Abbiamo risposto con piacere ad alcune domande che Mircea Cioponea ha pubblicato nel suo splendido sito claymoorslist.com
claymoorslist.com: Lo devo ammettere, ogni volta che vado a Milano rimango affascinato dal vostro negozio in Via Torino. Entrarci è come entrare in un mondo senza tempo ricco di ricordi con quel suo stile così elegante. L’ultima volta che sono passato da voi ho acquistato un delizioso pigino di radica che tutti i miei amici mi invidiano. Avete aperto più di un secolo fa ormai, poiché era il 1905 quando Al Pascià apriva i battenti. Perché proprio a Milano e perché la scelta di vendere pipe? Ma soprattutto, da dove arriva il nome Al Pascià?
Al Pascià: Sì, la tradizione di Al Pascià ha più di cent’anni. Per la datazione esatta del negozio abbiamo avuto due riconoscimenti: quello della regione Lombardia come “storica attività” e quello del comune di Milano come “bottega storica”. Inoltre una ricerca che ha fatto la camera di commercio ha rinvenuto documenti di registrazione datati dicembre 1905, e si presume che l’apertura sia avvenuta più o meno nel gennaio del 1906.
Il negozio nasce nel palazzo Casati Stampa, un palazzo del XV secolo, uno dei più vecchi di Milano e della Via Torino e nasce per iniziativa di un industriale della pipa della vicina città di Pavia, il signor Carati. In quel periodo la pipa era fumata più di quanto non sia fumata la sigaretta ora e per dare un’idea di com’era la situazione della fabbricazione di pipe all’epoca, e di conseguenza della loro diffusione, basti pensare che in zona c’era la fabbrica Rossi che impiegava circa 800 operai e produceva 50 mila pipe al giorno, mentre Carati era intorno ai 500 operai. Insomma, una bella azienda. E il negozio, che originariamente si componeva di una piccola parte adibita alla vendita e nella parte sul retro invece di una parte dedicata alla riparazione, si pensa sia stato aperto per supportare la grande richiesta.
La scelta è caduta su Milano perché era insieme a Roma la città più importante d’Italia, si aggiunga a questo che la moglie di Carati era milanese. Via Torino poi era la Montenapoleone d’allora, famosa per i bei negozi, le belle vetrine ed era la via principale che portava al Duomo. Il motivo per cui negli anni abbiamo resistito dallo spostarci verso altre strade, come hanno fatto molti altri negozi, è perché abbiamo clienti di terza e quarta generazione che vengono da tutto il mondo. La pipa è legata ai ricordi più cari, la fumava il nonno, il bisnonno. I profumi che da bambini si sono stampati nella memoria hanno un potere incredibile e a noi piace coccolare il fanciullo che c’è in ognuno di noi. E così veniamo al nome, perché Al Pascià. Stare come un Pascià significa stare bene, un modo di dire tipico milanese e “Al” è semplicemente il moto a luogo. Da noi quindi, da Al Pascià, si va per stare bene.
L’artigianato è una delle eccellenze italiane ed ha una lunga tradizione. Si può dire ci sia una lunga tradizione anche nel fare pipe?
L’Italia è particolarmente legata alla realizzazione delle pipe per la vicinanza alle segherie più importanti e ai luoghi di estrazione della radica più importanti. La radica cresce solo nel bacino del Mediterraneo. Per quanto ci abbiano provato non si può coltivare. È un arbusto spontaneo che cresce solo nel medio collinare e vicino al mare. L’Italia è quindi per natura produttrice di radica. Soprattutto nel nord dalla fine dell’Ottocento si sono avute le più grandi produzioni che nel corso del ‘900 sono diventate anche eccellenze qualitative.
Perché gli italiani fumano così tanto?
Per lo stesso discorso di prima, per ricchezza nella materia prima di produzione della pipa, ma anche perché l’Italia per il tipo di clima e di suolo, è stato un posto dove anche la coltivazione del tabacco ha attecchito bene. Basti pensare al sigaro toscano. Si può quasi dire che ce l’abbiamo nel dna. C’è anche da considerare che la pipa è legata alla tradizione contadina e si tramandava di padre in figlio. Fumarla costava poco. In fondo basta una noce con uno stecchino di paglia e una pipa è fatta. La pipa poi è trasversale, tutti dal più povero al signore la possono fumare. È stata soppiantata negli ultimi decenni dal toscano e dal tabacco da masticare, ma il fatto che fosse diffusa tra i ceti sociali più bassi ha favorito certamente la sua diffusione.
Molti fumatori di pipa non amano sigarette e sigari. Come mai succede secondo voi? Cosa si trova di così soddisfacente in termini di qualità nella pipa?
A questo proposito ci piace sempre fare un paragone con il cibo, altra eccellenza del made in Italy. La sigaretta è il modo di fumare più lontano dalla pipa, è un po’ come un fast food di contro all’alta cucina. È veloce, preconfezionata e di qualità a volte dubbia. Il sigaro, pur essendo di una qualità superiore, resta comunque un preconfezionato, di livello ma preconfezionato, come quei piatti che si trovano nelle grosse catene di ristoranti che seguono la tradizione italiana, ma si perdono un po’. E poi arriva la pipa, il cibo che si trova nella trattoria stellata, di qualità, fatto al momento e se prendi confidenza, puoi addirittura farti un giro in cucina per seguire fino in fondo i tuoi gusti.
Sono comunque modi differenti di fumare. La pipa è più riflessiva, ha tutto un suo rituale, richiede una preparazione che per esempio la sigaretta non necessita. E se vogliamo andare ancora più per il sottile, la vera differenza è nell’immagine che uno ha di sé e che vuole dare al mondo attraverso quello che fuma. Il sigaro per esempio è stato una caricatura degli anni ottanta. Lo fumano i business man e gli uomini politici, mescolando arroganza e potere. La pipa può andare dallo scalatore al poeta, dall’avventuriero al riflessivo, senza arrivare mai all’eccesso dell’arroganza.
Esistono diversi tipi di pipa. Mi potete raccontare la storia di 5 fra le più comuni come la dublin, la billiard, la rhodesian, la clabash e la brandy? C’è secondo voi qualche differenza reale nel fumarle?
Sono tutte pipe che rientrano in una modellistica classica, modellistica classica che ha consentito delle variazioni sul tema. Più spesso la modellistica classica è presentata da manifatture che forniscono un prodotto replicabile. Le interpretazioni a questa modellistica classica aprono però la strada all’artigiano a mano libera, al cosiddetto free hand. In termini di fumabilità non esiste alcuna differenza tre le cinque citate. Ce n’è una sola che ha delle oggettive differenze di fumata ed è la Calabash, perché avendo una camera di raffreddamento del fumo tra il fornello del tabacco e la bocca del fumatore, consente un maggior raffreddamento del fumo durante la fumata. Le altre si possono differenziare in base alla dimensione, alla lunghezza, se sono pipe dritte o curve. Se a fumarla è un neofita, solitamente si suggerisce una forma classica e dritta. Una testa più capiente poiché se si è alle prime armi si tende ad aspirare di più e perciò a bruciare più tabacco. Deve avere un po’ più di spalla, deve quindi essere una pipa robusta. Questo perché aspirando molto si raggiungono altissime temperature all’interno del fornello e se c’è più radica la pipa è di conseguenza più resistente. Nella modellistica classica è tutto legato alla caratteristica di ogni singola pipa, le dimensioni possono essere una componente che può portare a diversità di fumata. Una pipa leggera te la puoi portare a passeggio. Una dublino di 100 grammi te la devi necessariamente fumare in poltrona, mentre una dublino slim da 20 grammi te la porti anche a spasso. Per concludere, diciamo che le differenze ci possono essere, oltre alla calabash, anche per gli altri modelli e dipendono principalmente da come sono stati interpretati.
Qual è la qualità intrinseca della radica? Perché non si costruiscono pipe con altri tipi di legno?
Il 99% della materia prima impiegata è la radica, perché ha caratteristiche che permettono di resistere di più alle alte temperature e il gusto che viene rilasciato durante la fumata è piacevole, il che non guasta. All’inizio magari non si percepisce, ma nel corso del tempo il vero fumatore di pipa ha il suo parco pipe. Questo perché benché siano fatte tutte della stessa materia, che poi è la radica, con l’esperienza si riesce a distinguere qual è il gusto della pipa che si combina bene con un certo tipo di tabacco. Non solo per come è fatta la pipa, ma proprio perché il gusto di quel tabacco si sposa bene col gusto della radica di quella precisa pipa. Questo è agevolato dal fatto che solitamente c’è una maggiore costante nella qualità del tabacco per pipa. Tra una scatoletta e l’altra il tabacco per pipa tende ad avere lo stesso sapore, cosa che invece può non succedere con diverse partite di sigari. Quello che fa la differenza quindi è il tipo di legno nel quale questo tabacco viene fumato. Per il 99% è erica arborea, ma c’è anche l’ulivo, il ginepro, il pero soprattutto nell’est Europa, il limone e altre essenze che danno tutte un gusto diverso e particolare. Bisogna inoltre specificare che ogni singolo pezzo di radica in natura è diverso sia per aspetto che per gusto e anche se arriva dallo stesso posto di estrazione, dallo stesso segantino, dallo stesso artigiano che poi l’ha lavorata, sembra incredibile, ma può dare sapori diversi.
In quali altri materiali si possono costruire le pipe?
Tra gli altri materiali ricordiamo il silicato di magnesio, chiamato anche schiuma e che viene scavato in prossimità del mare. Vale la pena menzionare anche l’erica fossile, una tendenza di questi ultimi anni. E’ un legno di palude con un’età che va dai 3 ai 5 mila anni e nonostante questo non è raro, perché le paludi ne sono piene. Il problema vero con l’erica fossile è ottenere un prodotto finito, perché essendo fossile è ovviamente molto dura e nella foratura si scheggia, con un’alta percentuale di rottura in lavorazione.
Le pipe di radica sono classificate in base alla purezza delle striature del legno. Cose si intende con la definizione “straight grain”?
Va detto che la purezza del legno è uno dei parametri nella valutazione di una pipa. Per la tradizione italiana si è più legati allo straight grain, detto anche all’italiana. E si presenta con linee verticali sul fornello. Più sono fitte e parallele, più la pipa è fiammata, fino ad arrivare ai capelli d’angelo quando la fiammatura è finissima. Alla base di tutto c’è una differenza nel tipo di taglio della radica in fase di lavorazione della pipa. Nello straight grain le linee partono dal centro del fornello e si diramano verso la parte alta. Invece nel cross cut o taglio all’inglese, si cambia il verso del taglio e le strisce sono sul davanti del fornello, mentre sui lati c’è il cosiddetto occhio di pernice. È solo un tipo diverso di taglio della radica, non è necessariamente questione di qualità.
Immaginiamo ora che io sia interessato a comprare la mia prima pipa da Al Pascià. Dovrei indirizzarmi su una bent o su una straight? Quale tabacco mi consigliereste?
Innanzitutto non spendere tanto nella prima pipa. Che sia di radica stagionata e che sia acquistata da un rivenditore autorizzato, questo sì, ma senza spendere una follia. Che sia il più dritta possibile perché è più facile da tenere accesa, con un fornello di media-grande capienza. Una pipa robusta, con pareti spesse e rifacendoci alle forme classiche, suggeriremmo una Pot. Per quanto riguarda il tabacco i suggerimenti sono un po’ più difficili. Chi si avvicina alla pipa di solito lo fa perché gli piace il profumo. La pipa è una cosa così soggettiva che non si può consigliare la stessa cosa a tutti. C’è chi ama un tabacco aromatico e chi invece lo detesta. È molto personale la scelta del gusto del tabacco. Possiamo al limite indirizzare sulla base delle esperienze del singolo fumatore. La prima domanda è: hai mai fumato e se sì cosa? Sulla base delle risposte possiamo dare un consiglio. Ecco, forse per dare un consiglio generale si può dire di sceglierne uno che non sia molto invasivo, il più naturale possibile. Non un tabacco che pieghi le ginocchia, ma qualcosa che sia di qualità. In sostanza diciamo che per i neofiti è bene investire meno sulla pipa, ma investire di più sul tabacco. Avere una buona pipa ma un tabacco scadente ti allontana dalla pipa, soprattutto se sei alle prime armi.
Quando sei un principiante e fumi la pipa, capita che ti imbatti in un sapore particolare prima che nel fornello si formi la camicia protettiva, sapore che può dare anche fastidio. Quale il vostro consiglio pratico da dare a tutti i nuovi arrivati in questo magnifico mondo?
Il rodaggio fa parte dell’innamoramento della pipa. Per far formare il cake, cioè la camicia di protezione fatta dai residui di combustione del tabacco che si appiccicano alle pareti della radica, ci vuole tempo. All’inizio senti il sapore del legno, c’è chi lo apprezza e chi no, ma anche quello è parte dell’innamoramento della pipa. Per chi non volesse passare da quell’esperienza, ci sono le pipe pretrattate. Se invece il fornello è vergine e cioè non è pretrattato con un velo protettivo fatto di cenere e segatura che crea l’effetto del cake, si può intervenire con del miele di acacia. Solo una lacrima da tirare ben bene all’interno lungo le pareti. La fumata sarà orribile all’inizio, ma i residui si appiccicheranno più in fretta e formeranno prima la camicia di protezione.
Avete sul vostro sito internet parecchie pipe che arrivano da pipemakers del nord Europa. Come mai questa passione per quell’area geografica?
Noi siamo innamorati delle pipe, al di là della geografia. Nel nord Europa c’è un’attenzione da più anni a un artigianato di alto livello e proprio nel nord Europa si raggruppano molti nomi importanti del panorama mondiale. Inoltre si sta diffondendo una grande attenzione all’artigianato alto di gamma e l’alto di gamma aiuta il miglioramento complessivo del prodotto. È un momento dove moltissimi giovani si stanno avvicinando a questo mondo. Si può dire si stia vivendo un momento di rinascita della pipa. C’è certamente una leggera concentrazione sulla Danimarca, paese dove la tradizione è molto più lunga. Ma ci sono anche le eccellenze tedesche, quelle giapponesi, quelle italiane. L’ultimo pipemaker che abbiamo inserito è un franco-brasiliano per esempio.
Potete per favore raccontarmi qualcosa di più su due grandi classici della pipa: la Dunhill White Spot e la Dunhill Red Bark?
White spot è il puntino bianco sul bocchino che contraddistingue il brand Dunhill. Sono state reintrodotte delle modellistiche prese dal passato e fatte rientrare in un’edizione limitata chiamata appunto White Spot. La Red Bark, finitura chiamata così fino agli anni ’70 e ora conosciuta col nome di Ruby Bark, si distingue per un finissaggio con sabbiatura rossa.
Ho visto che si possono comperare anche pipe a marchio “Al Pascià”. Qual è la storia delle vostre pipe?
Le pipe a marchio Al Pascià ci sono da sempre. Sono legate alla storia del negozio, nascendo da un produttore di pipe è sempre stato un marchio presente sul mercato. Non è più legato a una fisicità di produzione perché le pipe Al Pascià sono state realizzate in diversi laboratori artigiani. Ci sono serie che vengono fatte sempre. Per quanto riguarda la produzione attuale, tre anni fa abbiamo introdotto le classic lines pensate per essere fumate. Sono pipe leggere, al passo con i tempi. Visto che si riesce a fumare sempre meno al lavoro o al chiuso e si fuma sempre di più all’aperto, abbiamo privilegiato quelle pipe che sono facili da trasportare. La radica utilizzata è selezionata da Mimmo Romeo e sono radiche buone per il prezzo al quale vengono offerte. Sono prodotte con ebanite italiana e il tutto poi viene assemblato da diversi laboratori. Ci sono poi le pipe della serie Danish che seguono le caratteristiche costruttive danesi. Il bocchino è tirato a mano sempre in ebanite. Quello che da qualche tempo stiamo facendo è studiare le caratteristiche di ciascuna area di produzione e legare a queste un design caratteristico a marchio Al Pascià. Ci sono poi le pipe legate a speciali ricorrenze, che sono le pipe Hand Made. Per il nostro centenario è stata fatta la Al Pascià "La Centenaria".
Se doveste fare due o tre nomi di nuovi pipemaker davvero talentuosi, chi citereste?
Tra i nomi da citare c’è certamente Mimmo Romeo, che abbiamo già menzionato a proposito della selezione della radica per le pipe Al Pascià, perché oltre a essere un ottimo segantino, è da qualche anno anche un bravissimo pipemaker. Non si può annoverare tra gli emergenti, poiché è decisamente conosciuto, ma avendo poco più di 40 anni e essendo già arrivato a certi livelli, ci piace tenerlo d’occhio per vedere fin dove arriverà la sua creatività.
C’è poi Eder Mathias, un franco-brasiliano con origini italiane e tedesche insomma un mix di culture e paesi che si riversa perfettamente nelle linee delle sue pipe. E infine Axel Reichert, allievo di Rainer Barbi e perciò in linea con la migliore scuola tedesca, che è forse il meno conosciuto perché non parla inglese, ma ha un talento esagerato, fuori dagli schemi, come i suoi baffi.