo apprezzano) fino in fondo. Specie negli ultimi tempi, con l'evolversi delle tecniche e dei gusti di chi fuma, è cresciuto il numero di chi preferisce altri modi (giudicati più naturali) per eliminare la linfa. Resta però il fatto che, nelle sue tante varianti, la "cura con l'olio" è rimasta tipica delle pipe classiche britanniche (estendendosi anche a produttori di altri Paesi) ed ha anche oggi un numero consistente di estimatori.
Una volta depurati i pori della radica, la pipa andava perfezionata nella sue forma a partire dall'assoluta continuità fra bocchino e cannello fino ai particolari più minuti, all'equilibrio d'insieme dei diversi elementi; ad ultimo andava eseguito quel trattamento delle superfici (correntemente detto "finitura") dal quale fortemente dipendevano (e dipendono) l'aspetto e il carattere dell'oggetto - pipa.
Nei primi anni in cui si limitava a vendere, oltre che alcune Charatan, le pipe acquistate in Francia, Alfred Dunhill aveva avuto modo di constatare gli inconvenienti pratici ed estetici della loro pesante verniciatura. Non appena (1910) iniziò a produrre parzialmente in proprio, volle adottare metodi diversi.
Il primo portò a una finitura leggera ed efficace dal nome "Bruyere": così in Francia si denomina la radica. Invece che verniciare si valorizzava al massimo l'andamento delle venature grazie a un trattamento di coloritura a mordente color mogano abbinato a moderata inceratura.
Il secondo metodo arrivò più tardi, dopo chissà quanti tentativi. La sabbiatura, nota dal 1870, serviva a opacizzare il vetro, pulire radicalmente parti in ferro o facciate di case: nessuno avrebbe mai immaginato di abbinare alla radica un procedimento industriale così drastico, ma Alfred Dunhill lo fece. Così nel 1917 fu pronto a lanciare una nuova sorprendente finitura: la "Shell". Scaraventando ad alta velocità nuvole di microparticelle contro le superfici di radica, queste venivano come "scavate" nella parte relativamente più morbida del materiale. Ne risultava un gioco di vuoti, pieni, chiaroscuri capace di esaltare le venature molto più del semplice trattamento a mordente; una coloritura molto scura completava l'effetto. Il nome Shell può venire da un certo genere di conchiglie (basti pensare al marchio d'una nota benzina) la cui superficie presenta costolature a rilievo; oppure dal termine inglese “shriveled”: raggrinzato. C'è chi sospetta che a questa finitura, capace di eliminare alcune piccole imperfezioni della radica, fossero destinate le pipe di seconda qualità: niente di più falso, perlomeno in casa Dunhill. Una Shell nasceva tale fin dalla scelta della radica: quella algerina, più morbida dunque più adatta a ottenere profonde incavature; per prepararla alla sabbiatura veniva sottoposta a uno speciale trattamento ad olio capace anche di rendere più resistente il materiale. Gli esemplari dei primi anni denunciano probabilmente alcune difficoltà tecniche non ancora superate attraverso distorsioni nella forma le quali però, a detta dei collezionisti, accentuano il "carattere" di queste pipe.
Fin dagli inizi la mentalità scientifica di Alfred Dunhill ma anche il suo occhio attento ai concorrenti portarono a tutto un percorso di classificazioni la cui logica s'è evoluta nel tempo. Sulle pipe (e precisamente sui cannelli) tutto ciò s'espresse (e s'esprime) attraverso l'impressione di scritte e sigle. Un'analisi dettagliata del tema è materia da specialisti e si complica man mano che nuove scoperte portano altri dettagli. Qui ci limiteremo a dare solo un'idea.
Sulle Bruyere, fino al 1975, appariva una "A". La scritta Inner tube è presente fino al 1934. H.W. stava per "hand worked": pipa fatta interamente a mano senza l'ausilio di macchine; non ne sono state più prodotte dopo gli anni Trenta del Novecento. Le O.D. erano le pipe own design, eseguite da Dunhill su progetto (o perlomeno indicazioni) del cliente; le ultime sono databili fra la fine degli anni Venti e l'inizio dei Trenta.
Un'attenzione particolare merita la sigla D.R. che appare dall'inizio (fino al 1930) su alcune, anzi pochissime, pipe Bruyere: significa "dead root" ovverosia "radice morta". Premettiamo che queste denominazioni (e quelle che seguirono) sono innanzitutto una questione di marketing; ma al reale significato di "dead root" si sono appassionati in molti. Aggiungiamo che, nei fatti, le "D.R." sono pipe "straight grain" ossia fiammate, con andamento molto regolare delle fibre, dunque rare da ottenere e di alto costo. Nel corso degli anni Dunhill stabilì addirittura una classifica di bellezza di questi prodotti, certificata attraverso lettere dell'alfabeto (prima) e numero variabile di stelle poi. Ma perché proprio "dead"? Perché (si dice) una venatura così spettacolare si ottiene solo da ciocchi vecchissimi, appartenenti a piante vecchissime, addirittura morte. C'è chi arriva ad argomentare che la "cura" della radica, con depurazione e tutto il resto, avverrebbe in questi casi (pianta morta) dentro al terreno in maniera del tutto naturale. Ma esperti di Radica Arborea obiettano che appena muore la pianta si avvia un naturale processo di disgregazione: altro che cura! Insomma, il dubbio rimane; ma a dispetto della denominazione un po' funerea, queste pipe sono bellissime.
A partire da circa il 1915 appaiono altri codici dalla cui interpretazione si deduce l'anno in cui la pipa è stata prodotta; più in là la datazione diventerà esplicita: era una sorta di controllo per evitare abusi nell'utilizzo di una garanzia che valeva solo un anno. Oggi è un aiuto molto apprezzato per chi vuol datare una Dunhill.
L'anno 1928 è importante per la storia della Casa: il fondatore si ritirò a vita privata. Importante soprattutto per i collezionisti, che distinguono fra esemplari pre e post Alfred; meno considerato da chi invece riscontra una sostanziale continuità qualitativa fra "prima" e "dopo" che il comando passò ad altri membri della famiglia.
Sempre in tema di classificazione, questa si espresse anche e soprattutto attraverso un preciso codice identificativo di forme e dimensioni che già agli esordi aveva iniziato a manifestarsi, ma acquistò maggior importanza con gli anni Trenta.
L'esigenza di limitare le tipologie dei prodotti c'era già stata in epoche relativamente remote, ma con l'avvio della Rivoluzione Industriale e il conseguente ampliamento dei mercati diventò impellente: si andava sempre meno ad acquistare direttamente da chi aveva prodotto il bene, la catena delle intermediazioni si allungava; a fine Ottocento s'iniziò a vendere per corrispondenza attraverso cataloghi che dovevano essere "convincenti" contando solo su succinte descrizioni e piccole illustrazioni. Lo stesso Alfred Dunhill realizzò nel 1910 il suo primo "About Smoke", concepito con cura perché attraverso di esso il cliente lontano doveva capir bene le caratteristiche di pipe, accessori, miscele.
Ma dagli anni Venti, partendo dal mercato americano, un'incrementata prosperità unita all'evoluzione dell'industria e del commercio portò a quella che in seguito s'è definita la "società dei consumi". La tendenza a ridurre l'offerta a un numero limitato di modelli le cui caratteristiche erano però ben marcate non fu certo una trovata delle pipe Dunhill: in ogni modo la Casa fu pronta a recepire lo spirito dei tempi. Attraverso semplici sigle stabilite per "shape" (la forma) e "size" (la grandezza) il cliente poteva capire tutto al volo. Ma la Dunhill fece un tale lavoro di codificazione delle "sue" forme da condizionare pesantemente il mercato della pipa, indicando un metodo che tanti altri avrebbero poi seguito e seguono tuttora.
Dopo l'uscita di Alfred Dunhill la finitura della pipa ha subito, fino ad oggi, una costante evoluzione dettata sia da circostanze esterne che da esigenze di mercato:
Nel 1930 (o 1931) apparvero le Root o Root Briar. "Root" significa semplicemente "radice", ed è questo un modo efficace per denominare le più autentiche pipe in radica, caratterizzate da un'eccezionale venatura. Finitura liscia e sobria, marrone chiara: in due parole, il colore naturale della radica. Da quel momento le "D.R." , prima sottoposte al trattamento Bruyere, avranno questa nuova finitura. Molto rare, le pipe Root fanno parte dell'aristocrazia della Casa e il loro prezzo è conseguente.
Nessun'altra nuova finitura fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale fu veramente difficile reintegrare le scorte di radica; con la pace le difficoltà vennero da un contesto europeo molto provato dalle vicende belliche: per questo ci si rivolse a quello americano con le Dunhill 800 OD, che riprendevano il vecchio marchio Own Design senza però essere eseguite su disegno del cliente. Erano semplicemente belle pipe di grande formato.
Del 1952 è la finitura Tanshell: esemplari sabbiati con una coloritura chiara, realizzati in radica sarda: più densa e dura di quella algerina, rispetto ad essa assicurava venature meno incavate ma più uniformi.
Gli anni Sessanta diedero alla Dunhill qualche grattacapo. Le vicende algerine dopo l'indipendenza resero problematico l'approvvigionamento di radica in quel Paese; L'Italia, invece, aveva stabilito di riservare la preziosa materia prima ai produttori nazionali. Ci si dovette rivolgere altrove, a partire dalla Grecia; ma le mutate caratteristiche della radica obbligarono a qualche cambiamento sia nelle lavorazioni che nell'aspetto del prodotto finito.
Il 1972 (1973) vide la nuova finitura Redbark, "corteccia rossa". Radica sabbiata e colorita in rosso: inizialmente un rosso medio, poi dopo due anni una tonalità più chiara che non ebbe molto successo. Nel 1976 si tornò a un rosso medio, nel 1987 s'interruppe la produzione. E' stata ripresa recentemente con il nome Rubybark. Redbark si può considerare la finitura più famosa fra quelle del "dopo Alfred".
Nel 1973 arriva la Dress. "Dress" come "vestito": perché? La ragione è semplice: una finitura liscia e nera come questa è quel che ci vuole per un abito elegante, perfettamente coerente con la mentalità Dunhill.
Del 1978 è l'esordio della serie speciale Collector: pipe ricavate a mano da plateau, la parte più nobile del ciocco.
Il 1979 (1980) è l'anno della finitura Cumberland: pipe sabbiate con coloritura bruna e bocchino tigrato in ebanite. Sono note alcune varianti. "Cumberland" perché questa finitura s'ispira ad alcune vecchie pipe Root Briar ritrovate nel magazzino londinese di Cumberland Road.
E' il 1983 quando esce la Chestnut, ovverosia "ippocastano". Stesse caratteristiche delle Cumberland, ma il fornello è liscio.
Nel 1986 è la volta della finitura County ("contea"). Sabbiate bruno chiaro con bocchini tigrati alla maniera delle Cumberland. L'anno successivo ne fu cessata la produzione, che è stata ripresa in anni recenti.
1988: appaiono le Russet, ossia "color ruggine": pipe lisce rosse-brune che restarono in vendita per un periodo brevissimo.
Un caldo arancione caratterizza le Amber Root, del 1995. Ricordano la finitura Root Briar, a volte hanno bocchini tigrati alla Cumberland.
Di limitata produzione, sono anche offerte con radica fiammata e in questo caso prendono il nome Amber Flame.
Ultima nata (1996) una serie davvero rara: le Ring Grain sono pipe fiammate di grande qualità sottoposte a sabbiatura e con coloriture diverse: quelle tipo Cumberland prendono il nome Shilling.
Al momento attuale la Casa Dunhill produce pipe Dress, Chestnut , Root Briar, Bruyere, Amber Root, Amber Flame, Shell, Cumberland, County, Ring Grain, Rubybark.
Ma c'è un altro particolare che non va trascurato. Lo mettiamo in fondo come la ciliegina sulla torta perché è un elemento importante, quello su cui si posano le labbra nell'atto di fumare: l'imboccatura del bocchino. Inizialmente era piuttosto spessa; negli anni Venti apparve il tipo Comfy (confortevole) più sottile; negli anni Trenta fu la volta del F/T o Fishtail: coda di pesce. Fino al 1976 i bocchini erano prodotti rigorosamente a mano, in quell'anno si passò a una lavorazione più industriale che dava luogo a imboccature spesse come quelle dei primi anni. Durò poco: i clienti mostrarono di non gradire; così si è tornati alla produzione manuale. Le imboccature di oggi sono intermedie fra quelle spesse degli inizi e la Comfy.
La storia di Casa Dunhill è fatta di uomini, soluzioni, dettagli più o meno minuti come quelli qui descritti; ma ciò che conta è l'idea generale che se ne ricava. Potremmo parlare di genio e regolatezza; di oggetti impeccabili e indimenticabili; di eleganza sobria e non urlata. Non è poco.
Milano, giugno 2013