"Morbida e leggera come un sogno fugace, cremosa, delicata e dolce come la carnagione d'una fanciulla": così un libro americano del 1894 descrive un materiale, anzi un oggetto caro ancor oggi a molti fumatori. Una pipa da guardare, maneggiare con cura, riscoprire ogniqualvolta la si estrae dalla custodia; capace di procurare sensazioni nette e diverse: un'onda di emozioni travolgente come quelle del mare.
"Schiuma di mare" la chiamano. Ma è davvero schiuma? In effetti la sua natura porosa può richiamare quella spuma che a volte si deposita sulla battigia: che si sia solidificata per noi, per farci gustare un fumo particolarissimo e diverso? Non è così. Nemmeno è determinante il fatto che, se buttata in mare, galleggia come schiuma: vero, ma poi, impregnandosi d'acqua, va lentamente a fondo. Probabilmente all'origine del nome sta un fortunoso passaggio da alcuni termini turchi alla parola tedesca "Meerschaum", tradotta poi in "sea-foam", "écume de mer", schiuma di mare... Ma furono poi la fantasia, un senso di magico e di esotico, l'astuzia d'un marketing prima del marketing a consolidare il singolare abbinamento fra il materiale e quella denominazione.
Si deve al mineralologo Ernst Friedrich Glocker, nel 1847, la denominazione "sepiolite" per via d'una certa somiglianza con gli ossi di seppia, ma con le seppie nulla ha a che fare; e nemmeno con miriadi di gusci di conchiglia depositatisi in tempi remoti in fondo al mare... La schiuma di mare è semplicemente un minerale, frutto di complesse trasformazioni fisico chimiche avvenute - quelle sì - in tempi remoti: più precisamente, un silicato idrato di magnesio affine alla pietra ollare e ancora a quella rossastra "pipestone" dalla quale i nativi americani ricavavano (e tuttora ricavano) le loro pipe. E' reperibile in diverse parti del mondo, ma quella che può vantare la maggior qualità, quella più strettamente legata alla storia del fumo sta in Anatolia nelle vicinanze della città turca di Eskisehir. I noduli di sepiolite sono inglobati in masse terrose a una certa profondità sotto la superficie dell'altopiano; li si estrae scavando gallerie orizzontali in fondo a una serie di pozzi. Hanno forme irregolari e non sono più grandi di un pugno, salvo casi eccezionali in cui raggiungono il diametro di trenta centimetri. Il colore varia dal bianco al giallastro al grigio al rossastro, variano molto la consistenza e la qualità: da un insieme così vario si scelgono i pezzi migliori che vanno poi liberati delle impurità, ripuliti, sbozzati e, di passaggio in passaggio, trasformati in oggetti molto particolari.
L'oggetto che teniamo fra le mani è una pipa, una pipa di schiuma. La prima cosa che si nota è la leggerezza: merito della struttura porosa. Il colore? Chiaro, quando la pipa è nuova, ma fumandola si evolverà lentamente in toni sempre diversi. Il fumo? Secco: i pori assorbono l'umidità. Il gusto? Particolarmente puro, libero da interferenze: la schiuma non brucia come, se pure impercettibilmente, fa la radica. L'aspetto? Molte pipe moderne in schiuma hanno un design lineare; ma il materiale, facilmente intagliabile, si presta a interventi decorativi anche complessi. Per tutte queste ragioni una pipa in schiuma di mare entra spesso nel corredo, e fra gli affetti, d'un fumatore. Si perpetua così una tradizione migrata da Oriente a Occidente, coltivata per più di trecento anni da generazioni e generazioni di appassionati.
Duemila anni fa, in Anatolia, non c'erano né tabacco né pipe; eppure già si estraevano quei particolari noduli così facili da trasformare in monili e piccoli oggetti. Le pipe vennero più tardi quando, nel Seicento, anche il tabacco arrivò da Occidente sulle navi dei mercanti. Fu allora che nell'Impero ottomano, accanto a quelli ad acqua, apparvero arnesi da fumo compositi chiamati chibouk: una testa in genere d'argilla, un bocchino d'ambra e in mezzo un lungo tubo di raccordo in legno. A un certo punto qualcuno provò a far teste di chibouk con quel materiale leggero e così si scoprì che la schiuma di mare sembrava fatta apposta per il fumo. Prima nella penisola anatolica poi in quella balcanica, la pipa in schiuma prese campo ampliando man mano i suoi orizzonti, viaggiando fra le merci pregiate di mercanti greci ed ebraici nei vasti spazi d'un Impero esteso fin quasi all'Austria ma anche nelle terre con le quali questo confinava. Quel che non riuscì ai mercanti venne poi dagli eventi bellici se è vero che nel 1683, fra le cose abbandonate al campo dai Turchi in ritirata dopo la battaglia di Vienna, c'erano anche pipe di schiuma. A fine Seicento si aveva già notizia di questi oggetti in non pochi Paesi europei, sebbene in ambienti molto ristretti: gente raffinata, curiosa di cose nuove e sorprendenti.
Teste foggiate alla turca, piuttosto semplici e con sobrie decorazioni in rilievo, giunsero a Vienna, a Budapest e in alcune zone tedesche; era sufficiente un lavoro di rifinitura per offrirle a compratori incantati dalle loro qualità fumatorie, non indifferenti al fascino dell'esotico. Ma agli artigiani questo non bastava, volevano sfruttare al meglio tutte le potenzialità del materiale: importando direttamente i noduli grezzi furono in grado di offrire oggetti più complessi e meglio aderenti ai gusti locali. Difficile ricostruire i passaggi, ma certo è che verso metà Settecento l'Anatolia forniva ormai prevalentemente la materia prima grezza; nell'area austroungarica e tedesca gli isolati artigiani erano già sostituiti da piccole manifatture.
Era dunque arrivato un nuovo materiale in zone già da tempo avvezze alle pipe. In quel Centro Europa così contiguo all'Oriente si usavano e fabbricavano classiche monoblocco d'argilla bianca come pure di altri materiali terrosi da forno. Mentre iniziavano a circolare con successo le teste di porcellana, molto amate e apprezzate erano quelle in diversi generi di legno. Pipe di legno e pipe di porcellana avevano, come il chibouk, testa e bocchino collegati da un tubo di raccordo, ma con evidenti diversità: mentre l'andamento del chibouk era relativamente rettilineo, negli esemplari centroeuropei il bocchino, inserito in bocca orizzontalmente o con una certa inclinazione, proseguiva con un tubo di raccordo che volgeva bruscamente in basso restando quasi verticale o comunque molto inclinato fino all'innesto nella testa. Queste pipe, che viste di profilo fanno pensare a un sassofono, sono tipiche di tutta l'area ungaro-austro-tedesca e si declinano in una serie di varianti legate ai luoghi d'uso e di produzione. Incontrando tutti questi generi di pipe, cui erano legate le preferenze dei fumatori e le abilità degli artigiani, il nuovo materiale si adeguò alle loro forme; ma quelle sue proprietà fisiche che tanto agevolavano la decorazione e l'espressione artistica condizionarono a loro volta l'aspetto dei manufatti.
Fu un esordio lungo e graduale: andavano vinte la diffidenza e le abitudini dei fumatori; ma chiunque si decidesse a provarle restava incantato da quelle pipe leggere, dal fumo così puro e asciutto, che stupivano per la varietà e la ricchezza delle decorazioni e per quei colori che la superficie incerata acquisiva lentamente fumata dopo fumata. Gli artigiani, le manifatture di Budapest, Vienna, Ruhla, Lemgo e altri centri cominciarono a farsi notare alle fiere campionarie; le importazioni di materia prima, la produzione, le richieste aumentarono inesorabilmente di anno in anno - nonostante si trattasse di oggetti di lusso - con un incremento più evidente a partire dal 1830 e un'autentica esplosione vent'anni dopo: a consacrare definitivamente la schiuma di mare era stato il successo ottenuto all'Esposizione Universale di Londra del 1851.
Attorno agli anni Venti dell'Ottocento, sconfitto Napoleone, la capitale austroungarica viveva un momento felice. Negli ambienti aristocratici di Vienna altro non si cercava che modi e oggetti che indicassero agiatezza e senso del bello. Fu quello un periodo magico: utilizzando i noduli più perfetti di schiuma di mare, gli artefici più abili e creativi sfornarono pipe eccezionali. Popolavano quelle teste di bassorilievi complessi o di figure a tutto tondo: belle donne, personaggi, scene d'ogni tipo. Dopo l'immersione in cera d'api le corredavano di coperchi d'argento, per il bocchino impiegavano l'ambra più preziosa. Autentici oggetti di culto, destinati a un pubblico molto qualificato che non si limitava all'aristocrazia viennese: erano esportati ovunque, c'era chi arrivava in città al solo scopo di acquistarli. Si dice che a Vienna, per le arti visive, non fosse un periodo molto fiorente, che il lavoro più remunerativo per uno scultore fosse proprio quello legato alle pipe in schiuma; vero è che molti nomi poi assurti a notorietà in ambito artistico più vasto si affermarono proprio intagliando quella morbida massa porosa; sicuramente le pipe uscite fra il 1820 e il 1850 dai migliori laboratori di Vienna rappresentano il meglio in assoluto della produzione in schiuma. Oggetti per fumare, è vero, ma molto spesso ci si limitava a guardarli e a mostrarli in vetrina, a donarli, a collezionarli. Dalle manifatture viennesi e degli altri centri uscivano però anche altre pipe in schiuma: quasi altrettanto belle ma più decisamente destinate al fumo, sempre offerte a un pubblico scelto e facoltoso. Per chi aveva meno possibilità c'erano le imitazioni.
Sembra che l'invenzione si debba ad alcuni artigiani di Ruhla, centro di area tedesca dedito, rispetto a Vienna, a una produzione più "industriale". Detto in maniera semplice: si macinavano scarti e trucioli di schiuma di mare aggiungendo un collante e spesso altri ingredienti; poi si premeva il tutto in forme: ne risultava una sostanza non dissimile dalla schiuma autentica, quasi indistinguibile una volta lavorata. I guai sopravvenivano fumando: non essendovi porosità, la pipa era più pesante e il fumo meno secco; nemmeno la graduale colorazione riusciva tanto bene. Eppure queste pipe "in pasta", grazie al prezzo inferiore, ebbero un gran successo, e chi le produceva riusciva a guadagnare ancor più che con la vera schiuma; aspetto paradossale della vicenda: spesso le si denominava "pipe viennesi".
Da fonti dell'epoca apprendiamo che nel 1850 furono vendute circa ottocento cassette di schiuma di mare grezza. Nel 1870 si andò oltre le diecimila, e senza decremento di prezzo: quelle pipe erano ormai sulla bocca -e alla bocca- di tutti. Non solo le persone agiate ma una fascia più ampia di popolazione sentiva ora l'esigenza di esibirle e di goderne il possesso; ne conseguì un certo calo di qualità, perlomeno in parte degli esemplari prodotti.
L'espansione del mercato fu anche geografica: dal Centro Europa ci si allargò sempre più a Ovest fino alle isole britanniche e oltre, fino agli Stati Uniti d'America, sperimentando così nuove evoluzioni formali in base alle preferenze e alle sensibilità dei nuovi luoghi di produzione e vendita: la tipologia della pipa composita "a sassofono" perdeva importanza di fronte a esemplari più ispirati ai nuovi modelli in radica: non più una magnifica testa da assemblare al tubo di raccordo e al bocchino ma una pipa organicamente concepita nella sua totalità. All'astro un po' appannato di Vienna (a fine secolo avrebbe vissuto una nuova fase di successo con le "pipe" porta-sigaro) si affiancarono, nella produzione artistica, le manifatture di Parigi. Ma la grande corsa della schiuma stava per perdere velocità.
Nei primi anni del Novecento qualcosa s'inceppò: i volumi del materiale estratto diminuirono, i prezzi raddoppiarono in pochi anni, fu la corsa all'accaparramento, tanti produttori entrarono in crisi, con la guerra del 1914 la situazione precipitò portando a un calo verticale della produzione. Ma al repentino tramonto di queste pipe contribuirono altri fattori: il dilagare della radica, la confusione fra la schiuma autentica e quella imitata, il passaggio di sempre più persone ai sigari e alle sigarette, più in generale il collettivo mutamento nella sensibilità e nelle esigenze legato a quel grande shock che fu la Grande Guerra. Rimasero in pochi a mantenere la tradizione, messi in difficoltà nel 1961 dalla decisione del Governo turco di esportare solo le pipe finite: chi cercò altrove altra materia prima (ma la qualità era inferiore), chi si appoggiò a quelle manifatture locali che la Turchia aveva deciso di favorire. Se pure in forma molto ridotta, la gloriosa tradizione della schiuma è sopravvissuta, a vantaggio di chi non vuol rinunciare a questo genere impareggiabile di sensazioni.
Ma la "fanciulla", la "dea bianca" esige in cambio dei suoi favori una serie di attenzioni. Ovviamente parliamo di schiuma di mare autentica, non delle imitazioni ricavate da materiali di scarto. Distinguere fra l'una e le altre non è semplice anche perché, ultimamente, si è trovato il modo di produrre blocchi di "pasta" porosi e leggeri; l'unico modo per esser sicuri dell'acquisto è rivolgersi a persone esperte e di fiducia.
La pipa di schiuma va trattata con qualche precauzione, ma senza esagerare: del resto il fumatore moderno bada più al risultato in fatto di fumo che non alla perfezione nella colorazione, pur non ignorando questa piacevole caratteristica. La schiuma ha una sua intrinseca fragilità di cui bisogna tener conto: meglio non posare la pipa su una superficie fredda quando si è appena fumato. Meglio agire molto delicatamente con gli arnesi di pulizia, se non si vuol correre il rischio di "scavare". Meglio maneggiarla con le mani pulite onde evitare macchie, ma senza indossare addirittura i guanti come alcuni fanno. Meglio fare attenzione a non rovinare la superficie incerata quando è calda. Meglio aspettare che la pipa si sia completamente raffreddata prima di riporla nella custodia.
Si sa che la schiuma di mare, materiale di per sé neutro, non aggiunge alcun sapore a quello del tabacco dando la possibilità di gustare al cento per cento il nostro blend preferito. Coloro che per professione creano nuove miscele si servono solo di questo genere di pipe. Ma il materiale è poroso e, fumando, assorbe gli umori del tabacco: proprio per questo, del resto, con la complicità del rivestimento ceroso s'innesca la progressiva colorazione di cui sappiamo. Ciò significa che se nella seconda fumata cambiamo tabacco, il suo sapore si mescolerà sia pure solo parzialmente a quello della prima. I creatori professionali di miscele risolvono il problema usando ogni volta una pipa nuova. Per i fumatori normali che vogliano continuare ad assaporare senza interferenze, la soluzione è fumare in quella pipa sempre lo stesso tabacco: un motivo più che buono per aggiungere alla prima pipa di schiuma una seconda, una terza, una quarta...
Le pipe fotografate in questo articolo fanno parte della Collezione Al Pascià