Spazzare i pavimenti, lucidare i bocchini da sigarette in avorio per il Signor Umibata dalle sei del mattino alle dieci di sera, salvo i brevi intervalli per i pasti: lavoro duro, per un orfano appena tredicenne. Ma non era tipo da scoraggiarsi, Kyoichiro Tsuge. La forza di reagire la trovò dentro di sé; la passione per il lavoro fatto bene, il gusto per il bello, la fierezza per quel che realizzava erano forse dono dei suoi antenati: quella del padre Tomosaburo era stata una famiglia di maestri spadai con lo status di Samurai; la madre Kei discendeva dal famoso forgiatore di lame Kanewaka. Al laboratorio del Signor Umibata, a Tokyo, Kyoichiro era arrivato poco dopo aver perso entrambi i genitori, su consiglio dello zio titolare di un negozio di sigarette; fu lì che giorno dopo giorno, anno dopo anno imparò il mestiere fino a diventare maestro artigiano. Nel 1936, a ventisei anni, fu pronto per due importanti svolte della sua vita: aprire il suo personale laboratorio, sposare Tamae. Nasceva così e allora, per fabbricare bocchini da sigarette, quella che è oggi la maggior Casa giapponese nel campo delle pipe.
Dopo la restaurazione Meiji del 1868, quando sotto la pressione delle potenze americane ed europee il Giappone uscì dall'isolamento avviando un radicale processo di modernizzazione, gli avi di Kyoichiro avevano avuto seri problemi: alcuni editti imperiali avevano fortemente limitato l'uso di portare in pubblico quelle splendide armi da taglio tradizionali nella cui fabbricazione essi eccellevano, costringendoli a interrompere o riconvertire l'attività. Sessant'anni dopo, con la nuova impresa del loro discendente, l'eccellenza artigiana di famiglia riviveva in un campo nuovo e insieme antico: i bocchini servivano per le sigarette, allora in grande ascesa nelle preferenze dei fumatori; le tecniche per realizzarli in avorio erano le stesse che per secoli gli artefici avevano perfezionato nel creare tanti raffinati oggetti, primi fra tutti i netsuké.
C'era molta richiesta: gli affari ingranarono fin dall'inizio continuando anche dopo il 1941 a guerra iniziata; ma poi vennero le difficoltà di approvvigionamento, le limitazioni ai beni di lusso; l'intero stock di bocchini fu sequestrato, Kyoichiro fu arruolato in Marina e i macchinari, riconvertiti, servirono a fabbricare calci di fucile. A guerra conclusa fu possibile recuperare i bocchini vendendoli con gran guadagno, il loro prezzo s'era più che triplicato: fu così che la società riuscì a rilanciarsi; poiché scarseggiava l'avorio, i nuovi bocchini furono in legno di ciliegio. Ma nel Giappone post bellico occupato tutto scarseggiava, perfino le cartine per sigarette; in compenso c'era in giro molto tabacco da pipa, e le foto del generale Douglas MacArthur con la sua pipa di granturco alla bocca innescavano una discreta emulazione: la buona possibilità che si presentava non sfuggì a Kyoichiro, e il legno di ciliegio trovò un nuovo profittevole impiego nella fabbricazione di billiard e di bent. Il lavoro cresceva, venivano ingaggiati sempre nuovi artigiani sottraendoli anche ai fabbricanti di manici da ombrello.
Parte notevole della produzione era rivolta ai soldati e ai civili americani: pipe souvenir sul cui fornello erano scolpiti motivi giapponesi tradizionali quali il monte Fuji, geishe, i sette Dei della buona fortuna, il Santuario Toshogu di Nikko; su altri fornelli gli stessi soggetti erano laccati a colori sgargianti; oltre alle pipe, su richiesta delle Autorità di occupazione, Tsuge produsse un buon numero di souvenir in avorio utilizzando dai venti ai trenta intagliatori specializzati. L'insieme di queste attività aggregò un gruppo di autentici artisti pronti a riversare la loro bravura anche nelle pipe: sì, perché proprio a queste era dedicata sempre maggior attenzione; e quando negli anni Cinquanta fu finalmente disponibile radica di ottima qualità, non fu un problema tramutarla in buoni arnesi da fumo. Fra gli anni Sessanta e i Settanta del Novecento vi fu il picco di produzione, favorito anche dal grande afflusso di soldati e civili americani verso il Vietnam. Tsuge esportava ormai in molti Paesi dell'area e già si faceva conoscere in America ed Europa; ma ancora mancava qualcosa perché diventasse una realtà di livello mondiale: così nella seconda metà degli anni Settanta, a più riprese, i sei migliori Maestri della Casa presero l'aereo diretti in Danimarca e Italia.
Furono accolti in laboratori molto noti, fra i migliori; non sapevano né il Danese né l'Italiano. Nessuno scambio di parole fra i Maestri autoctoni e i loro ospiti ma un dialogo serrato di sguardi, un'immediata intesa fatta di stima e curiosità: in mancanza d'un lessico comune valeva il linguaggio universale del fare. La perizia, i sottili segreti erano trasmessi con naturalezza, appresi istintivamente e impressi nella memoria: un'osmosi, uno scambio intenso fra Oriente e Occidente che in qualche modo segnò anche Danesi e Italiani ma diede soprattutto agli ospiti giapponesi quel prezioso bagaglio di tecniche e impalpabili sensibilità che, tornati in patria, avrebbero messo a frutto. Memorabile in particolar modo l'incontro del grande Kazuhiro Fukuda con il Maestro danese Sixten Ivarsson. A Fukuda fu affidato il nuovo progetto Tsuge per la creazione di pipe freehand di ispirazione europea ma con un tocco di Giappone. Le prime prodotte furono denominate "Jimmu" come il primo imperatore giapponese: l'idea era di passare di anno in anno da un imperatore all'altro così da creare un utile sistema di datazione; ma prevalse quasi subito la scelta d'un marchio fisso con il quale contrassegnare tutte le pipe d'alta gamma fatte interamente a mano: "Ikebana". Con Ikebana quel "qualcosa" che mancava fu raggiunto e la Casa di Tokyo conquistò anche i mercati più difficili. "Il Giappone - dissero in Europa e America - ci ha venduto fotocamere, moto, automobili; ora ci offre anche le pipe".
Il 29 Aprile 1981, giunto all'età di settant'anni, Kyoichiro Tsuge ricevette dall'Imperatore in persona l'Ordine Giapponese del Tesoro Sacro di Quinta Classe: ambitissimo riconoscimento per il suo lungo impegno nell'industria della pipa. Ma la sua attiva presenza nell'impresa di famiglia, al fianco dei tre figli, è proseguita fino alla fine della sua vita: a novantanove anni, nel 2010. Oggi Tsuge è una solida realtà produttiva insediata in parte nelle vicinanze di Tokyo in parte nel centro della città: è nello storico quartiere di Asakusa, affollato di laboratori artistici e artigianali, il quartier generale della Società, proprio in quell'edificio dove Kyoichiro abitò per gran parte della vita.
Le Ikebana hanno un indubbio approccio internazionale; più decisamente giapponesi sono altre pipe Tsuge dalle finiture in metallo, dai particolari in bambù, dalle laccature raffinate. Ma quel che accomuna tutti i modelli è la coerente, puntigliosa, ostinata ricerca della perfezione. La cercò sempre Kyoichiro, la cercano tenacemente i suoi eredi. La cercarono orgogliosamente per secoli gli antenati forgiatori di lame.
Un ringraziamento particolare alla famiglia Tsuge per il contributo dato alla realizzazione di questo articolo
Milano, gennaio 2015