Le mani ci raccontano più di tante parole. Le mani di una donna per esempio spesso ci parlano di casa, di carezze, di ricami e di scrittura. Nei loro gesti si intravede il carattere di quella donna, nella loro dimestichezza col resto del corpo se ne intuisce la disinvoltura. Ma è a contatto con la materia che se ne legge davvero, attraverso di loro, l’anima.
Per Karin le mani sono sempre state ottime compagne. Appendici femminili per conoscere e modellare il mondo intorno a sé, le hanno sempre fatto da portavoce delicato di una forza smisurata. Dall’alto del suo metro e ottanta poi, sono state proprio loro a farle prendere confidenza con lo spazio dentro e fuori di lei, uno spazio che per una donna della sua statura ha confini differenti dal resto dell’universo femminile e con questo deve fare i conti.
La prospettiva cambia se cambia il punto di vista, così negli anni, crescendo, è cambiata per Karin. Questo esercizio di continua ricerca di una nuova profondità l’ha abituata nel tempo a uno sguardo denso, concreto, pratico. Quando un pomeriggio di qualche anno fa, durante una fiera in America, dei visitatori dello stand del marito le hanno preso di prepotenza le mani per vedere se davvero avevano realizzato le pochissime pipe che quasi per gioco stava esponendo, si è sentita lusingata e allo stesso tempo un po’ infastidita. Perché a chi non sa leggere i segni che la creatività può lasciare fra le dita, le sue mani possono solo raccontare storie di donne, come tante. E mentre sentiva il calore di quegli sconosciuti mescolarsi al suo in cerca di calli o ruvidezze, ha avvertito per un attimo il calore della mano di suo padre di tanti anni prima, che allo stesso modo non la capiva fino in fondo. Aveva 11 anni e per la prima volta senza suo fratello aveva potuto organizzare come voleva le sue vacanze. Non era stato facile convincere i genitori, ma ce l’aveva fatta. Avrebbe voluto passare il suo tempo libero andando per mostre e musei. L’energia che può trasferirti un quadro o una scultura, quella riproduzione del mondo così soggettiva, quel rimescolare spazi, profondità, colori e materia per un risultato da catturarti il cuore, era il suo sogno. Aveva infatti poi scelto studi artistici e ora che aveva deciso di far vedere le sue prime pipe in pubblico, sentiva che il percorso fatto l’aveva agevolata a raggiungere in breve tempo certi risultati.
La mente è bizzarra, salta di pensiero in pensiero senza una vera connessione, almeno apparente. Così dopo l’immagine di lei bambina mano nella mano con papà davanti a un dipinto di Cy Twombly si è vista nel laboratorio del marito con alcuni pipemaker della scuola danese al tornio. È stato proprio lì che ha deciso che fare le pipe forse poteva essere una strada vicina anche al suo sentire, per continuare la sua ricerca personale di volumi anche in un oggetto così piccolo. Perché se la tecnica è svincolata, almeno all’inizio, dalla forma, perché non provarci? In fondo era la tecnica che la spaventava, lei che aveva sempre voluto dominare tutto, per indole, per statura. Se ripensa alle prime prove le viene da sorridere. Erano così scolastiche. Prendeva il pezzo di radica, ci disegnava l’idea di pipa che voleva realizzare e quella doveva essere, senza incertezze. Un’esecuzione precisa di un progetto studiato a tavolino. Un modo forse anche per darsi quella sicurezza che l’inesperienza le faceva mancare. Ma quando si tratta di fare, di creare, di plasmare con le mani, il suo senso pratico ed estetico non si tira indietro, così come la voglia di crescere e imparare.
Anni e anni di apprendistato alla vita in 3d, fra studi, insegnamento e sperimentazioni di nuove profondità d’arte e di quotidianità, adesso per Karin è cominciata una nuova fase, complice anche la nascita della sua prima figlia, Sara. Il suo approccio alla materia è diventato più istintivo, meno razionale. È come se avendo dato libero sfogo alla potenza creatrice per eccellenza che una donna porta in dote con sé dalla nascita, si sia riappacificata con la realtà, lo spazio e la sua necessità di controllarli. Uno spazio e una realtà che non hanno più bisogno di essere incasellati in un rigore prospettico da professoressa, ma che lascia salire dalla pancia alle dita la sua magnetica energia femminile. Le sue pipe, che ormai non fa più solo per gioco, ne sono la dimostrazione, con i loro volumi pieni, densi, quasi gravidi. Il suo logo poi ricorda tanto i punti cardinali per orientarsi in questo viaggio che ha tutta l’aria di portarla lontano. E le sue mani, con grazia, salutano.
Un ringraziamento particolare a Karin per il contributo dato alla realizzazione di questo articolo
Milano, giugno 2013