Filippo è cresciuto in mezzo ai libri. Suo padre aveva una libreria che ora manda avanti lui. Il piacere della lettura è una tradizione che nella sua famiglia si tramanda da generazioni. Così come il piacere della pipa. Le due cose per altro sono abbastanza collegate. Non c’è momento migliore per farsi una buona fumata se non quello in cui si sta per iniziare un buon romanzo. Di questo Filippo è convinto. Fra le pagine di vecchi libri che sono stati di suo padre e prima ancora di suo nonno, c’è sempre un buon odore di tabacco. L’odore dei libri a lui piace. Quando va a rovistare nei mercatini dell’usato la prima cosa che fa quando ne prende in mano uno è aprirlo e annusarlo. Perché su quelle pagine sono transitate le dita di uomini e donne che mentre si gustavano la storia scritta, ne stavano vivendo una reale, tutta loro, lasciando tracce di vita vera per sempre tra le impronte di vite immaginate.
L’amore per la letteratura e la pipa è pari solo a quello per la sua città, Milano. C’è qualcosa che le accomuna tutte e tre, ne è sempre stato convinto, ed è un’elegante quanto inconfessata esibizione di riservatezza. Vale per Milano e la sua bellezza mai ostentata ma semmai nascosta dentro ai cortili dei suoi palazzi. Vale per la pipa e la sua dimensione intima e privata di una porzione di tempo che si vuole dedicare a stessi. Vale per un libro i cui personaggi si fondono a tal punto con il lettore che cominciano a vivere dentro di lui, intrattenendo con questi un dialogo confidenziale.
Un giorno di inizio febbraio succede proprio sotto agli occhi di Filippo che la pipa, i libri e Milano si mescolino per un attimo in un’unica immagine, dando inizio nella sua mente a un interessante viaggio nel tempo.
Sapendo dell’amore per libri antichi, passano spesso nella libreria di Filippo gli svuota solai, quelli che per passione o per denaro si mettono a rovistare nelle soffitte in cerca del tesoro sepolto, del manoscritto inedito o del volume introvabile magari con dedica autografata dell’autore. E quella mattina di febbraio ne capita uno che gli esibisce addirittura un intero baule zeppo di vecchi tomi. Libri sulla trigonometria, altri sul galateo e le buone maniere, c’è una vecchia Bibbia, un manuale di medicina, la Divina Commedia e persino un’edizione del 1906 de “L’arte di mangiare bene” di Pellegrino Artusi (http://www.casartusi.it/it/content/il-libro). Sono tutti piuttosto datati ma in buono stato. Perché non comprarli, pensa Filippo. Così, appena arriva la pausa pranzo, si chiude nella stanza sul retro del negozio, si accende la sua pipa e si accomoda in poltrona per annusare un po’ della storia lasciata dai proprietari precedenti tra quelle pagine appena fatte sue. Ed è proprio dentro all’Artusi che avviene un piccolo miracolo. Custodito tra quelle pagine c’è uno scampolo di eternità cristallizzata: il biglietto d’ingresso all’esposizione internazionale di Milano del 1906. Un pezzetto di carta perfettamente integro che sta per aprire un varco spaziotemporale nella mente di Filippo.
Una boccata alla pipa e giusto il tempo che il fumo si sia diradato che Filippo è sul treno che collega Piazza d’Armi a Parco Sempione un pomeriggio di giugno del 1906. Ha pagato 10 centesimi per poterci salire e con lui nelle quattro carrozze ci saranno a occhio e croce 200 persone. Nelle mani delle donne c’è un fazzoletto o il ventaglio, in quelle degli uomini la pipa o a volte il bastone. Anche questa ferrovia sopraelevata, con treni che partono ogni tre minuti e che scarrozzano al giorno decine di migliaia di persone, è ormai diventata protagonista della manifestazione. Del resto il tema dell’Esposizione sono i trasporti e questo primordiale esempio di metropolitana esalta a modo suo il progresso dell’industria italiana. Le nazioni presenti sono 35 e gli espositori oltre 35.000. Filippo è felice che Milano si mostri così bella ai milioni di visitatori che la verranno a vedere in questi mesi. È la Milano che si specchia sull’acqua dei navigli e che nelle parole di Stendhal era addirittura più bella di Venezia. È la Milano che solo qualche anno prima ha fatto ricoprire via Manzoni e le strade circostanti con della paglia perché gli zoccoli dei cavalli e il rumore delle carrozze non disturbassero gli ultimi giorni di vita di Giuseppe Verdi (http://www.milanofree.it/milano/storia/giuseppe_verdi.html). E per alcuni mesi ora è la Milano che mette in mostra le scoperte tecnologiche e scientifiche del positivismo progressista a cavallo tra il secolo XIX e XX, prima che la Grande Guerra infranga il sogno. In piazza d’armi si sta preparando un volo con i palloni aerostatici. Quello dell’aeronautica è il padiglione più visitato, a solo qualche anno dal volo dei fratelli Wright non c’è da stupirsi. Fra l’altro anche l’Italia si sta preparando a scrivere il cielo col suo ingegno ed è quello di Lombardia, quello “così bello quando è bello, così splendido, così in pace” come lo descriveva il Manzoni. E lo farà con Gianni Caproni (http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/caproni.htm), un giovane ingegnere di Trento che, dopo l’incontro con uno dei fratelli Wright durante una conferenza a Liegi, capisce che anche la sua strada è il volo. Infatti, il 27 maggio del 1910, nella cascina Malpensa nella brughiera di Gallarate, farà volare un biplano costruito da sé inaugurando così il terminal zero di quello che diventerà il maggior scalo aereo del nord Italia. Milano è bella anche per questo, pensa Filippo mentre col naso all’insù guarda un dirigibile. Qui si concretizzano intuizioni, intuizioni di cui l’Italia è davvero piena. C’è anche un padiglione dedicato ai Palombari, nelle profondità marine siamo tra i migliori al mondo e il mondo ce ne darà ragione nel 1930, quando la corona inglese che aveva perso il piroscafo Egypt al largo del mare di Brest carico d’oro, chiama gli italiani. Laddove tutti avevano fallito i palombari viareggini dell’Artiglio (https://www.youtube.com/watch?v=K8en6aFnogg) riusciranno, non solo individueranno a130 metri di profondità l’Egypt, ma recupereranno anche le sue tonnellate d’oro e d’argento, compiendo un’impresa eroica. Perché alla fine gli italiani ce la fanno, di questo Filippo è convinto. Siamo pieni di talenti. Proprio mentre lui è per le strade della sua Milano così internazionale all’inizio di questo nuovo secolo pensa anche ai premi Nobel appena consegnati dall’Accademia di Svezia a ben due connazionali: quello per la letteratura a Giosuè Carducci e quello per la medicina a Camillo Golgi. Quanta energia positiva se la si sa nutrire.
E a proposito, è l’ora di pranzo e Filippo ha bisogno di mettere qualcosa sotto ai denti. Ha deciso di provare il ristorante meccanico, altra novità di questa esposizione universale, un ibrido tra un self service e un distributore automatico. Sul volantino c’è scritto “nessuna mancia, servizio immediato, risparmio di tempo e di chiamate per i camerieri. Il vero comfort per le persone pratiche e d’affari”. Una vera meraviglia per una città che diventerà la città degli affari e già corre, anche se ancora pacatamente. Mentre cerca nel portafogli 1,75 lire, tanto costa la colazione con piatti caldi e vino compreso, sente qualcosa vibrargli nella giacca.
È il cellulare che lo sveglia e lo riporta in un secondo nella sua libreria e nel 2015, con l’Artusi aperto sulle gambe e l’illustrazione liberty sul biglietto d’ingresso all’expo del 1906 che lo guarda di sottecchi. La pipa si è spenta. La piacevole sensazione del viaggio appena compiuto per fortuna no. L’expo 2015 è alle porte. Il tema è nutrire il pianeta e chi meglio del più grande libro di cucina di tutti i tempi poteva dargli il gancio per quel tuffo nel passato. Milano ora ha sostituito i corsi d’acqua con l’asfalto e non è più la Milano sull’acqua di un tempo. Però è sempre bella per chi la sa ascoltare e scoprire. La sua bellezza non è sfacciata come quella di tante di altre città italiane, è una bellezza riservata. La si deve avvicinare per gradi, ci si deve entrare in confidenza, ci si deve far aprire le porte dei suoi palazzi insieme al cuore dei suoi abitanti. Una volta fatto questo però, Milano diventa anche una città con la quale si può decidere di fumarsi una pipa, in silenzio, senza bisogno di aggiungere altro. Filippo riaccende la sua e pensa che suo padre e il padre di suo padre andavano a comprare le pipe nello stesso negozio dove le compra lui. Un negozio che, come quel biglietto trovato nel libro, è uno scampolo di eternità cristallizzata in una via di Milano dove tutto è cambiato. Eppure continua ad essere un’esposizione universale di elegante riservatezza. E guarda caso, Al Pascià, esiste dal 1906.