Ci sono gesti che compiamo senza nemmeno accorgercene, per abitudine. Per esempio ogni mattina ci svegliamo, ci laviamo, ci vestiamo. E all’interno di quelle singole azioni ci sono piccoli automatismi che abbiamo escogitato per renderci il tutto ancora più facile, più comodo, più veloce. Lo stesso vale per altre cose che facciamo nell’arco della giornata, in un susseguirsi di inconsapevoli frammenti di vita che pare ci facciano risparmiare del tempo. Si aggiunga a questi una serie infinita di nuove invenzioni che negli ultimi anni hanno avuto l’unico scopo di accelerarci l’esistenza, per riempircela negli spazi vuoti con altri bisogni, più o meno reali. Ma a che serve guadagnare qualche minuto di futuro sapendo che lo ipotecheremo immediatamente? Consci fra l’altro che abbiamo perso il piacere di gustarci il presente. Questo post nasce da una riflessione sulla velocità del nostro tempo che fagocita i cuori e le menti e sulla necessità di mantenere intatti alcuni scampoli di lentezza dove potersi rigenerare. Almeno ogni tanto.
Farsi dare il buongiorno da una canzone per Ugo è ormai una consuetudine. La sua radiosveglia è sintonizzata sulla sua stazione preferita, molta musica e poche parole, e tutte le mattine alle 7.30 suona. Oggi è stata la volta di Take it easy degli Eagle. Questa volta più di altre Ugo ha pensato ad un segno del destino. Sembra una buona giornata, nonostante le mille cose da fare. Ma come dice la canzone, prendiamocela con calma, almeno per una volta. Mentre si veste la testa in automatico è già proiettata sugli impegni che lo aspettano, sulle cose da dire e da organizzare. Pare non abbia fatto effetto fino in fondo il ritornello ipnotico con quella “eeeeeeee” trascinata di “easy”. Ecco che però al momento di allacciarsi i bottoni della camicia, operazione per la quale ci vuole sempre un po’, Ugo si ferma un attimo. Basta correre. Il tempo dedicato a quei bottoni in fondo è un tempo che lui può dedicare a se stesso. Così quella mattina, per lo stesso motivo, decide di indossare dei pantaloni senza cerniera, ma con i bottoni. Lo stesso fa con il giubbotto che viene sostituito dal cappotto e dai suoi grandi bottoni. E ad ogni asola riempita sente che la sua clessidra personale acquista qualche granello di sabbia. Gli viene in mente un’illustrazione vista chissà dove giorni prima di un tizio del 1947 vestito di tutto punto dove, con colori diversi, l’illustratore aveva indicato tutti i bottoni che portava addosso (http://www.ilpost.it/giacomopapi/2014/09/25/mattina-decisi-contarmi-i-bottoni/). Ben 70. Un’enormità, pensa Ugo, rispetto ai suoi. Eppure c’era qualcosa allora come ora che gli faceva provare dell’invidia per quel signore e non era per il numero di bottoni che all’epoca erano anche sulle mutande, ma sicuramente per il tempo che quel signore poteva dedicare a sé.
La giornata sembra essere partita con questo leit motiv: Take it easy. Facile forse finché si rimane a casa. Là fuori poi c’è un universo che gira vorticosamente e se ci entri non ne esci più, Ugo lo sa. Un caffè veloce al bar e poi via al lavoro. Nel frattempo una sbirciata dall’ipad alle notizie dei quotidiani, la testa bassa sul monitor, l’indice e il pollice che toccano, allargano, scorrono senza sosta. Parole immateriali che scivolano via da una schermata all’altra. E intanto Ugo ha già preso due mezzi pubblici, ha già fatto qualche telefonata, percorso tratti di strada a piedi e attraversato dei corridoi. Ora è in ufficio. Mentre si slaccia il cappotto di nuovo quel pensiero al tempo dei bottoni. Ugo alza gli occhi e guarda dalla finestra. C’è una bella giornata. Non se n’era nemmeno accorto. Take it easy gli ronza di nuovo nella mente. E così, in mezzo alla frenesia di una qualunque mattinata lavorativa, decide di riscoprire il sapore di antichi piaceri, quelli che erano sintonizzati sul tempo della vita e non su quello della tecnologia, sul tempo della natura e non su quello del business. Per prima cosa decide di andare a comprarsi un giornale. Sì, un quotidiano vero e proprio. La carta gli sembra quasi rivoluzionaria. La consistenza, il rumore, l’odore, tutte e due le mani che partecipano alla lettura. E il vento che si genera ogni volta che gira una pagina Ugo non se lo ricordava più. Gli vengono in mente ricordi di bambino. Rivede suo padre. Gli sembra di sentire ancora le sue mani forti attraverso il fazzoletto che gli soffiavano il naso. Quando lo faceva la mamma era più delicato, ma se lo faceva lui sembrava glielo staccasse ogni volta. Però poi il naso era davvero pulito. Che soddisfazione. Ma che fine hanno fatto i fazzoletti di stoffa? Ogni giorno papà ne prendeva uno pulito dal cassetto e se lo metteva in tasca. Forse lo fa ancora, pensa Ugo. Chissà. Sono abitudini difficili da cambiare, fortunatamente. E in questo percorso a ritroso nel tempo gli viene una gran voglia di accendersi una pipa. In tutta la sua vita accelerata, il piacere del fumo lento papà è riuscito a tramandarglielo. E mentre cerca nella sua borsa il tabacco, sente risuonargli nella testa di nuovo il ritornello di “take it easy”. Forse oggi è il giorno giusto per andare a farsi fare la barba in una di quelle barberie che stanno sempre più popolando il centro storico. Occhi chiusi, vapori che esalano da panni caldi, creme ed essenze varie, e infine il rasoio nelle mani di chi sa leggere sul tuo viso quello di cui hai bisogno. Ugo entra nella prima che incontra e chiede se c’è posto. A tagliare sono in tre ma gli dicono che c’è da aspettare un’ora. C’è molta gente. Chissà che non sia l’inizio di una nuova lenta e positiva tendenza, pensa. Aspetterà. Si siede, apre il suo giornale e si infila la pipa spenta in bocca. La vuole comunque vicina in questo momento. Qualcosa gli pizzica il naso. Appoggia il giornale, rovista nelle borsa alla ricerca del pacchetto di fazzoletti di carta che di solito ha sempre con sé, ma non lo trova. Poi ci pensa un attimo e mette la mano nella tasca dei pantaloni. Con sorpresa ne trova uno pulito di cotone. Take it easy.