A capitarci oggi sembra una meta come tante: col suo fascino certamente, attenuato però dalla facilità con cui la si raggiunge, dal poco tempo a disposizione, dalla serialità delle tappe d'un viaggio. Turisti di fretta, non possiamo nemmeno immaginare le emozioni del cacciatore di pellicce, dell'esploratore, dell'avventuriero di fine Settecento in giro per le Grandi Pianure del West americano quando solo ne sentivano parlare. Luogo mitico e indeterminato, descritto in termini così misteriosi ed elusivi da far sospettare fosse invenzione di quei guerrieri dalla pelle rossa; che però maneggiavano pipe da cerimonia molto reali, dal lungo bocchino in legno decorato con piume e capelli tinti, dalla testa scolpita in una pietra compatta e rossa come la loro pelle. Quella pietra, affermavano i nativi, proveniva da un luogo sacro in alto sulle grandi pianure. Là era la fonte delle pipe.
Da parecchi anni George Catlin, pittore e scrittore, batteva i territori dell'Ovest al seguito di missioni geografiche o militari. Osservava e documentava i costumi, le storie, le tradizioni degli Indiani: prima che la marea montante dei coloni travolgesse tutto. Della cava di pietra rossa sapeva già da qualche anno: voleva assolutamente arrivarci. Si mise in viaggio nel 1836 assieme a un giovane inglese, Robert Serril Wood e a una guida indiana: O-Keep-Kee. La via più consigliabile (ma non certo agevole) passava sull'acqua. Partirono dall'angolo più a Est del lago Erie per poi raggiungere l'Huron, il Michigan, i fiumi Fox, Illinois, Mississippi, Minnesota. Viaggiavano su piccole imbarcazioni che all'occorrenza tiravano in secco per portarle a braccia oltre la cascata, le rapide, il tratto di terraferma... Ma andavano anche a piedi o a cavallo, quando si poteva: in questo modo fecero un bel tratto del Minnesota River fino ad arrivare a un piccolo avamposto commerciale dove un discreto gruppo di ostili guerrieri Sioux li bloccò.
"Sappiamo che andate alla cava, perché?" "I visi pallidi prima valutano i nostri beni e poi ce li tolgono!" "Questa pipa rossa è stata data agli uomini rossi dal Grande Spirito!" "Questa pietra è parte della nostra carne!" "I bianchi sono una grande nuvola che s'innalza a Est: finirà per coprire tutto il Paese!" "Sappiamo che vi prenderete tutto, ma se vi azzardate a toglierci anche la cava la pagherete!" "Mai nessun bianco c'è stato. Tornate indietro!".
Catlin era abituato a trattare con gli Indiani. Con calma e fermezza giurò che voleva solo vedere quella grande meraviglia, affermò e ribadì più volte che non voleva far nulla di male, ma che nessuno l'avrebbe fermato. In realtà almeno un europeo, il commerciante di pelliccie Philander Prescott (cinque anni prima, per la precisione) era già stato alle cave. Forse quei guerrieri non erano informati o Catlin non riferisce tutto nelle sue memorie; ma le parole concitate dei Sioux ci dicono quanto importanti fossero per la loro cultura la sacra pietra rossa e le pipe.
I Pellerossa avevano una profonda religiosità legata all'ambiente nel quale erano immersi: di fronte al Sole, alla Luna, alle cascate, al fuoco, alle rocce provavano timore reverenziale. Soprattutto temevano gli spiriti maligni. Nel fumo del tabacco vedevano il miglior mezzo per invocare protezione alle creature soprannaturali: la sua stessa eterea natura li portava a credere che anche la pipa e i materiali di cui era fatta fossero doni preziosi del Grande Spirito. Non c'era rito, decisione importante, accordo solenne che non comportasse il fumo. Avevano una pipa e un cerimoniale preciso per ogni occasione. Sacra era la raccolta del tabacco, sacra l'estrazione delle pietre per la pipa. Più sacra di tutte la cava alla quale George Catlin, con grande determinazione, era diretto.
Il giorno dopo i tre uomini ripresero la marcia, e nessuno li fermò. "Per un centinaio di miglia _ racconta Catlin _ traversammo una splendida prateria fino al posto commerciale di Joseph Laframboise, un vecchio amico che aveva sangue indiano nelle vene e si unì a noi per l'ultimo tratto. Mancavano alcune decine di miglia quando, procedendo verso Ovest, iniziammo a scorgere all'orizzonte come una nuvola azzurra: era il Coteau des Prairies. Prendemmo poi a risalire quei suoi terrazzamenti appena accennati, quasi non avvertendo la pendenza, finché non ci ritrovammo proprio nel luogo che giustificava tutti i nostri sforzi".
Oggi non ci vuol molto ad arrivarci: venendo da Est sulla Interstate 90 si devia verso Nord un po' prima di Sioux Falls. Il Coteau des Prairies, altopiano d'origine glaciale, interessa centosessanta chilometri da Est ad Ovest e trecentoventi da Nord a Sud tra il South Dakota orientale, il Sud-Ovest del Minnesota e il Nord Ovest dell'Iowa. S'innalza sulla pianura fino a 275 metri ma la pendenza è talmente ridotta che quasi non ci si rende conto di salire, in un verdissimo paesaggio di basse colline dai dolci rilievi. E' nella sua parte meridionale, ancora in Minnesota ma vicinissimo al confine con il South Dakota, l'abitato di Pipestone. Imboccata la Reservation Avenue non si può sbagliare: in fondo alla via c'è solo il parcheggio del Pipestone National Monument.
Già alla pubblicazione delle sue memorie accusarono George Catlin d'aver troppo lavorato di fantasia, e lo stesso scrittore in parte ammise. Ma, depurato da qualche eccesso, il suo resoconto disegna una sostanziale verità. Frequentata per secoli dai nativi delle Grandi Pianure, Pipestone non fu forse l'Eden degli uomini rossi ma nemmeno una semplice cava di pietre. Le tante leggende lì ambientate; il significato simbolico e cerimoniale attribuito ai sei massi erratici di granito e alla cresta di quarzite rossa alta nove metri che si eleva per la lunghezza di due miglia; i tanti graffiti raffiguranti uomini e animali selvaggi: tutto fa pensare a un luogo di culto nel quale celebrare riti propiziatori per l'estrazione della pietra rossa ma anche eventi solenni legati alla socialità di quelle genti. Luogo talmente sacro che per molti secoli ogni tribù delle Grandi Pianure vi ebbe accesso. Al momento di entrarvi, tutti deponevano le armi: alla cava lavoravano in pace, gomito a gomito, anche i guerrieri di tribù in guerra tra loro.
Chi visita oggi Pipestone ha da seguire un percorso obbligato ad anello lungo più d'un chilometro, movimentato da un torrente con cascata che precipita dalla parete rocciosa in quarzite, incontrando diversi tipi di vegetazione che almeno in parte ripropongono l'originaria prateria. Una deviazione porta alle "three maidens", le tre fanciulle: i più grandi fra i massi erratici di cui abbiamo detto, letti dalla tradizione indiana come potenti entità soprannaturali cui presentare offerte di cibo e tabacco. Si può fare il giro guardandosi semplicemente intorno; chi invece cerca di capire e rivivere le emozioni di coloro che per tanto tempo si accostarono con reverenza a questi luoghi, forse porterà a casa un ricordo più intenso.
Catlin non si limitò ad annotare costumi e leggende, a descrivere persone e luoghi con la penna e la matita: prese anche campioni di pietra da pipa portandoli poi a Charles Thomas Jackson, mineralologo di Boston. Appurato che era un minerale non ancora noto, Jackson ritenne necessario dargli un nome, e scelse "catlinite". Questa, per i Pellerossa, era un dono del Grande Spirito: la prima pipa era stato lui stesso a ricavarla dalla sacra pietra . Secondo una leggenda il colore è quello del sangue di tanti bisonti uccisi, per cibarsi, dal Grande Spirito; secondo un'altra viene dal sangue di moltissimi uomini sopraffatti da un grande diluvio. I geologi invece assicurano che un mare, circa un miliardo d'anni fa, occupava quella parte del mondo. Sul fondo s'erano depositate stratificazioni di sabbia, poi d'argilla, poi nuovamente di sabbia; successivi eventi geologici le assoggettarono ad alte pressioni e temperature portandole a solidificare: così la sabbia diventò quarzite, dall'argilla venne la catlinite. Agli ossidi di ferro si deve il tipico colore rossastro.
Dall'insieme di queste stratificazioni, sepolte sotto il piano di campagna di Pipestone, ha origine la cava. Non c'è da aspettarsi qualcosa di grandioso ma solo un certo numero di grandi buche scavate a lato d'un sentiero; accanto ad esse grandi ammassi di pietroni piatti: il tutto circondato dal verde della campagna.
Chi viene a estrarre la pietra da pipa deve iniziare asportando il terreno da una modesta area contigua a quella già scavata, fino a scoprire lo strato superiore di quarzite; questo va distaccato da quelli sottostanti e poi, in pezzi, scaricato sul mucchio di pietre piatte; l'operazione si ripete per tutti gli strati di quarzite fino a scoprire quello (o quelli) di catlinite. Detto così sembra facile, ma gli strumenti in uso sono badili, picconi, cunei da infilare nelle fessure, mazze, leve. La quarzite è estremamente dura, e martellando si rischia d'esser colpiti dalle schegge. Lo strato di catlinite è invece così fragile che qualsiasi azione troppo violenta per liberarlo dagli strati superiori (o distaccarlo da quelli inferiori) può danneggiarlo. Ecco una delle ragioni per cui non si usano attrezzi più aggiornati.
Poiché il fronte di scavo è da una parte e gli ammassi degli scarti dall'altra, è facile dedurre che la cava, nel tempo, "viaggia". Il problema, per i cavatori, è che la vena sprofonda sempre più nel terreno. Anche se l'estrazione s'intensificò fra il 700 e il 1200 dell'era cristiana, gli archeologi collocano attorno al 1000 avanti Cristo la scoperta della cava; a quei tempi la catlinite quasi affiorava e _ raccontò qualche indiano ai primi europei arrivati a Pipestone _ a portarla allo scoperto furono gli zoccoli delle mandrie di bisonti nei loro stagionali spostamenti.
Gli archeologi hanno trovato, nei pressi dei Pipestone, le tracce di antiche e sanguinose battaglie fra Indiani: probabile posta in gioco, il controllo della cava. Seguì, se i racconti sono veritieri, il lungo periodo della loro pacifica apertura a tutti; ma a inizio Ottocento, quando arrivò Catlin, esse erano sotto il controllo dell'Alleanza Sioux e della tribù Yankton in particolare. Nel 1803, peraltro, tutte le terre fra il Missouri e il Mississippi erano state cedute da Napoleone al Governo americano; i pochissimi europei sparsi fra forti e avamposti commerciali o in movimento come mercanti di pellicce, avventurieri, cartografi erano solo l'avanguardia di quella "nuvola che s'innalza a Est" così temuta dagli Indiani. Le narrazioni di Catlin avevano sì stuzzicato la curiosità di tanti, ma ben altre erano le ragioni che spinsero la marea dei coloni a sciamare verso Ovest. Negli anni Cinquanta dell'Ottocento anche le tribù Sioux attorno a Pipestone si avviarono alle riserve; con il trattato del 1858 gli Yankton strapparono però una clausola in più: ad essi era riservato l'uso libero e illimitato della cava; la zona di 648 acri (262 ettari) che la comprendeva venne delimitata e interdetta alla colonizzazione. Ma la "nuvola" era incontenibile: per molti anni infuriò la battaglia fra chi difendeva quelle terre e chi voleva impadronirsene, finché non intervenne nuovamente il Governo. Dal 1928, dietro adeguato compenso agli Yankton, la zona fu proprietà federale; nel 1937 passò al Congresso, controfirmato poi da Franklin Delano Roosvelt, il disegno di legge costitutivo del Pipestone National Monument. Il territorio definitivamente protetto era però solo un quinto di quello del 1858: da 648 acri a 115; da 262 ettari a 54; col tempo altri terreni sono stati inclusi, arrivando oggi a 301 acri, 121 ettari. S'è salvata la parte Sud, la più significativa: poteva andare anche peggio.
Scesi dall'auto, entrati nel Visitor Center, pagato il biglietto, superati il banco informazioni e l'auditorium dove si proietta un video, si arriva alla sezione "museo" nella quale si ha un primo contatto con la storia del luogo e delle pipe guardando pietre rosse provenienti da altre cave negli Stati Uniti (Pipestone non fu l'unica ma è la più nota; ci furono anche altri tipi di pietra da pipa) oggetti della cultura nativa americana, testi e immagini sulle prime esplorazioni da parte degli europei. Dal Museo si passa all'Interpretation Center: area che la Pipestone Indian Shrine Association, organizzazione senza fini di lucro nata per preservare le tradizioni indiane, gestisce in partnership con l'amministrazione del Monument. Si approfondisce qui il rapporto fra i nativi americani e la cava di Pipestone, s'inizia a capire che cosa poi si vedrà all'esterno. Si possono toccare lastre di catlinite, un materiale realmente "nato per le pipe": cedevole tanto da esser lavorato agevolmente ma solido (a meno di non buttarlo per terra) e resistente al fuoco. Ci si fa un'idea della storia geologica del luogo come della varietà d'erbe della prateria: alcune usate dai nativi per preparare il " kinnikinnick" (miscuglio comprendente il tabacco selvatico da fumare nelle pipe) e altre per curarsi. Dietro un divisorio si scoprono tredici grandi pietre che una volta circondavano le "Three maidens": ognuna decorata da antichi graffiti. Non manca una piccola galleria d'oggetti e perline fatti di catlinite, poco più in là alcuni grandi diorami: uno mostra i Pellerossa nella cava intenti al loro lavoro. In due distinte postazioni, pipemakers nativi americani danno dimostrazioni dal vivo impegnandosi in alcune fasi del loro lavoro. Oltre a tutto questo, sempre gestito dalla Shrine Association, non poteva mancare il gift shop.
Insieme ad altri oggetti, souvenir, materiale di documentazione, c'è un notevole assortimento di pipe in rossa catlinite. La sua cavatura è patrimonio storico dei nativi americani; ma se il trattato del 1858 riguardava solo gli Yankton, oggi questo privilegio è esteso ai membri di ben 23 tribù. I permessi sono in gran parte annuali, con possibilità di rinnovo: chi si vede assegnata una postazione è l'unico a poterci lavorare per un anno intero; in realtà sono pochi mesi, in genere fra la tarda estate e l'autunno, per via di inverni molto rigidi e frequenti allagamenti delle buche. Gli unici strumenti consentiti sono quelli, molto semplici, che già abbiamo descritto: il materiale da prelevare è fragile; la tradizione e il valore spirituale dell'attività vanno rispettati; se si vuol conservare attiva la cava ancora a lungo, questa non può esser sfruttata intensivamente. Per i cultori degli usi antichi è anche importante che la realizzazione delle pipe sia opera di nativi americani, e così è perlomeno a Pipestone.
Per i più ortodossi, comunque, tutta la realtà del Pipestone National Monument è un amaro compromesso: non amano che le pipe siano vendute a chiunque quando anticamente erano donate o barattate fra Pellerossa e spesso costruite dalle stesse persone che poi le avrebbero usate. Non amano che il loro luogo sacro sia diventato un'attrazione per turisti, che le pipe da cerimonia siano esposte montate quando in passato bocchino e testa erano assemblati solo qualche momento prima dell'uso. Ma spesso i compromessi sono il minore dei mali, e quello di Pipestone è accettabile se serve a preservare un'area altrimenti in pericolo, se i visitatori hanno un minimo di sensibilità e rispetto.
Le pipe del gift shop, assieme a quelle più antiche visibili intorno, consentono di farsi un'idea di tante diverse tradizioni e fogge. La più comune fra le teste, molto usata al tempo dei primi europei, è quella semplice a forma di "T" rovesciata; interessante il tipo "quattro venti" caratterizzato da altrettanti anelli incisi: è legato all'uso cerimoniale di fumare nelle quattro canoniche direzioni. Aggiungiamo la curiosa "MicMac", la "Crest" decorata con una cresta, quella ad artiglio d'aquila, la "Buffalo" con la figura d'un bisonte, quelle col cavallo e con l'orso. La "Elbow" (a gomito) è la più comune fra quelle destinate non a cerimonie ma a uso personale; la "Hatchet" (a forma di scure) fu prodotta da europei che la offrivano ai nativi in cambio di altri beni. Altre teste sono decorate colando piombo in alcune scanalature appositamente ricavate: in tempi storici il metallo proveniva dai proiettili delle armi da fuoco. Vi sono modelli ancor più particolari realizzati su ordinazione. Alla testa va abbinato il lungo bocchino: ne sono stati fatti di canna e di catlinite ma i più comuni sono di legno. Il foro per il passaggio del fumo si fa tagliando longitudinalmente in due il bastone, scavando due incavi per tutta la lunghezza e poi riassemblando; oppure mantenendo integro il bastone e forandolo con l'aiuto d'un filo metallico incandescente.
Al gift shop raccontano che dagli anni Cinquanta del Novecento fino ai Settanta le pipe erano vendute il più delle volte come souvenir, curiosità esotiche da arredamento. Più recentemente è aumentato, e sta aumentando, il numero di coloro che invece le acquistano per farne uso nelle cerimonie che non pochi nativi americani hanno riportato in vita: il fascino delle antiche tradizioni fa proseliti. Per questo, ora, i pipemakers curano meglio la fumabilità di questi oggetti a partire da fornelli più capienti. La flora della prateria, nella quale ci s'immerge uscendo dal Centro e percorrendo il sentiero, è un elemento importante di Pipestone: non per nulla era da questo insieme di piante che gli Indiani ricavavano quanto loro necessitava per curarsi e fumare. Il " kinnikinnick", particolarissimo blend ante litteram, abbinava al tabacco selvatico (che raramente era fumato da solo) una serie d'altre specie: corbezzolo, menta, menta piperita e/o rosa canina, sommacco glabro, salvia bianca, corniolo rosso e altri. Ognuno componeva la miscela secondo i suoi gusti personali, come del resto succede a tutti anche oggi. Molta cura è stata dedicata (e lo è tuttora) alla ricostituzione della flora originaria; e poiché la salute della prateria, che una volta copriva estensioni immense, era legata anche a periodici incendi causati dai fulmini, qui gli incendi vengono provocati artificialmente, con tutte le precauzioni del caso.
Il Pipestone National Monument fa parte del sistema dei parchi nazionali americani ma non è dei più noti; la stessa zona dov'è ubicato la visitano più gli americani che gli europei: consideriamolo pure una meta minore. Ma per chi fuma la pipa ed ha il gusto di guardare alle sue gloriose origini, potrebbe essere tutto un altro discorso.
Indirizzo:
Pipestone National Monument
36 Reservation Avenue
Pipestone, MN. 56164
Tel. +1 507-825-5464
Fax +1 507- 825- 5466